Note
per una teologia del dialogo (5) - La Chiesa, popolo in cammino...
Renato Vernini - renverni@tin.it
Dallo scorso numero di maggio “Notizie in...Controluce” ospita un
breve corso di Teologia. In particolare si tratta di una riflessione di
base sulla teologia cattolica
più aperta ad un dialogo con le altre religioni ed i non credenti e che,
per i motivi che vedremo, chiamiamo teologia politica.
Non c’è alcuna pretesa di completare in dodici numeri tutto il
possibile della riflessione teologica (pretesa che sarebbe ridicola!) ma
lo sforzo di illustrare in ciascun articolo almeno lo schema di un
argomento, in maniera che il lettore possa seguire, il più agevolmente
possibile, il filo del discorso. Per forza di cose il linguaggio sarà il
più possibile lineare ed eviterà termini tecnici: ce ne scusiamo fin
d’ora con i più preparati, che, d’altra parte, non hanno bisogno
certo di questa introduzione alla teologia.
4.3 Chiesa popolo....IN CAMMINO.
Il concetto di Chiesa come comunione, ricavato principalmente dai
documenti del Concilio, ci ha
permesso
di superare in una sintesi le due contrapposte accezioni di chiesa, quella
di Chiesa come popolo e
quella di Chiesa come gerarchia.
Resta da occuparci di altri due elementi presenti nella definizione di
“Chiesa popolo in cammino”. Uno esplicito e l’altro
implicito. L’elemento esplicito nella definizione della Chiesa è quello
di cammino, quello implicito è compreso nel fatto che
evidentemente un soggetto, quando cammina, cammina verso un qualcosa.
Questa meta del cammino, generalmente indicata nell’espressione Regno
di Dio, sarà oggetto della riflessione che cominceremo ad affrontare
dal prossimo numero. Concluderemo, infine, le considerazioni sulla Chiesa
tornando sul concetto di popolo al fine di evitare un pericoloso
equivoco anche su questo termine.
4.3.1 Il cammino è dialogo
Come è ben ricordato da molti commentatori (una breve ed accessibile
sintesi disponibile su internet è quella di Paul Renner
http://www.il-margine.it/archivio/1994/b1.htm) anche la stessa
storia della Lumen Gentium testimonia la identificazione tra cammino e
dialogo. Il documento è nato attraverso un percorso abbastanza tortuoso
che ne ha radicalmente trasformato l’impostazione, come sembra essere
trasformato l’atteggiamento dell’intera Chiesa post-conciliare. Da un
atteggiamento rigido e clericale (Il vescovo Emil Joseph de Smedt di
Brugge esprimeva nel dicembre del 1962 il seguente lapidario giudizio:
“Il primo schema per il De Ecclesia è trionfalistico, clericale e
giuridistico”) si è passati ad identificarsi
con l’atteggiamento Pietro: “In verità sto rendendomi conto
che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la
giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (Atti 10,
34-36).
Nel discorso di Pietro c’è traccia della polemica sorta nel primo
secolo tra chi voleva conservare la priorità, nella predicazione della
Buona Novella, all’interno del giudaismo e chi invece voleva estenderla
a tutto il mondo allora conosciuto. Come sappiamo la scelta avvenne
in questa seconda prospettiva e questa stessa scelta ha finito anche con
il trasformare il cristianesimo che, attraverso un dialogo costante ed a
volte drammatico con il mondo pagano, ne ha assunto gli strumenti
culturali lasciandosi trasformare e conquistando, per esempio, il mondo
romano attraverso i suoi stessi canali.
Questa trasformazione è stata di carattere non solo culturale ma
anche sociale e politico. Pensiamo solo alle persecuzioni romane, alla
questione dei sacrifici all’imperatore, alla partecipazione dei
cristiani all’attività culturale e politica dell’impero. Nei primi
secoli, un grande uomo di cultura, Tertulliano, si scagliava contro gli
spettacoli teatrali identificandoli con la massima espressione politica,
religiosa e culturale di Roma. La sua conclusione era che i cristiani
dovessero stare ben lontani dai teatri e dalle arene.
Agostino scrisse il suo “De Civitate Dei” spinto soprattutto
dall’esigenza di scagionare i cristiani da un’accusa insieme politica,
culturale e religiosa: l’avvento del cristianesimo aveva segnato la fine
dell’impero romano minandone i costumi,
compromettendo ed imbastardendo l’indole del popolo di Roma ed
inimicandosene gli dei.
4.3.2 I tre elementi del dialogo
L’atteggiamento
del popolo cristiano in cammino, in continuità con l’Antico Testamento
è un atteggiamento attento alle proprie peculiarità: regali,
profetiche e sacerdotali. Cosa intendiamo? Proprio perchè non si
trasformi la riflessione teologica in archeologia dobbiamo affermare con
forza che queste tre dimensioni della missione di Cristo, ereditata dalla
Chiesa, debbono continuare, nella tradizione, ad essere letti alla luce
delle caratteristiche culturali, storiche e sociali del tempo. Possiamo
allora accentuare le peculiarità moderne di queste tre dimensioni. Va
innanzi tutto osservato che le tre dimensioni sono realtà specifiche di
un dialogo e di una relazione nella storia tra Dio e gli uomini e tra gli
uomini stessi.
Per dimensioni regale del popolo intendiamo l’attenzione
sociale e politica alla realtà di ogni giorno che deve essere orientata
al soddisfacimento dei bisogni terreni per la piena realizzazione
dell’uomo. L’uomo-re governa saggiamente le risorse della terra e le
mette a disposizione dei popoli e delle generazioni future. La Chiesa che
partecipa della dimensione regale non si fa sopraffare dalla storia
subendola ma ne partecipa impegnandosi alla liberazione,
anche terrena, degli uomini. Ecco allora che il dialogo con il
mondo è dialogo di liberazione dalle strutture di peccato (come le chiama
coraggiosamente Giovanni Paolo II) che ne impediscono la realizzazione.
Per essere ancora più diretti: la Chiesa non può tollerare che parte
dell’umanità sia esclusa dalla distribuzione dei beni, che la
realizzazione spirituale sia ostacolata dalla necessità primaria del
soddisfacimento dei bisogni materiali. La Chiesa regale interviene
direttamente e si impegna alla formazione delle coscienze perchè già
sulla terra si cominci a realizzare il regno di Dio attraverso le
strutture del mondo.
Per dimensione profetica intendiamo l’ascolto ai suggerimenti
che attraverso gli uomini ci vengono da Dio per il giusto percorso da
seguire in questo cammino. Il profeta è colui che porta la parola di Dio.
Certo i profeti, anche nell’Antico Testamento, non hanno avuto vita
facile. Questo perchè la parola di Dio è spesso scomoda, pericola,
diversa dalla parola degli uomini. La Chiesa deve avere il coraggio di
trasmettere quello che, secondo la sua lettura, Dio dice agli uomini. La
dimensione profetica è la dimensione del dialogo per eccellenza. La
Chiesa è profeta ma anche il profeta
parla alla Chiesa e la Chiesa deve saperlo ascoltare. Spesso il
profeta non è sufficientemente integrato nella istituzione e per questo
l’istituzione non lo riconosce. Ecco allora che oltre ad essere
attivamente profetica la Chiesa ha il compito ed il dovere di prestare
ascolto attentamente alle profezie che a lei giungono dal mondo, anche
quando queste profezie non arrivassero direttamente dal suo interno.
Per attenzione sacerdotale intendiamo più propriamente
l’attività di mediazione attraverso la storia tra gli uomini e
Dio condotta dalla Chiesa sacramento.
Il Sacerdote è l’uomo del sacrificio. Colui che rende sacra la realtà
e la consacra a Dio. Ma il sacerdote è anche colui che media tra gli
uomini e Dio, colui che parla a Dio a nome degli uomini. La Chiesa
sacerdotale deve avvicinare con la sua presenza Dio e gli uomini, deve
rendere presente l’extramondano alla realtà concreta e viceversa. Per
far questo deve calarsi nel mondo, leggerne i segni, viverne le esperienze
più profonde e trasformarle in realtà divine. Al tempo stesso incarnando
misticamente il corpo di Cristo deve portarlo nelle realtà più nascoste
ed inaccessibili della realtà storica. Deve farsi Cristo per tutti gli
uomini.
In conclusione e semplificando non poco: questi tre momenti, insieme,
testimoniano che la Chiesa per la sua natura e per la sua missione è
immersa nella realtà storica e sociale degli uomini e che attraverso
questa realtà (non quindi con il suo rifiuto) ha il compito e la missione
di condurli alla meta del cammino.
4.4 Chi è in cammino non è ancora arrivato alla meta
La Lumen Gentium abbandona l’identificazione diretta della
Chiesa con Cristo, cercando di centrare la sua riflessione, più
modestamente e correttamente, su un concetto di Chiesa come mediazione e
sacramento (del concetto di sacramento ci occuperemo subito dopo aver
parlato della Chiesa). La Chiesa, basti qui accennare, viene descritta e
si comprende come segno e strumento efficace della grazia, funzione del
cammino e non più come mezzo o fine del cammino medesimo. Ma anche come
strumento la Chiesa è perfettibile ed alla ricerca di una sempre migliore
condizione, consapevole di essere inserita nel disegno salvifico del Padre
(LG, 2). La Chiesa ha consapevolezza di essere ancora
soggetta all’errore, al peccato,
ma anche nella possibilità di uscirne attraverso un cammino comune
a tutte le creature. Per
questo, con una espressione forse abusata, si afferma comunemente che la
Chiesa vive tra un “già” ed un “non ancora”:
“Già dunque è arrivata a noi l’ultima fase dei tempi
(cfr. 1 Cor 10,11). La rinnovazione del mondo è irrevocabilmente
acquisita e in certo modo reale è anticipata in questo mondo: difatti la
Chiesa già sulla terra è adornata di vera santità, anche se imperfetta.
Tuttavia, fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra
nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora (cfr. 2 Pt 3,13), la Chiesa
peregrinante nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono
all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo; essa vive tra
le creature, le quali ancora gemono, sono nel travaglio del
parto e sospirano la manifestazione dei figli di Dio
(cfr. Rm 8,19-22).” (LG 48). |