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Sommario anno XII numero 9 - settembre 2003

 TEOLOGIA
Note per una teologia del dialogo (5) - La Chiesa, popolo in cammino...
Renato Vernini -
renverni@tin.it

Dallo scorso numero di maggio “Notizie in...Controluce” ospita un breve corso di Teologia. In particolare si tratta di una riflessione di base  sulla teologia cattolica più aperta ad un dialogo con le altre religioni ed i non credenti e che, per i motivi che vedremo, chiamiamo teologia politica.  Non c’è alcuna pretesa di completare in dodici numeri tutto il possibile della riflessione teologica (pretesa che sarebbe ridicola!) ma lo sforzo di illustrare in ciascun articolo almeno lo schema di un argomento, in maniera che il lettore possa seguire, il più agevolmente possibile, il filo del discorso. Per forza di cose il linguaggio sarà il più possibile lineare ed eviterà termini tecnici: ce ne scusiamo fin d’ora con i più preparati, che, d’altra parte, non hanno bisogno certo di questa introduzione alla teologia.

4.3 Chiesa popolo....IN CAMMINO. Il concetto di Chiesa come comunione, ricavato principalmente dai documenti del Concilio, ci ha Philipp Veil - L’empireopermesso di superare in una sintesi le due contrapposte accezioni di chiesa, quella di  Chiesa come popolo  e quella di Chiesa come  gerarchia. Resta da occuparci di altri due elementi presenti nella definizione di “Chiesa popolo in cammino”. Uno esplicito e l’altro implicito. L’elemento esplicito nella definizione della Chiesa è quello di cammino, quello implicito è compreso nel fatto che evidentemente un soggetto, quando cammina, cammina verso un qualcosa. Questa meta del cammino, generalmente indicata nell’espressione Regno di Dio, sarà oggetto della riflessione che cominceremo ad affrontare dal prossimo numero. Concluderemo, infine, le considerazioni sulla Chiesa tornando sul concetto di popolo al fine di evitare un pericoloso equivoco anche su questo termine.
4.3.1 Il cammino è dialogo
Come è ben ricordato da molti commentatori (una breve ed accessibile sintesi disponibile su internet è quella di Paul Renner  http://www.il-margine.it/archivio/1994/b1.htm) anche la stessa storia della Lumen Gentium testimonia la identificazione tra cammino e dialogo. Il documento è nato attraverso un percorso abbastanza tortuoso che ne ha radicalmente trasformato l’impostazione, come sembra essere trasformato l’atteggiamento dell’intera Chiesa post-conciliare. Da un atteggiamento rigido e clericale (Il vescovo Emil Joseph de Smedt di Brugge esprimeva nel dicembre del 1962 il seguente lapidario giudizio: “Il primo schema per il De Ecclesia è trionfalistico, clericale e giuridistico”) si è passati ad identificarsi  con l’atteggiamento Pietro: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (Atti 10, 34-36).
Nel discorso di Pietro c’è traccia della polemica sorta nel primo secolo tra chi voleva conservare la priorità, nella predicazione della Buona Novella, all’interno del giudaismo e chi invece voleva estenderla  a tutto il mondo allora conosciuto. Come sappiamo la scelta avvenne in questa seconda prospettiva e questa stessa scelta ha finito anche con il trasformare il cristianesimo che, attraverso un dialogo costante ed a volte drammatico con il mondo pagano, ne ha assunto gli strumenti culturali lasciandosi trasformare e conquistando, per esempio, il mondo romano attraverso i suoi stessi canali.  Questa trasformazione è stata di carattere non solo culturale ma anche sociale e politico. Pensiamo solo alle persecuzioni romane, alla questione dei sacrifici all’imperatore, alla partecipazione dei cristiani all’attività culturale e politica dell’impero. Nei primi secoli, un grande uomo di cultura, Tertulliano, si scagliava contro gli spettacoli teatrali identificandoli con la massima espressione politica, religiosa e culturale di Roma. La sua conclusione era che i cristiani dovessero stare ben lontani dai teatri e dalle arene.  Agostino scrisse il suo “De Civitate Dei” spinto soprattutto dall’esigenza di scagionare i cristiani da un’accusa insieme politica, culturale e religiosa: l’avvento del cristianesimo aveva segnato la fine dell’impero romano minandone i costumi,  compromettendo ed imbastardendo l’indole del popolo di Roma ed inimicandosene gli dei.
4.3.2 I tre elementi del dialogo
Bramante - Cristo alla colonnaL’atteggiamento del popolo cristiano in cammino, in continuità con l’Antico Testamento è un atteggiamento attento alle proprie peculiarità: regali, profetiche e sacerdotali. Cosa intendiamo? Proprio perchè non si trasformi la riflessione teologica in archeologia dobbiamo affermare con forza che queste tre dimensioni della missione di Cristo, ereditata dalla Chiesa, debbono continuare, nella tradizione, ad essere letti alla luce delle caratteristiche culturali, storiche e sociali del tempo. Possiamo allora accentuare le peculiarità moderne di queste tre dimensioni. Va innanzi tutto osservato che le tre dimensioni sono realtà specifiche di un dialogo e di una relazione nella storia tra Dio e gli uomini e tra gli uomini stessi.
Per dimensioni regale del popolo intendiamo l’attenzione sociale e politica alla realtà di ogni giorno che deve essere orientata al soddisfacimento dei bisogni terreni per la piena realizzazione dell’uomo. L’uomo-re governa saggiamente le risorse della terra e le mette a disposizione dei popoli e delle generazioni future. La Chiesa che partecipa della dimensione regale non si fa sopraffare dalla storia subendola ma ne partecipa impegnandosi alla liberazione,  anche terrena, degli uomini. Ecco allora che il dialogo con il mondo è dialogo di liberazione dalle strutture di peccato (come le chiama coraggiosamente Giovanni Paolo II) che ne impediscono la realizzazione. Per essere ancora più diretti: la Chiesa non può tollerare che parte dell’umanità sia esclusa dalla distribuzione dei beni, che la realizzazione spirituale sia ostacolata dalla necessità primaria del soddisfacimento dei bisogni materiali. La Chiesa regale interviene direttamente e si impegna alla formazione delle coscienze perchè già sulla terra si cominci a realizzare il regno di Dio attraverso le strutture del mondo.
Per dimensione profetica intendiamo l’ascolto ai suggerimenti che attraverso gli uomini ci vengono da Dio per il giusto percorso da seguire in questo cammino. Il profeta è colui che porta la parola di Dio. Certo i profeti, anche nell’Antico Testamento, non hanno avuto vita facile. Questo perchè la parola di Dio è spesso scomoda, pericola, diversa dalla parola degli uomini. La Chiesa deve avere il coraggio di trasmettere quello che, secondo la sua lettura, Dio dice agli uomini. La dimensione profetica è la dimensione del dialogo per eccellenza. La Chiesa è profeta ma anche il profeta  parla alla Chiesa e la Chiesa deve saperlo ascoltare. Spesso il profeta non è sufficientemente integrato nella istituzione e per questo l’istituzione non lo riconosce. Ecco allora che oltre ad essere attivamente profetica la Chiesa ha il compito ed il dovere di prestare ascolto attentamente alle profezie che a lei giungono dal mondo, anche quando queste profezie non arrivassero direttamente dal suo interno.
Per attenzione sacerdotale intendiamo più propriamente  l’attività di mediazione attraverso la storia tra gli uomini e Dio condotta dalla Chiesa sacramento.
Il Sacerdote è l’uomo del sacrificio. Colui che rende sacra la realtà e la consacra a Dio. Ma il sacerdote è anche colui che media tra gli uomini e Dio, colui che parla a Dio a nome degli uomini. La Chiesa sacerdotale deve avvicinare con la sua presenza Dio e gli uomini, deve rendere presente l’extramondano alla realtà concreta e viceversa. Per far questo deve calarsi nel mondo, leggerne i segni, viverne le esperienze più profonde e trasformarle in realtà divine. Al tempo stesso incarnando misticamente il corpo di Cristo deve portarlo nelle realtà più nascoste ed inaccessibili della realtà storica. Deve farsi Cristo per tutti gli uomini.
In conclusione e semplificando non poco: questi tre momenti, insieme, testimoniano che la Chiesa per la sua natura e per la sua missione è immersa nella realtà storica e sociale degli uomini e che attraverso questa realtà (non quindi con il suo rifiuto) ha il compito e la missione di condurli alla meta del cammino.
4.4 Chi è in cammino non è ancora arrivato alla meta
La Lumen Gentium abbandona l’identificazione diretta della Chiesa con Cristo, cercando di centrare la sua riflessione, più modestamente e correttamente, su un concetto di Chiesa come mediazione e sacramento (del concetto di sacramento ci occuperemo subito dopo aver parlato della Chiesa). La Chiesa, basti qui accennare, viene descritta e si comprende come segno e strumento efficace della grazia, funzione del cammino e non più come mezzo o fine del cammino medesimo. Ma anche come strumento la Chiesa è perfettibile ed alla ricerca di una sempre migliore condizione, consapevole di essere inserita nel disegno salvifico del Padre (LG, 2). La Chiesa ha consapevolezza di essere ancora  soggetta all’errore, al peccato,  ma anche nella possibilità di uscirne attraverso un cammino comune a tutte le creature.  Per questo, con una espressione forse abusata, si afferma comunemente che la Chiesa vive tra un “già” ed un “non ancora”:
Già dunque è arrivata a noi l’ultima fase dei tempi (cfr. 1 Cor 10,11). La rinnovazione del mondo è irrevocabilmente acquisita e in certo modo reale è anticipata in questo mondo: difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di vera santità, anche se imperfetta. Tuttavia, fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora (cfr. 2 Pt 3,13), la Chiesa peregrinante nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo; essa vive tra le creature, le quali ancora gemono, sono nel travaglio del parto e sospirano la manifestazione dei figli di Dio (cfr. Rm 8,19-22).” (LG 48). 
 TEOLOGIA

Sommario anno XII numero 9 - settembre 2003