Le
ipotesi non euclidee (2a
puntata)
(Luca Nicotra ) - Prima parte Struttura logica
della geometria
5.Le grandezze incommensurabili e la crisi della monade pitagorica.
Intorno
al 410 a.C. , in seno alla Scuola Pitagorica, accadde un evento
scientifico di portata dirompente nei confronti del pensiero geometrico e
scientifico in generale: la scoperta delle grandezze incommensurabili.
Esso gettò nello scompiglio la mentalità greca di quei tempi, che era
fondata sulla concezione della misura (ratio in latino) e
dell’armonia delle misure delle figure geometriche. In particolare, è
ben noto che la Scuola Pitagorica aveva elaborato una concezione
“cosmologica” del numero come inizio e costituente di tutte le cose,
proprio in quanto era associato ad un concetto di punto materiale esteso,
la monade pitagorica, di cui ogni cosa materiale era formata. La scoperta
dell’esistenza di grandezze incommensurabili ebbe due grandi
ripercussioni: da una parte, in aritmetica, la consapevolezza, però mai
accettata dai greci, dell’esistenza di numeri non razionali, detti dai
greci αλογος
(alogos) = non esprimibili, vale a dire non esprimibili come rapporti
fra grandezze geometriche e quindi, come vedremo, la comparsa in
matematica del concetto d’infinito; dall’altra parte, in geometria,
l’abbandono della concezione materialistica degli enti geometrici e il
passaggio all’idea astratta di punto, retta, piano e di tutte le altre
figure geometriche.
Vediamo, in dettaglio, come si arrivò a questa mirabile scoperta, anche
perché questo è un esempio eclatante di come il caso giochi spesso un
ruolo di primo piano nella storia di molte grandi scoperte scientifiche.
Premettiamo e ricordiamo ai lettori una semplice, ma fondamentale,
nozione appresa nel corso dei loro studi scolastici di matematica: la
misura di una grandezza è il rapporto fra questa e un’altra grandezza
della stessa specie, che, per la funzione svolta, è detta unità di
misura. Così, dire che una lunghezza misura 12 metri significa dire
che il rapporto fra essa e la lunghezza campione “metro” è 12, ovvero
che essa contiene 12 volte la lunghezza metro.
L’espressione
(A/B) = p, dunque, equivale ad affermare che la misura di A
rispetto a B è il numero p, ovvero che A contiene p volte B
come si evince dall’espressione da essa derivata A = p B .
I termini misura e rapporto sono dunque sinonimi.
Due grandezze A e B si dicono commensurabili se ammettono un
sottomultiplo comune, detto anche “comune misura” (da cui il termine
commensurabile), vale a dire una grandezza che possa essere utilizzata
come unità di misura sia per A sia per B. Si tenga presente
che, in particolare, il sottomultiplo comune può essere una delle due
grandezze, in quanto ciascuna grandezza è sottomultipla di se stessa
secondo l’unità.
Cominciamo da quest’ultimo caso particolare, che è senz’altro il più
fortunato. Il sottomultiplo comune ad A e B sia una delle
due grandezze stesse, per esempio B, contenuta una volta in se
stessa e n volte in A. Possiamo allora scrivere:
(1) A = n B
relazione che esprime che A contiene n volte B.
Nel caso più generale, e più sfortunato, invece, nessuna delle due
grandezze A e B è contenuta un numero intero di volte
nell’altra e quindi non può considerarsi un sottomultiplo comune; però
esiste sicuramente, avendo supposto le grandezze commensurabili, una terza
grandezza C che è sottomultipla comune di A e B, essendo,
per esempio, contenuta n volte in A e m volte in B. In tal
caso si può scrivere:
(2) A = n C, B = m C
da cui dividendo membro a membro si ottiene:
(3) A / B = n/m
ovvero
(3’) A = (n/m) B = n (B/m).
È chiaro che le (2) esprimono in formule la commensurabilità fra A
e B, poiché da esse risulta che queste ammettono come
sottomultiplo comune la grandezza C, che quindi può essere assunta
come unità di misura sia per A sia per B.
È interessante notare che in matematica accade abbastanza frequentemente
che formule equivalenti (cioè deducibili l’una dall’altra), ma
formalmente diverse, pongano in evidenza aspetti differenti della stessa
proprietà; pertanto la diversità formale è proficua, perché produce
significati diversi della stessa realtà matematica.
Nel
nostro caso, le (3) e (3’), che sono equivalenti alle (2) perché da
esse derivate e ad esse riconducibili, esprimono anch’esse la
commensurabilità fra A e B, ma mettono in evidenza aspetti
non palesi nelle (2).
Infatti la (3) contiene un risultato molto importante: se due grandezze
A e B sono commensurabili, allora la misura dell’una rispetto
all’altra (cioè il rapporto A/B) è un numero intero (se
m = 1) o frazionario (se n = m). Quest’affermazione, con una
dimostrazione che omettiamo per ovvie ragioni, è invertibile: un numero
intero o frazionario può sempre interpretarsi come misura fra grandezze
commensurabili. Proprio perché possono esprimere misure, cioè rapporti
fra grandezze commensurabili, i numeri interi e frazionari costituiscono
il campo dei numeri razionali (dal latino ratio = rapporto).
La prima forma delle (3’) ci autorizza anche a dire che se due
grandezze sono commensurabili, allora è possibile esprimere una delle due
come prodotto dell’altra per un numero razionale n/m, e inoltre la
seconda forma delle (3’) mostra che se A e B sono
commensurabili, allora la grandezza A contiene n volte la m_esima
parte di B, riducendosi come caso particolare alla (1) quando è m
= 1. Si può dimostrare che anche queste asserzioni sono invertibili: se
è possibile esprimere una di due grandezze come prodotto dell’altra per
un numero razionale, allora le due grandezze sono commensurabili; se la
m_esima parte di B è contenuta n volte in A , allora A
e B sono commensurabili.
In matematica, quando una proposizione è invertibile, cioè si possono
scambiare l’antecedente con il conseguente, in altri termini l’ipotesi
con la tesi, si dice che essa costituisce una proprietà
“caratteristica”, proprio nel senso comune di “esclusiva”, oppure
che è una condizione necessaria e sufficiente.
Dunque le (3) e (3’) esprimono, in formule, la proprietà
caratteristica della commensurabilità fra A e B.
Come vanno le cose, invece, per le grandezze incommensurabili?
Esattamente all’opposto che per quelle commensurabili:
·due grandezze A e B si dicono incommensurabili se non ammettono
nessun sottomultiplo comune, vale a dire se non esiste una grandezza
che possa essere utilizzata come unità di misura sia per A sia per
B;
·il rapporto fra due grandezze incommensurabili non è un numero
razionale (intero o frazionario) e viceversa un numero non razionale è il
rapporto fra due grandezze incommensurabili;
·se due grandezze sono incommensurabili, allora non è possibile
esprimere una delle due come prodotto dell’altra per un numero razionale
e, viceversa, se non è possibile esprimere una di due grandezze come
prodotto dell’altra per un numero razionale, allora le due grandezze
sono incommensurabili.
Non è inutile sottolineare che i concetti di commensurabilità e
incommensurabilità sono “relativi”, vale a dire coinvolgono sempre
reciprocamente due grandezze. In altri termini, non ha senso affermare che
una grandezza è commensurabile o incommensurabile senza riferirla ad
un’altra grandezza.
I
matematici greci erano essenzialmente geometri puri, vale a dire
affrontavano i problemi geometrici con metodi esclusivamente geometrici
(geometria sintetica), a differenza dei matematici moderni che,
usualmente, applicano il calcolo alla geometria (geometria analitica). Dal
punto di vista del calcolo, per loro esistevano soltanto i rapporti fra le
grandezze geometriche, i numeri interi positivi e le frazioni positive. I
matematici greci, pur essendo costretti a riconoscere l’esistenza di
grandezze fra loro incommensurabili (per esempio lato e diagonale del
quadrato, ipotenusa e cateto di un triangolo rettangolo isoscele, lato e
diagonale di un cubo, circonferenza e diametro, lato e diagonale di un
pentagono regolare, eccetera), si limitavano a considerare i rapporti fra
tali grandezze e si rifiutavano di interpretare tali rapporti come numeri.
I matematici italiani del Rinascimento, invece, capirono che, per
ottenere una misura anche nel caso di grandezze incommensurabili, era
necessario estendere “formalmente” il concetto di numero, in modo da
poter associare un numero, di una nuova specie, anche al rapporto fra
grandezze incommensurabili. Alla stessa necessità1
si arrivava considerando, anziché il problema geometrico di rendere
sempre possibile la misura delle grandezze geometriche, alcuni problemi di
puro calcolo dove comparivano radici quadrate di numeri non quadrati o
radici cubiche di numeri non cubi o, più in generale, espressioni del
tipo nv a essendo il numero “a” tale da non esistere nessun
numero intero che innalzato all’esponente “n” dia come risultato
“a”. A questi nuovi numeri, che esprimono soltanto formalmente il
rapporto fra grandezze incommensurabili, dettero il nome di numeri
irrazionali2, perché esprimono in realtà “non rapporti” (non
ratio), vale a dire i rapporti inesistenti fra coppie di grandezze
incommensurabili. Infatti, in tal caso, la misura (o rapporto) non esiste,
altrimenti le grandezze sarebbero commensurabili! Se volessimo tentare di
trovare la misura di una grandezza A rispetto ad un’altra B
con essa incommensurabile, ci troveremmo di fronte ad una situazione di
questo tipo: scelto un sottomultiplo di B ci accorgeremmo che esso
è contenuto in A un certo numero intero di volte, con un resto,
cioè lasciando “scoperta” una parte di A inferiore a quel
sottomultiplo; allora ripeteremmo il tentativo scegliendo un sottomultiplo
di B più piccolo del precedente, ma arriveremmo ugualmente ad un
resto di A ancora inferiore rispetto a questo nuovo sottomultiplo
di B. Possiamo ripetere questi tentativi quante volte vogliamo, cioè
all’infinito, arrivando ogni volta a “ricoprire” sempre più la
grandezza A con il nuovo sottomultiplo di B, ma lasciandone
pur sempre un pezzettino non ricoperto, che diventa sempre più piccolo a
mano a mano che procediamo nei nostri tentativi. Dunque, poiché questi
tentativi non si esauriscono mai, non possiamo avere una misura vera o
esatta di A rispetto a B, ma soltanto una misura
approssimata, sia pure con il grado di precisione che vogliamo. Il numero
irrazionale che noi associamo al rapporto fra le grandezze
incommensurabili A e B, dunque, esprime soltanto un
procedimento di calcolo iterativo della misura da eseguirsi
all’infinito, con approssimazioni sempre maggiori, ma senza mai arrivare
a compimento3 .
Ciò corrisponde al fatto che un numero irrazionale non è esprimibile in
termini finiti di numeri razionali.
Il
concetto d’infinito non era assolutamente gradito ai matematici greci,
per i quali essendo i numeri irrazionali
αλογος (alogos) = non esprimibili (come
rapporti fra grandezze), si rifiutavano di considerarli numeri. Tuttavia,
da allora, il concetto d’infinito informerà di sé sempre più
l’intera matematica, tanto che, come dice un nostro grande matematico,
Gianfranco Cimmino, “l’idea d’infinito è l’essenza di cui è
impregnata tutta la matematica, la quale da essa attinge quel carattere
che la distingue dalle scienze che studiano la Natura. Quello che si
osserva in Natura ha sempre l’impronta del finito”.
Uno dei problemi che, storicamente, potrebbero aver condotto alla
scoperta delle grandezze incommensurabili è la duplicazione del quadrato,
consistente nel trovare il lato del quadrato di area doppia di quella di
uno dato. Platone, nel suo dialogo Il Menone, tratta questo
problema. Per esigenze di spazio, riportiamo soltanto uno stralcio del
dialogo platonico, dove si accenna ad esso. Fra parentesi sono state
inserite alcune aggiunte esplicative che non fanno parte del testo.
SOCRATE:
Ma a noi era bisogno di uno (quadrato) doppio: non te ne
rammenti?
SERVO:
Si
SOCRATE:
Or vedi coteste linee (diagonali), ch’io segno da un
angolo all’altro (DB, BN, NO, OP): non ispartiscono elle per lo
mezzo ciascun di questi quattro spazii (ABCD, BINC, CNLO, DCOM)?
SERVO:
Si
SOCRATE:
E non son elle quattro linee uguali che richiudono questo spazio? (Il
nuovo quadrato che ha per lati le linee diagonali)
SERVO:
Sono.
SOCRATE:
Or guarda: questo spazio quanto è?
SERVO:
Non intendo.
SOCRATE:
Ciascuna di queste quattro linee (diagonali) non ha tagliato
in due metà ciascuno di cotesti spazi? (I quattro quadrati) o no?
SERVO:
Si.
SOCRATE:
Or quanti ci hai qui di coteste metà? (Mostra lo spazio chiuso
dalle quattro diagonali)
SERVO:
Quattro.
SOCRATE:
E quante qua? (Mostra il primo quadrato di quattro piedi)
SERVO:
Due.
SOCRATE:
E che è il quattro verso il due?
SERVO:
Doppio.
SOCRATE:
E però quanti piedi è questo spazio? (Mostra il quadrato BNOD)
SERVO:
Otto.
SOCRATE:
E di quale linea esso è nato?
SERVO:
Di questa (Mostra il segmento DB)
SOCRATE:
Cioè della linea che si distende entro per lo quadrato di quattro
piedi, da un angolo all’altro? (Il quadrato ABCD)
SERVO:
Si.
SOCRATE:
Cotesta la chiaman diagonale i sapienti; sicchè egli è il nome
suo; e della diagonale, come tu dici, sarebbe nato lo spazio doppio, o
giovinetto di Menone?
SERVO:
Certo è, o Socrate.
Come ci racconta Platone nel Menone, la soluzione geometrica
esiste ed è semplice: il quadrato di area doppia del quadrato ABCD dato
è il quadrato DBNO costruito sulla diagonale DB, come risulta evidente
osservando l’uguaglianza dei quattro triangoli in cui il quadrato DBNO
è diviso dalle sue diagonali, ciascuno dei quali è metà del quadrato
dato. Al contrario, la soluzione con il calcolo, ovvero analitica, non
esiste. Infatti, se indichiamo con l e con d rispettivamente
le misure, rispetto alla medesima unità di misura, del lato del quadrato
dato e del lato del quadrato di area doppia, dovrebbe sussistere la
seguente relazione d2 = 2l2 , cioè dovremmo trovare un
numero razionale d il cui quadrato sia doppio del quadrato del
numero razionale l. Ma, con un semplice ragionamento, basato sulla
scomposizione in fattori primi e sull’osservazione che un numero pari
non può essere uguale a uno dispari, si dimostra che non esiste nessun
numero razionale che innalzato al quadrato sia uguale al doppio di un
altro quadrato. Allo stesso problema, si è condotti applicando il teorema
di Pitagora ad un triangolo rettangolo isoscele. Infatti, se indichiamo
con d e l le misure della diagonale e di uno dei due cateti
uguali, rispetto ad un’ipotetica comune unità di misura, arriviamo a
scrivere la medesima relazione di prima d2 = l2 + l2 = 2l2 da cui d = l v2, o ancora d/l = 2 , dove
al secondo membro compare il numero irrazionale v2 come rapporto fra
ipotenusa e cateto del triangolo isoscele, che è lo stesso del rapporto
fra diagonale e lato di un quadrato.
In realtà, non si hanno fonti storiche certe che consentano di
individuare con esattezza né il periodo né il particolare problema che
portò alla scoperta di grandezze incommensurabili. Secondo gli
orientamenti più attuali degli storici della matematica (cfr. Carl B.
Boyer – Storia della Matematica), la scoperta della prima coppia di
grandezze incommensurabili riguardò la diagonale e il lato di un
pentagono regolare fatta da Ippaso o Ipparco di Metaponto, vissuto
nell’Italia Meridionale intorno al 400 a.C., e la dimostrazione non
implicava l’applicazione del teorema di Pitagora, ma un procedimento
“ad infinitum”. Se così fosse, il primo numero irrazionale scoperto
sarebbe stato non v2, ma v5.
È interessante notare come la scoperta delle grandezze incommensurabili
sia stata “casuale”, essendo essa stata perseguita non
intenzionalmente, ma nel tentativo di risolvere i problemi di misura o di
calcolo appena accennati. Insomma, i greci non avevano in programma, si
direbbe oggi, di fare ricerche per scoprire le grandezze incommensurabili,
di cui non sospettavano l’esistenza e di cui, come abbiamo già detto,
non gradivano nemmeno l’esistenza. La storia della Scienza è ricca di
esempi di scoperte importanti favorite dal caso. Esempi illustri sono la
scoperta della radioattività naturale e artificiale e proprio le
geometrie non euclidee, che sono nate dal tentativo di dare alla geometria
euclidea l’imprimatur di unicità e perfezione.
Fine della seconda puntata
1 È un fenomeno ricorrente nelle matematiche. Tutte le volte che
si presentano casi d’impossibilità nell’esecuzione di operazioni
matematiche con un certo tipo di numeri, si definiscono nuove specie di
numeri che assieme ai precedenti rendono sempre possibili quelle
operazioni. Si pensi alle varie specie di numeri che tutti noi abbiamo
appreso dall’insegnamento scolastico della matematica e alle ragioni per
le quali esse sono state introdotte: prima l’insieme dei numeri interi
positivi, poi quello dei numeri frazionari, che contiene il precedente,
quindi l’insieme dei numeri relativi introducendo i numeri negativi
accanto a quelli positivi, e così via.
2 Il significato del termine numero irrazionale come di “numero
contrario alla ragione umana” può essere accettato come significato
collaterale ma non primario, che è unicamente quello ricordato di “non
rapporto”. Si rifletta, infatti, sulla circostanza che molto
probabilmente il concetto latino di ratio, come rapporto, era
secondariamente collegato a quello di ragione, intesa come ciò che è
“comprensibile dalla mente umana”. Infatti, abbiamo visto che
nell’antichità classica, fino al Rinascimento, era comprensibile dalla
mente umana soltanto ciò che poteva essere posto sotto forma di rapporto.
Ma che irrazionale, attribuito ai numeri, significhi contrario alla
ragione umana risulta manifestamente falso, se si riflette che altre
specie di numeri introdotti successivamente dai matematici, per esempio i
numeri immaginari, i numeri complessi, i quaternioni, e così via, sono
ancora meno comprensibili alla ragione umana di quelli che chiamiamo
irrazionali. Insomma, se irrazionale significasse contrario
all’intelletto umano, anche questi altri numeri si sarebbero dovuti
chiamare “irrazionali”!
3 I numeri irrazionali, posti sottoforma decimale, con la
cosiddetta “divisione decimale”, risultano costituiti da infinite
cifre decimali non periodiche. Si tenga presente che, invece, esistono
frazioni che poste sottoforma decimale “generano” numeri ad infinite
cifre decimali, ma periodiche, vale a dire che si ripetono all’infinito
a gruppi (periodo). Dunque, i numeri decimali ad infinite cifre sono:
irrazionali, perché non possono essere generati da frazioni, se
sono aperiodici; razionali, perché possono essere generati
da frazioni, se sono periodici.
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