Christian
Zacharias e la danza dei cristalli colorati
(Giuliana Gentili) - Venerdì 23 gennaio, per la stagione da
Camera dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, abbiamo assistito al
“recital”
del pianista Christian Zacharias che ha eseguito pagine di Mozart e di
Ravel.
Il concerto si è aperto con le meravigliose note della Fantasia in re
minore K 397 di Mozart, per poi proseguire con il Rondò in re maggiore K
485. Ancora una Fantasia, quella in do minore K 396 e poi ancora un Rondò
in fa maggiore K 494. Chiudevano la prima parte del concerto la Sonatina
di Ravel e, dello stesso autore, i bellissimi, delicatissimi ed eleganti
Valses nobles et sentimentales. Quasi in maniera speculare, la seconda
parte del concerto iniziava con Ravel, Pavane pour une infante défunte e
Jeux d’eau, per chiudere ancora con Mozart e la sua Piccola Marcia Funebre
K 453a, e la meravigliosa quasi “drammatica” Sonata in do minore K 457.
Non ci soffermiamo sull’analisi dei brani eseguiti, su quello che hanno
rappresentato storicamente per la letteratura pianistica, non serve fare
l’analisi compositiva e formale del programma per descrivere quanto la
serata sia stata densa di emozioni e di sorprese. Ravel e Mozart, dunque,
a regalarci, attraverso la splendida ed impeccabile esecuzione di questo
grande pianista, momenti di altissima e profonda emozione, di colore, di
musica pura. Ma la meraviglia più grande è stata quella di attraversare,
guidati per mano, di vedere sfilare più di un secolo di storia della
musica e di letteratura pianistica (dalla fine del ‘700 all’inizio del
‘900), più di un secolo di colori musicali, di modi espressivi e di forme,
senza quasi accorgersene. Mozart e Ravel, due compositori così lontani nel
tempo (soprattutto se consideriamo che fra i due c’è stato di mezzo il
periodo Romantico, che per la letteratura pianistica così tanto ha
significato, così denso e carico di avvenimenti e
compositori
che tanto a questo strumento hanno dato); eppure, il dialogo fra i due,
attraverso le mani ed il cuore di Christian Zacharias, è stato sublime. Un
critico americano diceva di questo eccellente pianista: “A guardarlo
suonare sembra di spiare un pittore che stende i colori sulla tela o uno
scultore che modella la creta. È come se per lui la musica fosse una
materia solida da sagomare nell’aria: le sue mani, il suo corpo, il suo
volto, tutto tende a dar forma alla frase musicale. Il suo è un suono
liquido e aereo al tempo stesso”. Del resto, che fosse un eccellente
esecutore del grande Mozart lo aveva già dimostrato quattro anni fa
suonando l’intero ciclo dei 27 concerti per pianoforte e orchestra in giro
per il mondo in veste non solo di pianista ma anche di direttore
d’orchestra. Ma la sfida del concerto di venerdì scorso è stata quella di
unire “la grazia, la leggerezza e la perfezione formale di Mozart, con
l’estro e la vastissima tavolozza timbrica del Compositore francese”. Non
un programma studiato dunque per portare alla luce una tecnica da fuochi
d’artificio, nessun brano che proponesse o presupponesse il cosiddetto
virtuosismo pianistico a volte fine solo a se stesso e proprio questo, a
mio avviso, ha contribuito a dare al concerto quel carattere sublime e di
estrema purezza. Tutte le note cantavano, risuonavano pulite nell’aria,
una dopo l’altra, una più colorata dell’altra, una diversa dall’altra.
Sembrava di vederle quasi danzare come fossero tanti piccoli,
meravigliosi, perfetti cristalli dai colori più disparati. E sembra che
questa sia una delle più grandi difficoltà che un pianista si trova ad
affrontare durante gli anni di studio e più in là nella preparazione e
costruzione dei suoi repertori, la ricerca del suono, del tocco, del
colore, di quella forma espressiva che nessuno spartito, per quanto pieno
di simboli a supporto della pura notazione musicale, riesce a trasferire.
Un’altra dimostrazione di quanto le cose che apparentemente appaiono più
semplici siano poi quelle più difficili da affrontare, ancor più difficile
è comunicarle in modo tale da non farle sembrare banali nella loro
semplicità, piatte nell’esecuzione. Con Zacharias il rischio non si corre
certo, sembrava non finisse mai di tirare fuori colori, tinte, suoni;
sembrava che fossero finiti e ce ne proponeva altri ed altri ancora,
sembrava non si potesse andare oltre e invece ce n’erano ancora da
scoprire e da apprezzare, sembra davvero che si portasse dentro quella
tavolozza di colori infinita e che riuscisse in modo magistrale ad usarla,
a rimescolarne in continuazione gli elementi per crearne di nuovi. Questo
è ció che probabilmente lo rende uno degli interpreti piú apprezzati dei
nostri tempi non solo da parte della critica ma anche da parte del grande
pubblico. |