Libertà
di parola in pericolo?
(Emanuela Evangelisti) - Se è vero, come si dice, che una
settimana in politica è lunga, è anche vero che la velocità con cui fatti,
dichiarazioni e commenti si susseguono la rende più breve di quanto non si
pensi.
L’ultima
settimana di gennaio ha rappresentato una sorta di test d’idoneità per il
governo Blair, messo a dura prova, negli ultimi mesi, non soltanto dagli
oppositori, ma dalla stessa opinione pubblica britannica, insoddisfatta,
tra le altre cose, della sua politica sull’Iraq, prima e dopo la guerra.
Superata, a malapena, con una maggioranza di soli cinque voti la prima
prova riguardante la proposta del governo sulle top-up fees, - le
tasse universitarie a lungo termine - solo ventiquattro ore dopo, il 28
gennaio, il governo britannico ne ha superata a pieni voti un’altra, ben
più importante dal punto di vista della rispettabilità e del decoro
pubblico.
Ma le sorprese
non finiscono qui: le istanze e i temi che si sono discussi in tale
settimana politica si sono strutturati in tali intricate combinazioni, da
portare alle dimissioni del presidente e del direttore generale di
un’emittente di stato, in seguito ad un’inchiesta sulle circostanze
riguardanti la morte del dr. David Kelly, microbiologo, esperto in materia
di armi.Il caso è reso ancora più grave dalla circostanza che l’emittente
in questione è uno dei colossi informativi mondiali, sinonimo
d’accuratezza e imparzialità, nonché simbolo, da più di ottanta anni, di
un sano e indipendente giornalismo. Stiamo parlando ovviamente della
British Broadcasting Corporation (BBC) e dei tumulti che la insidiano
da mercoledì 28 gennaio, quando il fatidico verdetto di Lord Hutton è
stato pronunciato, disegnando una precisa linea di demarcazione tra buoni
e cattivi, con il governo laburista tra i primi, abbondantemente
scagionato da ogni accusa, e la BBC, paradossalmente colpevole di
falsa testimonianza, a causa delle affermazioni di un suo dipendente,
Andrew Gilligan, durante il programma Today, in onda via radio lo
scorso 29 Maggio, che riportava presunte confessioni di David Kelly,
secondo cui il governo avrebbe “gonfiato” il dossier che ha preceduto,
giustificandola ufficialmente, l’invasione dell’Iraq da parte delle truppe
britanniche. Secondo Lord Hutton, David Kelly non ha mai fatto le
affermazioni che Andrew Gilligan gli attribuisce. Di conseguenza, le
dichiarazioni trasmesse sono infondate e le misure editoriali della BBC si
sono rivelate fallimentari, poiché hanno permesso alla storia raccontata
da Gilligan di andare in onda senza controlli.
Numerose, e da
più parti, si sono susseguite le polemiche, non soltanto in riferimento al
contenuto del verdetto, ma anche in relazione a tutto ciò che esso non
contiene. Ha cominciato Gavyn Davies, ex-presidente della BBC,
quando, in occasione delle sue non spontanee dimissioni, dopo aver preso
atto degli errori commessi, ha messo in discussione alcuni punti del
lavoro del giudice Hutton: per esempio il fatto che questi non sembra aver
tenuto in sufficiente conto la pressione del governo cui la BBC è
stata sottoposta durante la copertura informativa della guerra in Iraq;
inoltre, dopo aver rifiutato come false le affermazioni di Gilligan, il
giudice non si sarebbe preoccupato di prendere in considerazione quello
che David Kelly aveva detto alla reporter Susan Watts di Newsnight.
È stata poi la
volta di Greg Dyke, anch’egli, come Davies, vicino al partito laburista,
ad essere costretto a dimettersi, il giorno dopo, nonostante le proteste
di centinaia di suoi dipendenti. “Penso che ogni organizzazione
giornalistica, ogni testata, ogni emittente in questo paese - ha
affermato l’ex-direttore generale della BBC - dovrebbe cominciare a
preoccuparsi se viene seguita quella linea, perché ciò che essa sancisce è
che le preoccupazioni su fatti di interesse pubblico nutrite da chiunque
all’interno del governo, o di un qualsiasi settore civile, come è il caso
di Kelly, non possono essere trasmesse, e quindi rese pubbliche, a meno
che non si dimostri che sono vere. Questa è la mia lettura del rapporto
del giudice Hutton”. Dyke, inoltre, ha attaccato il modo in cui
Alastair Campbell, ex direttore delle comunicazioni di Tony Blair ha
accolto la sentenza di Hutton, da cui è uscito senza macchia. Campbell,
infatti, ha attaccato violentemente la BBC, accusando membri del
suo staff di “menzogne imperdonabili” e chiedendo dimissioni a iosa.
Numerose le
polemiche nelle file dei giornalisti, talvolta sottili, tal’altra
eleganti, oppure esplicitamente ironiche, come quelle di Jeremy Paxman,
conduttore di Newsnight, il quale, ben noto per le sue battute
provocatorie e le domande palesemente retoriche, ha domandato ad Alastair
Campbell come mai, se il dossier sull’Iraq non era stato “gonfiato”, non
si erano ancora trovate le cosiddette armi di distruzione di massa. La
risposta di Campbell è stata che tali questioni non riguardano il suo
ruolo specifico.
Si è parlato di
whitewash e di cover up. Si sono fatti riferimenti a casi di
copertura come il Widgery Report del 1972 sull’uccisione, da parte di
paracadutisti britannici, di quattordici inermi manifestanti per i diritti
civili in Irlanda del Nord (Bloody Sunday). Allora il giudice
Widgery difese i soldati dalle accuse, concludendo che avevano aperto il
fuoco soltanto dopo essere stati attaccati. Il caso suscitò tanto
scalpore, da spingere Tony Blair, un quarto di secolo dopo, ad aprire
un’altra inchiesta , ancora oggi in corso da parte del giudice Saville.
I fatti cui
abbiamo assistito negli ultimi giorni hanno visto come parte in causa una
categoria pubblica, quella dell’informazione, d’importanza fondamentale in
qualsiasi democrazia. Ciò che si è messo in discussione non è una persona
singola, o un gruppo di impiegati, ma un principio cui tutti crediamo, nel
Regno Unito come altrove. Il principio è quello del free speech, la
libertà di parola in tutte le sue forme, la cui urgenza è tanto più forte,
quanto più il suo contesto è pubblico e non privato, perché è dal suo
essere accessibile a molti che deriva la capacità che essa ha di creare
opinione e coscienza collettive, senza le quali nessun processo
democratico può svilupparsi. Ciò, del resto, non significa contraddire
l’idea che Tony Blair ha espresso, e che abbiamo letto e sentito ripetere
in molti quotidiani e telegiornali, BBC in primis, che il diritto dei
media di commentare e criticare non deve includere false accuse. Ogni
cittadino ha comunque il diritto di sapere e di avvalersi della facoltà
del dubbio, anche - e soprattutto - quando esso riguardi le persone che lo
rappresentano come governanti. Oggi non possiamo negare che Gilligan e
altri abbiano fornito le opportunità perché questo avvenga. |