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Sommario anno XII numero 10 - ottobre 2003

 I NOSTRI PAESI - pagina 5

marino
Un insolito progetto
(Piercarlo D’Angeli) - Facciata o portale? Nessuno  dei due  termini interpreta pienamente il senso  della  proposta avanzata dal Sardi nel 1712 all’esterno della Chiesa della Madonna del Ss. Rosario a Marino.

In un edificio religioso la facciata solitamente definiva una struttura parietale  scissa dall’organizzazione interna ed  in grado di raffrontarsi e dialogare direttamente con lo spazio urbano. A Marino invece la struttura esterna della cappella,  inserita a posteriori nel  complesso monastico, non è stata pensata come un organismo autonomo ma  come l’elemento di mediazione tra lo spazio urbano ed il convento . 
Se di una facciata non si tratta, tantomeno si può pensare ad un portale,  dal momento che il Sardi non si è limitato al   proporzionamento del vano come era consuetudine; ha prospettato invece, mediante l’originalità di alcune forme e l’accentuazione decorativa, una soluzione che è andata ben oltre l’accezione  del termine.
Paolo Portoghesi ha scritto in proposito: “l’organismo…si presenta come qualcosa di intermedio tra una facciata vera e propria e un portale innestato sulla facciata”.  Una  sorta di  facciata-portale  che  evoca un’immagine architettonica non ben definita e denota, comunque, la difficoltà oggettiva di trovare  un’espressione  alternativa più aderente alla realtà, come può essere, ad esempio, la facciata-edicola. Anche in questo  caso però la definizione, riferita ad un modello classico rielaborato nel XVI secolo da Sebastiano Serlio, non riflette a pieno le intenzionalità dell’architetto che nella stesura del progetto non ha trascurato le implicazioni di natura urbanistica ed ha puntato con decisione al superamento dei limiti imposti dalla tradizione introducendo  motivi morfologico-iconologici.  Credo, comunque, che l’idea di una struttura  incentrata sul motivo “della porta e della finestra in edicola” sia  da attribuire innanzi tutto al desiderio del Sardi di tessere in uno spazio ristretto le lodi della committenza  e di alludere al tema della castità, indispensabile riferimento per introdurre ai cicli simbolici raffigurati nella chiesa. D’altra parte la piccola cappella, sebbene fosse destinata ad un  gruppo  di monache di clausura dedite alla contemplazione (contemplata aliis tradere è il motto domenicano), e non dovesse rispondere quindi a particolari esigenze propagandistiche e di rappresentanza, non avrebbe comunque potuto sottrarsi all’obbligo di denunciare all’esterno con tratti essenziali la sua presenza e l’identità dell’edificio nel quale era stata inserita.
Ad una lettura a distanza l’organismo  si presenta come una struttura unitaria che per effetto della luminosità  emerge dalla superficie di fondo per il candore della veste; mentre ad un esame ravvicinato svela una sorprendente complessità e una frammentazione compositiva derivante dalla sovrapposizione  di strutture autonome aventi la stessa matrice . 
Al livello della strada il trattamento dell’ordine architettonico propone un disegno che richiama da vicino lo schema della  facciata di un tempio. Lesene e pilastri disposti in diagonale, ed accostati  per colmare il distacco tra la parete di fondo ed il corpo sporgente proteso verso lo spazio libero, si raccordano ad un architrave con due spioventi a doppia flessione.
Il motivo dell’edicola  è introdotto per celebrare il compimento dell’opera e per sacralizzare lo spazio riservato alla contemplazione e alla preghiera. Nella parte tradizionalmente assegnata all’immagine sacra, infatti, la porta  diviene il simbolo dell’epifania divina poiché si identifica con la Vergine, definita nelle Litanie come la Porta dell’Oriente e la Porta del Cielo; essa segnala il limite tra il mondo profano e quello sacro e l’inizio di un cammino  privilegiato verso la preghiera e la santità.
Al livello superiore lo zoccolo frammentato è la  base  di appoggio   per l’edicola scenica. La parete arretra rispetto al filo sottostante e si organizza con un andamento a doppia curvatura che apre alle ali e presenta al centro la massima convessità. Ai lati due volute, vitalizzate dagli steli dei gigli che traggono forza dal nastro continuo avvolto a spirale, imprimono una spinta che genera un accumulo di energie che si risolvono in alto nella sinuosa curva della cuspide  del timpano.
L’inserimento di elementi floreali propri della scultura naturalistica denota nel  capomastro, al suo esordio come architetto, l’ansia  giovanile di trasferire nel linguaggio  compositivo i valori dinamici e simbolici derivati dalla scultura barocca.
All’interno dell’impaginato la rappresentazione emblematica non è una semplice sovrastruttura decorativa ma una vera e propria tecnica della comunicazione per immagini che genera l’ispirazione architettonica e ne diviene al tempo stesso parte integrante. Sulla parete convessa, infatti, la finestra è l’icona che simboleggia l’apertura sull’aria e la luce, lo sbocco naturale del flusso luminoso che evoca in modo illusorio l’immagine di una finestra aperta fra il cielo e la terra,  fra il mondo sensoriale e quello spirituale. Per il Sardi questo è il punto di partenza ed il pretesto per inscenare una rappresentazione fatta di immagini concorrenti in una unica interpretazione riassuntiva che si alimenta di associazioni visive e di simboliche allusioni. Le figurazioni si accordano tra loro e compongono una sorta di litania che attraverso il linguaggio emblematico tesse le lodi dell’ordine domenicano e inneggia alla castità femminile. Alla base della finestra il cane sdraiato, emblema dell’ordine monastico, è il  diretto discendente del cane mitico ed eroico civilizzatore della mitologia greca che ha ereditato la conoscenza dell’aldilà, e che più tardi Isidoro nelle“Etimologie” definisce come il più sagace e perspicace fra gli animali. I Domenicani sono infatti i cani del Signore (Domini-canes) poiché proteggono dalle insidie dell’eresia la sua Casa, come i cani proteggono dai pericoli la casa dell’uomo. Il tizzone ardente è il simbolo dell’azione fecondante della predicazione, illuminatrice e purificatrice; mentre il globo crociato poggiato sul dorso sottolinea il ruolo primario assunto dall’ordine nella difesa della dottrina cristiana nel mondo . Sopra la finestra la frattura della corposa cornice apre ad un “lumen universale” che risalta in modo preminente sull’impaginato architettonico. La sequenza visiva termina infatti con l’ovale, sorretto dalle ali e dal capo di un cherubino, nel quale è incastonata l’immagine di San Domenico, il santo fondatore che  stringe tra le mani un giglio, simbolo dell’abbandono mistico alla grazia divina. Nella tradizione biblica il giglio è anche il simbolo della scelta, dell’essere amato, privilegio della Vergine Maria fra le donne di Israele, e rappresenta, quindi, il cedere alla volontà di Dio e alla Provvidenza. È inoltre sinonimo di candore, di purezza e di verginità e per questo il suo inserimento sta a significare il passaggio tra quanto enunciato pubblicamente all’esterno e quanto dedicato esclusivamente alle claustrali all’interno della cappella. Sulla volta del vestibolo, infatti, le parole - Adducentur Regi Virgines Post Eam -, tratte dal salmo che celebra le nozze mistiche dell’anima fedele con Cristo,  risuonano come una esortazione a favorire le  vocazioni di giovani  vergini che verranno dopo di Lei.

nemi

Perdonaci, Bruno
(Bruna Macioci) - Non siamo eterni, purtroppo. L’evidenza di questo fatto ci colpisce all’improvviso, lancinante, quando perdiamo Bruno Previtali al lavoroqualcuno; quando tutti i pensieri ci portano su un irrimediabile ‘troppo tardi!’. L’uomo non può, non deve pensare che è mortale: se si lascia prendere da una troppo costante coscienza del fatto che un giorno morirà, si lascia scivolare sulla china pericolosa della depressione, del senso di inutilità dell’esistenza, dell’agire, del realizzare qualcosa. L’idea della morte non deve essere troppo presente alla nostra mente, bisogna - come dire? - riporla nel più lontano cassetto e lasciarla chiusa lì dentro; fingere di ignorare che ci sia. Ma quando ti muore qualcuno... Ci voleva più tempo, ci si dice. Bisognava avere più tempo, si sarebbe potuto ancora fare quel che volevamo fare. Ma tempo non ce n’è più.

Bruno Previtali, il maestro Previtali, se n’è andato. E non c’è ormai più tempo per fare tutto quello che si doveva, che si voleva ancora fare. Nemi e Genzano sono in lutto, perché hanno perso un artista e perché non hanno potuto fare in tempo a dargli tutti i riconoscimenti e le soddisfazioni che si meritava. Aveva da poco, dopo quasi dieci anni di lavoro totalmente gratuito, completato la meticolosa ricostruzione delle navi di Caligola in ferro battuto; le aveva esposte a Nemi in occasione dell’ultima Sagra delle Fragole, quando proprio intorno a questi suoi capolavori s’era allestita la Mostra dei Fiori. Ci aveva detto che non aveva spazio per metterle; che non poteva più sostenere le spese per il pur minuscolo locale in cui erano. Ci aveva chiesto un locale più acconcio per poterle tenere in mostra, ad istruzione e godimento dei visitatori, a ricompensa minima del gran lavoro e della gran passione. Il Comune di Nemi, ahimé, non aveva, non ha, locali adatti; dovemmo, a malincuore, negargli lo spazio che meritava, che avremmo voluto dargli. Il Sindaco si riservava di parlare con le Autorità competenti per poter far accogliere le navi di Previtali nel posto più adatto a loro: il Museo delle Navi romane, appunto. Ma non s’è fatto in tempo. Bruno se n’è andato, e qualunque cosa si riesca a fare adesso, non sarà lo stesso, perché lui non ne avrà la soddisfazione che gli ci voleva. Rimane il senso di inadempienza, rimane la rabbia dolorosa, rimane il dolore della perdita. Non abbiamo fatto in tempo perché si tende a non pensare che gli uomini sono mortali, e il tempo può sfuggire.
Perdonaci, Bruno. A nome di tutta l’Amministrazione Comunale di Nemi

 I NOSTRI PAESI - pagina 5

Sommario anno XII numero 10 - ottobre 2003