Grazia
in offerta speciale
(Vincenzo Andraous Carcere di Pavia e tutor Comunità Casa del
Giovane) - Avevo già scritto in merito a questa vicenda, ma,
nonostante tante cose siano cambiate, siamo ancora al punto di partenza.
Da una parte il Ministro Castelli, la destra, la sinistra, il centro.
Dall’altra parte Sofri, Ciampi, la Chiesa, i detenuti e le vittime.
Arbitro è Dio………………………………………….
inascoltato.
Purtroppo la partita non è delle più belle, continuano a mancare i
goals d’autore, mentre gli autogol da usura intellettuale imperversano.
Leggo di tanti uomini che scambiano il bisogno di allontanarsi da
qualcosa di negativo, con il desiderio di andare verso qualcosa di nuovo
offrendo il fianco per una causa nobile e giusta, e indipendentemente
dalla strumentalizzazione che il caso Sofri alimenta, questa marmellata di
parole e pronunciamenti, non è di oggi, ma dell’altro ieri.
Per questa “grazia” in verità mai richiesta, perché Sofri si
dichiara innocente, poco o nulla s’è fatto, anche se molto se ne è
parlato, proprio come adesso, che al Governo c’è la destra e in
Parlamento c’è pure la sinistra, tenendo ben presente che ribaltando i
soggetti di cui sopra, abbiamo il film proiettato qualche tempo addietro.
E allora perché questo Governo dovrebbe accettare un’eredità imposta
e non condivisa? Perché dovrebbe risolvere un nodo storico che non le
appartiene, e slegare una zavorra che la sua antitesi politica non ha
voluto impegnarsi a sciogliere?
Si potrà obiettare che impedimenti di ordine tecnico e giuridico hanno
fatto sì che tale argomento restasse a mezz’aria.
Sta di fatto che ora il fardello è rimpallato alla destra, senza alcun
gioco di sponda né di buca, ma in maniera diretta e frontale.
Penso che nessuno abbia ragione da solo e nessuno si salvi da solo,
occorreva ieri, e a maggior ragione occorre oggi, più coraggio per ciò
in cui si crede, e avere più coscienza di sé, come consapevolezza dei
propri limiti, delle proprie capacità, delle proprie emozioni-sentimenti,
e soprattutto percepire sulle proprie spalle la responsabilità del
comunicare a chi ci osserva, in particolar modo quando costui è più
giovane o in una situazione di sofferenza.
Grazia, amnistia, indultino e pena certa che per molti detenuti ormai
dura da trent’anni, ma mai come in questo momento vale il detto: smuovo
tutto, chiedo tutto, per non spostare né concedere niente.
Grazia per Sofri, per gli uomini che cambiano (colpevoli e innocenti ),
perché l’uomo della pena non è più l’uomo della condanna: ciò,
nonostante il carcere mantenga perversamente il suo meccanismo di
deresponsabilizzazione e infantilizzazione, di maggior riproduttore di
sottocultura.
In questa condanna alla condanna, ci sono attimi che attraversano
l’esistenza dell’uomo detenuto, e proprio nel sapere, nella ricerca
della propria dignità, nasce l’esigenza di un’autoliberazione
possibile e non più prorogabile.
Anche all’interno di una prigione, la vita può riservare incontri con
se stesso e con gli altri, che disotturano le intercapedini dell’anima:
le visioni unidimensionali, gli assoluti, i vicoli ciechi si sgretolano,
nei disvalori che sono sempre stati.
Allora l’uomo che convive con la propria pena, coglie il senso di ciò
che si porta dentro, il peso del dramma, quel bagaglio personale maledetto
come non è possibile immaginare.
Può un uomo redimersi? Potrà il crimine essere cancellato attraverso la
pena espiata? E qual’è la pena che può rendere giustizia agli
innocenti umiliati?
Sono domande che non consentono risposte certe, ma dieci, venti,
trent’anni di carcere demoliscono certezze e ideologie, rendono l’uomo
invisibile a tal punto da risultare difficile dialogare con un’identità
scomposta, che occorre ritrovare e ricostruire, insieme agli altri.
Chi sbaglia e paga il proprio debito con decenni di carcere, attraversa
davvero tempi e contesti di un lungo viaggio di ritorno, lento e
sottocarico, fino a far scomparire l’uomo sconosciuto a se stesso, in
uomini nuovi che tentano di riparare al male fatto, con una dignità
ritrovata, accorciando le distanze tra una giusta e doverosa esigenza di
giustizia per chi è stato offeso, e quella società che è tale perché
offre, a chi è protagonista della propria rinascita, opportunità di
riscatto e di riparazione.
Si parla oggi come si è parlato ieri del caso Sofri, ritengo sia un atto
coraggioso, oltre che giusto, non solo per l’uomo che tutt’ora si
dichiara innocente, ma anche e soprattutto per la ricerca di una Giustizia
giusta ed equa, una Giustizia che è anche perdono, come ebbe a
sottolineare il Papa, e che comprenda un granello di pietà, perché la
pietà non è un atto di debolezza per i tanti uomini che in un carcere
sopravvivono a se stessi, inchiodati alle loro storie anonime, blindate,
dimenticate.
Sono convinto che non esiste amnistia, indulto, sanatoria d’accatto,
per il detenuto, non esistono slanci in avanti utopisti, esistono
solamente uomini sconfitti, perché in un carcere non sopravvivono miti
vincenti, ma esistenze sconfitte dal tempo e dalle miserie che ci portiamo
addosso.
Mi chiedo se è possibile perdonare, nella difficoltà di affrontare la
lettura evangelica del sentimento del perdono, per non parlare della
necessità di salvaguardare la collettività, ormai improntata alla sola
risposta penale, al solo deterrente carcerario.
Ma occorre riconoscere il bisogno di un tragitto umano (non solo
cristiano) nella condivisione e nella reciprocità, quindi nella
accettazione di una possibile trasformazione e cambiamento di mentalità.
In conclusione che dire ancora, se non che occorre guardare alle decine o
centinaia di Sofri, ai loro silenzi assordanti, con il coraggio di
scegliere fra tanti dubbi, un percorso significativo su cui giocarsi un
pezzo di vita, per il bene di tutti, società libera e detenuta. |