Grottaferrata
S. Nilo e i
suoi tempi – 2
di Claudio Comandini
2. Uomini ed eventi al tempo della nascita di S. Nilo (parte 2)
Intorno al 910 a Bisanzio si sta concludendo il regno di Leone il Saggio,
cui è attribuita una raccolta di oracoli e profezie sul destino
dell’Impero. Leone VI Paleologo appartiene alla dinastia macedone, fondata
dal padre Basilio I, proclamatosi eletto direttamente da Dio, ed è
discepolo del patriarca di Costantinopoli Fozio. Fozio, in scisma con la
chiesa di Roma, sosteneva che nelle relazioni trinitarie lo Spirito Santo
discendesse solo dal Padre, e non anche dal Figlio; Fozio è contrastato
dai suoi imperatori, che preferiscono avere buoni rapporti con Roma:
Basilio I gli decreta un primo esilio, mentre Leone VI lo manda
definitivamente in un convento armeno. Leone è anche autore dei Basilika,
monumentale raccolta del diritto greco-romano, e combatte contro i Bulgari
di re Simeone, a cui successivamente è riconosciuta autonomia in un quadro
di relazioni che coinvolgono anche Roma. Con gli arabi Fatimidi, che oltre
a Reggio e Sicilia hanno conquistato anche Tessalonica per mano del
rinnegato bizantino Leone di Tripoli, l’imperatrice Zoe entrerà in tregua.
Se gli assedi a Costantinopoli sembrano allentarsi, diversi gruppi arabi
contendono a Bisanzio ampi territori.
Un importante presidio nel meridione bizantino è Rossano Calabro, il cui
nome medievale è Ruskia o Ruskiane, termine greco che deriva da Roscius,
famiglia romana governatrice del castrum. Rossano, dopo la conquista araba
della Sicilia e di Reggio è sede dello Stratego di Calabria, al cui
seguito si forma un ceto costituito dai più alti gradi della burocrazia
imperiale, e grazie alla riorganizzazione delle gerarchie ecclesiastiche
di Calabria ottiene la traslazione dell’antica sede episcopale di
Copia-Thuii.
Nel ducato di Napoli l’amministrazione bizantina (composta di catepani e
strategòi di nomina greca, che venivano spesso cambiati, e di “dipendenti
fissi” autoctoni), basata su unità fiscali che assimilavano territori
urbani e rurali (distinguendoli in kastra, territori fortificati, e khorìa,
insediamenti aperti), deve fare i conti a Salerno e a Capua con la
componente longobarda e le spinte autonomistiche, alle quali a Benevento,
Napoli e Gaeta si aggiunge l’influenza diretta del potere di Roma, mentre
ad Amalfi s’intrattengono regolari rapporti commerciali con gli arabi;
inoltre in queste città gli ebrei hanno un ruolo rilevante anche
nell’amministrazione pubblica.
Altri ex possedimenti bizantini in Italia sono l’Esarcato (Ravenna,
Ferrara, Bologna, Adria) la Pentapoli marittima (Rimini, Pesaro, Fano,
Sinigallia, Ancona), la Pentapoli montana (Urbino, Cagli, Iesi, Osimo,
Gubbio), le Venezie con Rivo Alto: qui già dal VII sec. la presenza
longobarda e il ruolo degli eserciti cittadini hanno portato i temi, unità
territoriali e amministrative dello stato bizantino, a svilupparsi in
autonomie locali. Dopo la conquista carolingia le zone del Ducato Romano
sono cedute alla Chiesa di Roma, che esercita controllo anche su Tuscia e
Pentapoli già dalla donazione di Sutri (728) fatta dal re longobardo
Liutprando. Le isole invece appartengono all’Esarca dell’Africa.
Intorno al 910 gli arabi si disputano le zone d’influenza nel meridione
italiano. Sicilia e Reggio, già conquistate ai bizantini dagli Aghlabiti,
ribelli berberi dell’Africa settentrionale, sono contese da altri gruppi
arabi: i Fatimidi, che travolgono gli Aghlabiti diffondendosi in Tunisia,
Egitto, Palestina e Siria, e gli Abbassidi, discendenti dello zio di
Maometto al-Abbas, che hanno posto la capitale a Baghdad. L’avamposto dei
Fatimidi, che con al-Mahadi predominano nel sud Italia, è Garigliano,
fiume sotto Gaeta, da cui invadono Campania, Sabina e Tuscia. La presenza
araba è poi a Gaeta, Tratto, Ostia e Centumcelle (l’odierna Civitavecchia),
da dove arrivano fino alla basilica di S. Paolo fuori le mura di Roma.
Oltre zone di Sardegna e Corsica, un’importante base nel mediterraneo è
Frassineto in Provenza, da dove gruppi di Omayyadi penetrano in Liguria e
Piemonte. Le incursioni spesso accadono con la connivenza dei principi
locali, che preferiscono accordarsi con gli arabi piuttosto che con
longobardi o bizantini, e sono causate anche dai conflitti interni ai
differenti gruppi.
I Fatimidi sono ismailiti, appartengono al gruppo sciita, e da loro
prendono origine i Drusi; nella loro concezione la discendenza di Alì,
genero di Maometto, esprime un potere religioso e politico di tipo
teofanico. Mentre i Fatimidi, che riescono anche ad imporre una dinastia
sciita a Medina e alla Mecca, scompariranno nell’arco di poco più di un
secolo, gli Abbasidi tendono a diventare il gruppo prevalente, accentrando
il potere attraverso la figura dei visir e un concetto di “superiorità
dinastica” non condizionato dalla diffusa pratica del concubinaggio. Gli
Abbassidi considerano la cultura greca ulam al’wail, “scienza degli
antichi”, e ne valorizzano sia gli elementi tecnico-empirici e medici che
quelli neoplatonici e introspettivi; il trasferimento a Baghdad li espone
all’influenza di Persia e India. Gli Omayyadi, discendenti Omar, seguace
di Maometto, cacciati dalla rivolta Abbasside da Damasco, mantengono
l’influsso greco-bizantino e persiano, sia a livello artistico e culturale
che nelle forme amministrative; spiccatamente aperti all’apporto di altri
popoli e culture, con l’emirato di Cordova in al-Andalus coinvolgeranno la
penisola iberica per circa tre secoli. Tutte queste realtà distinte e
rivali, a cui si aggiungono ribelli e pirati, vengono dagli Europei del
tempo generalizzate come Saraceni, originariamente nome di una tribù
semita del Sinai: i popoli musulmani invece, come attesta anche il Corano,
chiamano “Romani” i Bizantini. Le popolazioni arabe sono intenzionate a
passare dal saccheggio dei territori della penisola, la “lunga terra”,
alla loro conquista.
Intorno al 910 a Roma capo dell’amministrazione e delle milizie a palazzo
SS. Apostoli è Teofilatto, iudex dativus vestatarius magister militum
senatur romanorum consula, sposo alla serenissima vesteratis Teodora.
Teofilatto de via Lata, la cui origine bizantina o ravennate suggerita dal
nome è molto incerta, già dal 901 risulta fra i maggiorenti romani non
patrizi nominati da Ludovico III, l’imperatore sostenuto da Berta di
Lotaringia e Adalberto II di Toscana. Fra gli iudices c’è anche
Crescenzio: i discendenti di Teofilatto e Crescenzio, pur imparentandosi,
resteranno sempre in contrasto; Teodora, aristocratica moglie di
Teofilatto, si fa spesso appartenere al “complesso parentale” della gens
anicia.
Teofilatto e Teodora rappresentano nelle vicende romane il prevalere di un
ceto dirigente che si afferma con l’estinzione del forte partito spoletano
e la decadenza di quello tedesco. Il conflitto fra le due parti era fra le
ragioni del grottesco processo al cadavere di papa Formoso, reo di aver
eletto due imperatori, prima lo spoletano Lamberto III, e poi il tedesco
Arnolfo di Carinzia. Marchese di Spoleto e Camerino è adesso Alberico I,
avventuriero franco-longobardo già feudatario del potente imperatore Guido
da Spoleto, e poi del perennemente contrastato Re d’Italia e pretendente
alla corona imperiale Berengario I duca del Friuli; Alberico I sta
sposando Marozia, figlia di Teofilatto e Teodora, e con Adalberto II di
Toscana e Berta di Lotaringia è fra i sostenitori di Sergio III, tuscolano.
Sergio III, affermatosi definitivamente nel 904, è stato fra i promotori
del sinodo alla salma di Formoso, e una sua precedente elezione papale è
stata annullata da Giovanni IX, che riabilita Formoso. Forte uomo di
potere, Sergio III contrasta le teorie di Fozio sulla Trinità, stabilendo
per il dogma della processione dello Spirito Santo dal Figlio, e mantiene
buoni rapporti con Bisanzio riconoscendo il quarto matrimonio di Leone VI;
inoltre fa numerose donazioni agli episcopati danneggiati dagli arabi,
ricostruisce la basilica lateranense, annulla le ordinazioni fatte da
Formoso e promuove l’opera d’assimilazione di clero e aristocrazia romana.
Alberico I partecipa con Teofilatto e Giovanni X alla battaglia di
Garigliano (915) dove sconfiggono gli arabi, anche con il concorso della
flotta bizantina dell’esarca dell’Africa. Durante un’invasione di Ungari
calati in seguito ai conflitti che coinvolgono Berengario I e Rodolfo II,
Alberico I tenta il colpo di mano a Roma contro Giovanni X, ma muore ad
Orte (924). Marozia è stata amante di Sergio III, forse padre del
pontefice Giovanni XI, e poi di Giovanni X, già vescovo di Ravenna,
favorito da sua madre Teodora e da lei destituito, e sarà inoltre marchesa
di Toscana con Guido da Toscana e regina d’Italia con Ugo di Provenza,
ambedue figli di Berta. Berta e Marozia, al di là dei pregiudizi con i
quali una storiografia “maschile” le ha spesso ricoperte, sono le figure
chiave della politica italiana ed europea nel periodo che separa l’impero
carolingio da quello sassone. (2. continua)
grottaferrata
La temeraria
arte del sottile
(Alexander von Prellwitz) - Esiste, e quanto è sottile il
confine tra coraggio e presunzione? È possibile distinguere l’uno
dall’altra?
Penso che proporre in un concerto un confronto tra la musica di Bach e
quella del contemporaneo Telemann sia un’impresa che neanche i musicisti
più preparati affronterebbero a cuor leggero - vuoi per la grande perizia
strumentale, vuoi per le doti interpretative fuori dal comune richieste.
Eppure, proprio questo ha fatto il quartetto “Cappella musicale Enrico
Stuart duca di York”, composto da R. Ciuffa (flauto dolce), B. Re (viola
da gamba), F. Del Sordo e P. Delle Chiaie (clavicembalo) nella serata
ospitata dall’ Abbazia di S. Nilo a Grottaferrata. Coraggio, dunque? Senza
dubbio, ma anche presunzione e un mancato riconoscimento dei propri
limiti. I brani suonati sono stati eseguiti in maniera esitante, spesso
fuori tempo, a momenti francamente imbarazzante (durante la sonata in fa
per flauto e cemb. obl. di Bach, flauto e viola non volevano saperne di
suonare una scala in sincronia).
Un’idea lodevole, quindi, quella proposta dal quartetto, ma realizzata con
mezzi forse inadeguati. Coraggio e presunzione che camminano a braccetto.
Eppure, alla fine, a essere premiato è stato il loro coraggio, salutato
dagli applausi del numeroso pubblico intervenuto. Le conclusioni tiratele
voi.
frascati
Un nuovo
edificio scolastico
(Massimo Silvi) - A seguito della lettera inviata
nell’ottobre scorso alla Provincia di Roma, in cui Sindaco di Frascati e
Consigliere Provinciale Francesco Paolo Posa segnalava l’area da destinare
alla realizzazione di un nuovo edificio scolastico, alla fine di dicembre
due tecnici della Provincia di Roma, accompagnati dal primo cittadino e
dal direttore generale del Comune di Frascati Antonio Di Paolo, hanno
effettuato un sopralluogo sul sito individuato, e successivamente
acquisito dai tecnici comunali una serie di documenti. La struttura
dovrebbe sorgere su un terreno limitrofo all’attuale complesso di Villa
Sciarra, ed interessare una superficie di circa 14.000 mq, in parte
destinata a residenza pubblica e in parte a verde architettonico. |