Notizie in... Controluce Notizie in... Controluce
 Versione digitale del mensile di cultura e attualità dei Castelli Romani e Prenestini

sei il visitatore n.

 

home | indice giornali | estratti | info | agenda | cont@tti | cerca nel sito | pubblicità

 

Sommario anno XIII numero 1 - gennaio 2004

 VISTO DA...

La televisione che muore e “live tv”
(Claudio Comandini) - La televisione italiana era un tempo uno strumento con il quale, nel contesto delle speranze dell’Italia repubblicana, si cercava di trasmettere una cultura per un paese ancora in fase di unificazione, proseguendo con un nuovo supporto tecnologico l’opera intrapresa dalla monarchia e dal fascismo, che era rimasta sostanzialmente incompiuta. La vecchia televisione di stato, servizio pubblico dal solido impianto professionale, attenta alle esigenze didattiche oltre che a quelle di svago, conosceva spazi appositi per la poesia e offriva argomentate tribune politiche, e in essa la pubblicità costituiva perlopiù il pretesto per le sceneggiature di Carosello, spesso autonome rispetto al prodotto di riferimento.

All’inizio degli anni ‘80 Berlusconi, forte della protezione dell’allora potente Craxi, entra nel nascente pluralismo italiano e lo distrugge, acquistando piccole “Tv libere” che riorganizza secondo piatti criteri commerciali, cominciando a costringere la televisione di stato ad una concorrenza al ribasso, e costruendosi una legittimità “informazionale” molto più efficace degli strumenti della propaganda tradizionale. Dalla legge Mammì all’ingresso in politica di Berlusconi al (finora) mancato colpo del Ddl Gasparri la storia della televisione è quella del suo progressivo trasformarsi in uno strumento di manipolazione di massa, grazie al patinato squallore dei suoi programmi: varietà, soap opera, reality show, e sopratutto un’informazione di “indottrinamento”, accompagnano lo sviluppo di una politica che può definirsi come una pubblicità priva di prodotto.
La cosidetta legge Gasparri, che il presidente della repubblica Ciampi non ha firmato in quanto “non in linea con la giurisprudenza della Corte Costituzionale”, è uno degli strumenti con cui si tenta di fornire al conflitto d’interessi, strumento di mantenimento dell’anomalia italiana, un crisma legislativo, consentendo l’espansione dell’oligopolio dell’informazione esercitato dal presidente del consiglio Berlusconi e l’esclusione di tutti gli altri soggetti con una serie di “trucchi” anche piuttosto evidenti: introduce con il SIC, Sistema Integrato Comunicazioni, un parametro statistico falsato che accresce a dismisura le quote di mercato su cui calcolare l’antitrust; non riconosce limiti alle pubblicità televisive, inaridendo le disponibilità economiche per la carta stampata; anticipa forzatamente i tempi di realizzazione della Tv digitale per aggirare la sentenza della Corte Costituzionale n. 446 del 20 nov, 2002, che stabilisce dal gennaio 2004 la trasmissione via satellite di Rete 4; tende a realizzare una privatizzazione Rai priva di trasparenza sulle forme di finanziamento; non sfiora nemmeno il problema del conflitto di interessi. Parallelamente ad una azione legislativa che toglie i diritti piuttosto che garantirli, c’è la censura diretta che esclude professionalità riconosciute e dall’alto indice di gradimento, colpevoli di credere che l’informazione, nelle sue diverse forme, sia uno strumento critico di analisi della realtà, ed un servizio da offrire alle persone per permettergli una crescita culturale: Biagi, Santoro, Luttazzi, Massimo Fini e Sabina Guzzanti sono soltanto i primi nomi di una lista che comprende tutto il popolo italiano, elettori berlusconiani compresi, tutti insieme esclusi dallo stesso apparato che tende a controllarci.
Proprio Sabina Guzzanti, in una delle ultime battute dello strepitoso Raiot - Armi di distrazione di massa, fornisce una delle via d’uscita: “Pensa che bello se tutto questo fosse dal vivo”. Alle parole sono seguite i fatti, dove ventimila persone all’Auditorium di Roma hanno assistito alla replica live della trasmissione, trasmessa subito dopo dalla televisione satellitare di Jacopo Fo e da un’ampia rete di televisioni regionali; le denuncie di Mediaset e Rai, basate l’una su un’imputazione di reati d’opinione in cui vale una pretestuosa definizione di satira formulata dallo studio Previti (!), l’altra su una paradossale accusa di plagio in cui si fanno valere i diritti della trasmissione acquisiti dalla RAI, rispetto al sottile e raffinato gioco dalla Guzzanti sono un cane sdentato che abbaia alle ombre, e non reggono neppure sotto il punto di vista legislativo.  L’iniziativa della Guzzanti e quelle di altri operatori dell’informazione (fra cui Federico Orlando con art. 21, e Giulietto Chiesa con Megacheap) di determinare contesti non controllati, si accompagna al fenomeno popolare delle Street TV, televisioni di quartiere realizzate con tecnologia a basso costo (servirà pure a qualcosa il progresso, no?): la moltiplicazione di autonomie volutamente marginali rispetto al potere centrale porta alla demistificazione del grossolano incanto del Grande Fratello, basato sull’assurdo desiderio di una fama ormai così a buon mercato da non valere niente. Piuttosto, non è affatto necessario subire condizionamenti mediatici e accontentarsi di relazioni surrogate: fare televisione è affare di tutti, e possiamo renderla anche più interessante, più vicina ai nostri bisogni, alla nostra realtà. Le Street TV (ricordiamo Aut TV di S. Lorenzo a Roma, e Gaeta TV che serve una città con più di ventimila persone) realizzano le riprese dei consigli comunali, fanno telegiornali umoristici più attendibili di quelli veri, e ritrasmettono anche quello che le Tv di regime hanno espulso dai loro programmi; inoltre sono state oggetto di una proposta di legge, la n. 3708 del 21 febbraio 2003, presentata dai deputati Bulgarelli e Lion, in cui si prevede che parte del canone (un anacronismo nelle condizioni attuali, se non una rapina, visto che è anche ingiustificatamente aumentato) vada a disposizione di queste “televisioni comunitarie”.
Non si tratta di seguire le regole del gioco (come, seguendo una tarda scuola “situazionista”, ancora predica il buon Freccero), ma di prendere il giocattolo tutto intero nelle proprie mani, stabilendo nuove regole. La televisione va rifondata forse proprio rompendo la sua autoreferenzialità e la sua pretesa di risolvere il mondo, estremizzandone alcuni aspetti e connettendola con altre esperienze, che sono quelle veramente importanti, e quindi va definitivamente ricollocata accanto agli altri elettrodomestici.
Un fenomeno tutto a parte, che raccoglie questi motivi in modo originale, è quello di Live TV, fortunata serie di performances realizzate lo scorso anno allo spazio teatrale del centro sociale di Trastevere Il Cantiere, e attualmente sugli schermi di Teleambiente (lunedì alle 24:00 e giovedì alle 20:00), i cui studi si trovano nella campagna sotto Monte Porzio Catone. Ideata dal musicista americano Chris Blazen, compositore di avanguardia e inventore di strumenti musicali (fra i suoi progetti Bassifondi Orchestra, e Curva Chiusa, con cui è stato ospite anche alla Biennale di Venezia), Live TV nasce sostanzialmente da due istanze: dalla constatazione che l’attuale dittatura telecratica ha distrutto il terreno di molti ambiti di espressione, e dall’intenzione di ricostruire una cultura ripartendo inevitabilmente dall’ultimo gradino a cui siamo scesi. Il neo-produttore, che si definisce un “esule americano a Roma”, ha anche intrapreso un singolare “sciopero della pasta per protestare contro Berlusconi che ha rovinato la società italiana”. Live TV è creativa, bizzarra, imprevedibile, mette insieme una comicità viscerale con sofisticate tecniche digitali, fa pubblicità gratuite alle botteghe artigiane, riprende i gruppi underground al lavoro nei loro studi, realizza esplorazioni urbane alla scoperta dei “misteri di Roma”. Chi la vedrà, scoprirà che il sottoscritto è fra i sui protagonisti: il fatto di parlarne non è un tentativo di imitare il conflitto di interessi berlusconiano, ma esprime l’intenzione di coinvolgere chiunque ad essere parte di una nuova fase della storia della comunicazione. C’è solo da voltare le spalle a qualcosa che già è morto, e che ormai non ci appartiene più. Io, poi, non la vedo mai, neppure quando ci sono io.

 VISTO DA...

Sommario anno XIII numero 1 - gennaio 2004