Prima
dei muraglioni
(Luca Ceccarelli) - I muraglioni innalzati sulle sponde del
Tevere alla fine dell’Ottocento hanno posto fine ai continui
straripamenti, che per secoli avevano reso perigliosa la vita lungo un
fiume che, per molti versi, restava comunque un centro importante della
vita romana. Con la loro imponenza, rappresentano una realizzazione molto
pregevole, che rende il corso d’acqua non più pericoloso, ma non lo
isola dalla vita della città. Tuttavia, l’innalzamento dei muraglioni
ha voluto dire la completa tabula rasa di vaste aree dei rioni a ridosso
del fiume.
Una
è, dalla parte di Trastevere, quella che veniva chiamata la Renella,
spiegheremo perché più avanti. Nel rione Trastevere, da Piazza Trilussa
parte ancora la Via del Politeama. Solo la via, oggi poco felicemente
invasa da automobili in sosta, perché il Politeama non esiste più. Era
un teatro che sorgeva nelle vicinanze, a valle dell’antico Ponte Sisto.
Una costruzione in legno, realizzata dal macchinista teatrale Luigi Venier,
inaugurata il 28 luglio del 1862 con uno spettacolo di prosa della
compagnia Cristofari – Archienti. Con una successiva ristrutturazione,
nel 1866, venne ingrandito fino alla capienza di tremila e cinquecento
persone. Altri interventi vi furono nel 1869 e nel 1875, quando il teatro
ebbe un sipario dipinto dal celebre pittore Onorato Carlandi, raffigurante
Orazio Coclite al ponte. In primavera e in estate vi si recitavano
anche il balletto e l’opera lirica (è qui che debuttò il celebre
tenore Francesco Marconi), e qualche volta, in estate, spettacoli di circo
equestre, fra cui quelli delle celebri famiglie Guillaume e Cisinelli
(paragonabili per importanza ai Togni e agli Orfei di oggi). Ma nel 1883,
la costruzione dei muraglioni impose la demolizione del Politeama, di cui
oggi rimangono solo vaghi ricordi di archivio.
Al termine di Via del Politeama, troviamo Via della Renella e Vicolo della
Renella. I nomi sono stati dati alle strade con una delibera comunale del
12 settembre 1947 (precedentemente Via del Politeama aveva un percorso più
lungo). L’intitolazione alla renella è un omaggio all’aspetto antico
di questa zona di Roma. Renella deriva da arenella, che proviene a sua
volta dal latino arenula, la sabbia fluviale che, depositata dal Tevere,
formava in questo punto della
sponda del fiume un arenile nei periodi di magra. Qui sorgeva, prima della
costruzione degli argini, un piccolo stabilimento balneare. Il Vicolo
della Renella, che sbocca su Via del Moro, è, comunque, molto antico: è
segnalato anche dalla pianta di Roma di Antonio Tempesta del 1593. Per
secoli, nel vicolo hanno abitato i barcaioli e i piloti che trasportavano
sul fiume merci e passeggeri, e un tempo era detto «de’ Macelli delle
Bufale», perché vi abitavano i macellari in case di proprietà
dell’Ospedale di S. Spirito. Qui aveva sede anche il Teatro delle Muse,
oggi situato nelle vicinanze del Policlinico; ai nn. 94 – 96 vi è un
palazzetto tardo – barocco a tre piani con un bel cornicione a mensole e
conchiglie con teste femminili.
Sempre
tra Ponte Sisto e Ponte Garibaldi, sulla sponda opposta del fiume sorge
l’antichissimo rione Regola, con il suo miscuglio di chiese monumentali,
palazzi signorili e botteghe artigiane. Per l’etimologia del nome di
questo rione, che già dal Medio Evo veniva chiamato “la Regola”,
torniamo ad arenula. Regola deriva infatti anch’esso dal latino arenula,
poi passato al volgare renola, poiché il rione terminava sulla sponda del
fiume, su cui si estendevano abitazioni sempre soggette alle piene e agli
straripamenti. Già, perché l’assenza di argini, lo abbiamo già detto,
significava una vita minacciata in permanenza dalla rovina, e anche dalla
morte.
Particolarmente miserevole al riguardo era la condizione dei “giudii”
del ghetto, nel rione Sant’Angelo, una parte del quale ha finito per
soccombere all’innalzamento dei muraglioni. Se da Ponte Sisto, tra la
foschia e gli alberi enormi dei lungoteveri, oltrepassiamo con lo sguardo
la struttura slanciata e moderna del Ponte Garibali oggi non ci appare che
l’Isola Tiberina, e la bizzarra
cupola della sinagoga. Ma prima dell’unità d’Italia, sulla sponda del
fiume si estendeva una parte del ghetto, con ben tre antiche sinagoghe al
posto di quella attuale, e condizioni di povertà, case fatiscenti con
l’inevitabile estrema sporcizia. Condizioni che i governanti del Regno
d’Italia, conquistata Roma nel 1870, giudicarono intollerabili, sia per
motivi di sicurezza che per il loro carattere manifestamente vessatorio, e
provvidero ad eliminarle rapidamente, sia risanando il “quartiere giudio”
che costruendo la sinagoga attuale, unica nel suo genere per la sua
cupola. Le sinagoghe, infatti, non hanno cupole, ma si voleva stabilire il
principio che nella capitale del nuovo regno c’era spazio per ogni
confessione religiosa, senza differenze di valore tra l’una e l’altra.
Per questo, tra le innumerevoli cupole delle chiese romane, doveva
innalzarsi anche la cupola di un tempio ebraico. Resta solo un certo
rammarico, al riguardo, per l’abbattimento delle tre sinagoghe
precedenti, di sicuro valore monumentale.
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