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Sommario anno XII numero 12 - dicembre 2003

 STORIA E CULTURA

Quei monelli di tanti anni fà
(Luca Ceccarelli) - Nei locali dell’ex carcere minorile del complesso monumentale di San Michele a Roma si è tenuta, nei mesi di ottobre e novembre la mostra, patrocinata dal comune di Roma, sui Monelli banditi. Scenari e presenze della giustizia minorile in Italia. Si tratta di un’interessante esposizione fotografica basata su un servizio, eseguito nel 1951 da fotografi dell’Istituto Luce su commissione del Ministero di Grazia e Giustizia. Le fotografie documentano la vita all’interno di carceri minorili e istituti di rieducazione che sorgevano, allora, in tutta Italia. Sono immagini di grande impatto, anche se appare piuttosto evidente che il servizio tendeva a mettere in evidenza gli aspetti di maggiore efficienza di questo apparato repressivo e rieducativo, allo scopo di dimostrare che gli istituti di pena e di rieducazione svolgevano con efficacia la funzione di redenzione e riabilitazione ad essi affidata.
Stiamo parlando di un’epoca in cui queste strutture, non molto diversamente dagli istituti per l’infanzia abbandonata, erano un elemento fondamentale del sistema statale di una nazione che veniva da una guerra rovinosa, che aveva ridotto vaste aree della popolazione alla fame, e aveva costretto numerosi bambini e adolescenti, oltre che adulti, ad arrangiarsi a vivere attraverso pratiche ai limiti della legalità, o decisamente illegali. In effetti non tutto funzionava a meraviglia in questo apparato. Alcune scene inserite da Vittorio De Sica nel suo capolavoro Sciuscià avevano segnalato, all’inizio del secondo Dopoguerra, la disumanità del trattamento a cui erano sottoposti i giovanissimi detenuti, ed è emblematico, a proposito del San Michele, il fatto che le condizioni di degrado all’interno della struttura fossero tali, all’inizio degli anni Cinquanta, da indurre i fotografi dell’Istituto Luce a non includerlo nel loro reportage fotografico. Anche nelle fotografie esposte ci sono una serie di segnali che non sfuggono all’osservatore attento, e che delineano uno scenario di tristezza e di derelizione: le caratteristiche stesse degli edifici degli istituti (alcuni dei quali costruiti da pochi anni) troppo grandi e tetri; i dormitori e i refettori enormi; i pasti preparati in enormi caldaie e consumati con stoviglie di alluminio; le divise anonime e tristi; e, soprattutto, i volti dei reclusi e delle recluse, spesso atteggiati ad un sorriso davanti alla fotocamera, ma altrettanto, troppo spesso visibilmente induriti, in qualche caso troppo precocemente smaliziati e scaltriti.
D’altra parte, si nota che in queste carceri e case correzionali sparse per l’Italia c’erano anche degli sforzi generosi, volti ad aiutare i reclusi e le recluse: in quegli anni l’impostazione mentale di tipo ancora moralistico che aveva imperato durante il Fascismo (al quale bisogna riconoscere, peraltro, una legislazione capillare e spesso di tutto rispetto in fatto di tribunali minorili) per la quale si vedeva nel colpevole un traviato che doveva espiare, cominciava a cedere il posto al concetto di disadattamento. Alcuni dirigenti del sistema penitenziario cominciavano timidamente a guardare ai “discoli” come a dei ragazzi “difficili”, che più che di espiazione avevano bisogno di un aiuto e di un sostegno particolare. E si vede come questo si traducesse nell’insegnamento, spesso impartito con metodi didattici all’avanguardia (la maggior parte dei giovani reclusi, al loro ingresso negli istituti, era analfabeta, o semianalfabeta), nel lavoro, che diventava, allo stesso tempo, una “terapia del lavoro” e un modo per aiutare i giovani, una volta usciti, a guadagnarsi da vivere, in un’assistenza medica forse non sempre di eccellente qualità, ma generalizzata e regolare, nei campi scoutistici in montagna per coloro che dimostravano ravvedimento e buona condotta.
È stato forse un bene il fatto che questa esposizione sia giunta proprio nei giorni in cui un ministro del governo Berlusconi sta tentando di smantellare in gran parte i cardini del sistema italiano di giustizia minorile, con l’assenso dell’intero governo e senza particolare turbamento da parte dell’opposizione parlamentare. Potrebbe dimostrare come l’”Italietta” del Fascismo e della ricostruzione, a suo modo, investiva con passione nell’assistenza a coloro che avevano più difficoltà ad inserirsi e a stare al passo. Più di quanto non facciano le classi politiche dell’Italia che siede al tavolo del G8.

 STORIA E CULTURA

Sommario anno XII numero 12 - dicembre 2003