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Sommario anno XIII numero 3 - marzo 2004

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Libertà di parola in pericolo?
(Emanuela Evangelisti) - Se è vero, come si dice, che una settimana in politica è lunga, è anche vero che la velocità con cui fatti, dichiarazioni e commenti si susseguono la rende più breve di quanto non si pensi.

L’ultima settimana di gennaio ha rappresentato una sorta di test d’idoneità per il governo Blair, messo a dura prova, negli ultimi mesi, non soltanto dagli oppositori, ma dalla stessa opinione pubblica britannica, insoddisfatta, tra le altre cose, della sua politica sull’Iraq, prima e dopo la guerra. Superata, a malapena, con una maggioranza di soli cinque voti la prima prova riguardante la proposta del governo sulle top-up fees, - le tasse universitarie a lungo termine - solo ventiquattro ore dopo, il 28 gennaio, il governo britannico ne ha superata a pieni voti un’altra, ben più importante dal punto di vista della rispettabilità e del decoro pubblico.
Ma le sorprese non finiscono qui: le istanze e i temi che si sono discussi in tale settimana politica si sono strutturati in tali intricate combinazioni, da portare alle dimissioni del presidente e del direttore generale di un’emittente di stato, in seguito ad un’inchiesta sulle circostanze riguardanti la morte del dr. David Kelly, microbiologo, esperto in materia di armi.Il caso è reso ancora più grave dalla circostanza che l’emittente in questione è uno dei colossi informativi mondiali, sinonimo d’accuratezza e imparzialità, nonché simbolo, da più di ottanta anni, di un sano e indipendente giornalismo. Stiamo parlando ovviamente della British Broadcasting Corporation (BBC) e dei tumulti che la insidiano da mercoledì 28 gennaio, quando il fatidico verdetto di Lord Hutton è stato pronunciato, disegnando una precisa linea di demarcazione tra buoni e cattivi, con il governo laburista tra i primi, abbondantemente scagionato da ogni accusa, e la BBC, paradossalmente colpevole di falsa testimonianza, a causa delle affermazioni di un suo dipendente, Andrew Gilligan, durante il programma Today, in onda via radio lo scorso 29 Maggio, che riportava presunte confessioni di David Kelly, secondo cui il governo avrebbe “gonfiato” il dossier che ha preceduto, giustificandola ufficialmente, l’invasione dell’Iraq da parte delle truppe britanniche. Secondo Lord Hutton, David Kelly non ha mai fatto le affermazioni che Andrew Gilligan gli attribuisce. Di conseguenza, le dichiarazioni trasmesse sono infondate e le misure editoriali della BBC si sono rivelate fallimentari, poiché hanno permesso alla storia raccontata da Gilligan di andare in onda senza controlli.
Numerose, e da più parti, si sono susseguite le polemiche, non soltanto in riferimento al contenuto del verdetto, ma anche in relazione a tutto ciò che esso non contiene. Ha cominciato Gavyn Davies, ex-presidente della BBC, quando, in occasione delle sue non spontanee dimissioni, dopo aver preso atto degli errori commessi, ha messo in discussione alcuni punti del lavoro del giudice Hutton: per esempio il fatto che questi non sembra aver tenuto in sufficiente conto la pressione del governo cui la BBC è stata sottoposta durante la copertura informativa della guerra in Iraq; inoltre, dopo aver rifiutato come false le affermazioni di Gilligan, il giudice non si sarebbe preoccupato di prendere in considerazione quello che David Kelly aveva detto alla reporter Susan Watts di Newsnight.
È stata poi la volta di Greg Dyke, anch’egli, come Davies, vicino al partito laburista, ad essere costretto a dimettersi, il giorno dopo, nonostante le proteste di centinaia di suoi dipendenti. “Penso che ogni organizzazione giornalistica, ogni testata, ogni emittente in questo paese - ha affermato l’ex-direttore generale della BBC - dovrebbe cominciare a preoccuparsi se viene seguita quella linea, perché ciò che essa sancisce è che le preoccupazioni su fatti di interesse pubblico nutrite da chiunque all’interno del governo, o di un qualsiasi settore civile, come è il caso di Kelly, non possono essere trasmesse, e quindi rese pubbliche, a meno che non si dimostri che sono vere. Questa è la mia lettura del rapporto del giudice Hutton”. Dyke, inoltre, ha attaccato il modo in cui Alastair Campbell, ex direttore delle comunicazioni di Tony Blair ha accolto la sentenza di Hutton, da cui è uscito senza macchia. Campbell, infatti, ha attaccato violentemente la BBC, accusando membri del suo staff di “menzogne imperdonabili” e chiedendo dimissioni a iosa.
Numerose le polemiche nelle file dei giornalisti, talvolta sottili, tal’altra eleganti, oppure esplicitamente ironiche, come quelle di Jeremy Paxman, conduttore di Newsnight, il quale, ben noto per le sue battute provocatorie e le domande palesemente retoriche, ha domandato ad Alastair Campbell come mai, se il dossier sull’Iraq non era stato “gonfiato”, non si erano ancora trovate le cosiddette armi di distruzione di massa. La risposta di Campbell è stata che tali questioni non riguardano il suo ruolo specifico.
Si è parlato di whitewash e di cover up. Si sono fatti riferimenti a casi di copertura come il Widgery Report del 1972 sull’uccisione, da parte di paracadutisti britannici, di quattordici inermi manifestanti per i diritti civili in Irlanda del Nord (Bloody Sunday). Allora il giudice Widgery difese i soldati dalle accuse, concludendo che avevano aperto il fuoco soltanto dopo essere stati attaccati. Il caso suscitò tanto scalpore, da spingere Tony Blair, un quarto di secolo dopo, ad aprire un’altra inchiesta , ancora oggi in corso da parte del giudice Saville.
I fatti cui abbiamo assistito negli ultimi giorni hanno visto come parte in causa una categoria pubblica, quella dell’informazione, d’importanza fondamentale in qualsiasi democrazia. Ciò che si è messo in discussione non è una persona singola, o un gruppo di impiegati, ma un principio cui tutti crediamo, nel Regno Unito come altrove. Il principio è quello del free speech, la libertà di parola in tutte le sue forme, la cui urgenza è tanto più forte, quanto più il suo contesto è pubblico e non privato, perché è dal suo essere accessibile a molti che deriva la capacità che essa ha di creare opinione e coscienza collettive, senza le quali nessun processo democratico può svilupparsi. Ciò, del resto, non significa contraddire l’idea che Tony Blair ha espresso, e che abbiamo letto e sentito ripetere in molti quotidiani e telegiornali, BBC in primis, che il diritto dei media di commentare e criticare non deve includere false accuse. Ogni cittadino ha comunque il diritto di sapere e di avvalersi della facoltà del dubbio, anche - e soprattutto - quando esso riguardi le persone che lo rappresentano come governanti. Oggi non possiamo negare che Gilligan e altri abbiano fornito le opportunità perché questo avvenga.

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