La fonte
pubblica nel centro-origine dello spazio e della storia
(Piercarlo D’angeli) - L’acqua nei suoi aspetti materiali,
sociali e religiosi ha percorso traversandole le più svariate culture.
Principio
delle sedi stabili e condizione indispensabile del vivere associato, per
il suo carattere pervasivo è entrata in ogni forma di vita e venendo a
contatto con l’uomo ha assunto a seconda dei luoghi e dei tempi
significati e connotazioni simboliche diverse.
Ripercorrendo il rapporto millenario tra l’uomo e l’acqua, riaffiora alla
mente l’accoglienza che gli abitanti delle città le riservarono nel XIII
secolo in coincidenza con
due
altri avvenimenti di eccezionale portata: la costruzione dell’acquedotto e
la realizzazione della fontana nella Piazza Maggiore di Perugia. Con
l’affermarsi delle autonomie comunali, infatti, l’acqua perse il suo
carattere cultuale e tornò ad essere il bene pubblico di un tempo. Fonte
di vita e simbolo delle origini e della storia della città, essa
rappresentò per analogia la condizione della vita individuale, la
freschezza delle impressioni, la capacità di ravvisare e di portare le
novità perpetue nella vita di ogni giorno. Interpretò, inoltre, il valore
e il carattere sacrale del centro-origine della città, quel punto
privilegiato da cui si consideravano emanate la potenza, la durata e la
prosperità urbana. Dal canto suo la fontana, costruita appositamente per
raccogliere e distribuire il bene materiale, divenne per le autorità
l’occasione per diffondere tra la popolazione un messaggio iconografico
volto a celebrare la crescente gloria cittadina e l’ampliarsi della storia
Numerose
fontane furono realizzate a partire dalla seconda metà del XIII secolo
nelle principali piazze dei più importanti comuni italiani, a riprova di
una tendenza che andava via via affermandosi e che vedeva lo stato
comunale proporsi come legittimo continuatore della tradizione antica ed
interprete della storia.
Ad Orvieto nel 1276, al termine dei lavori dell’acquedotto che dalle
colline dell’Alfina convogliava le acque sulla rupe cittadina, l’autorità
comunale dette inizio a un processo di rinnovamento della città
promuovendo tra le altre cose il restauro del Palazzo comunale e la
costruzione della fonte pubblica nella piazza Maggiore. (fig.1)
Le cronache del tempo così la descrivono: “…En son centre s’eleive alors
une fontaine à la quelle on accède par quelques gradins cui mement à une
première vas de bronze; une haut colonne supporte une deuxième vasque plus
petite d’où s’ecoule l’eau”. Di fronte al Palazzo comunale, alla Chiesa e
alla Torre dodecagona, simboli del potere civile e religioso, la fontana
rappresentò un avvenimento storico di vasta portata che, oltre a fissare
il punto d’inizio dello sviluppo urbanistico e architettonico della città,
segnò l’atto conclusivo di un’impresa senza precedenti che le conferì
prestigio e la pose su un piano di superiorità nei confronti degli altri
comuni.
L’eco dell’impresa orvietana non tardò a far sentire i suoi effetti in
tutto il territorio e a suscitare la reazione delle città vicine. Lo
stesso anno il Consiglio di Perugia deliberò di affidare a Boninsegna da
Venezia, magister aquarum ad Orvieto, l’incarico di eseguire un acquedotto
“…. etiam plus forte opus, plus securum quam non est fontis Urbevetere “,
capace di far giungere “in canali di piombo un’acqua grossissima” dal
monte di Pacciano, lontano due miglia, fin dentro le mura.
L’autorità comunale stabilì, inoltre, che l’acqua fosse convogliata nel
punto più alto dell’abitato dove si ergevano il Duomo, l’Episcopio ed il
palazzo dei Priori, e che una fontana pubblica venisse costruita nel
centro della piazza dove convergevano la vita civile e religiosa della
città.(fig.2)
Secondo il progetto ideato da fra’ Bevignate, un bacino raccoglieva le
acque che dodici cannelle versavano dagli spigoli di una vasca poligona
minore. Questa era sorretta da una duplice corona di ventiquattro e dodici
colonne immerse in una vasca inferiore che, stando al Vasari, poggiava a
sua volta “sopra dodici grandi scalee e dodici facce” (fig.3). Al centro
un pilastro dodecagono sosteneva l’intera struttura, mentre una colonna
portava in cima un’ampia tazza sulla quale un gruppo bronzeo di tre
fanciulle alludeva all’antico principio della tripartizione dello spazio.
Alle piccole statue era affidato il compito di distribuire l’acqua che
scivolando sulle parti bronzee e trattenendosi in quelle marmoree, calava
dalle vive linee degli spigoli del bacino superiore in quello inferiore,
raccordando tra loro le parti e riconducendo a distanza l’effetto
ad uno schema a forma piramidale. Anche la struttura, fondata sulla
geometria dodecagona, conferiva una nota originale ed inconfondibile
sottolineando il carattere cosmico dell’architettura che nella
subordinazione latente dell’impianto al pilastro centrale, era
assimilabile ad un asse innalzato idealmente per unire il centro della
città alla volta celeste. Lungo questo filo diretto che alimentava la
terra e riproponeva l’immagine dell’albero cosmico sgorgava l’acqua, fonte
di vita e bene spirituale destinato a dissetare, purificare e fecondare
rigenerando gli spiriti. Il vivere fontes della poesia latina, impresso
nella cornice inferiore della vasca marmorea superiore che ricordava da
vicino il fons aquae salientis in vitam aeternam del Vangelo secondo
Giovanni, sembra avvalorare questa interpretazione che voleva tra l’altro
che la fonte, eretta nel centro sacrale della città, assumesse
simbolicamente anche il ruolo di vasca battesimale. (fig.4)
Se di così ampia portata erano le intenzioni affidate all’architettura,
non da meno doveva essere il programma iconografico svolto dal ciclo
scultoreo, all’interno del quale in una mirabile sintesi era accomunata la
storia della città con i suoi santi ed i suoi eroi a Roma: Caput Mundi e
centro della cristianità. A Perugia, dunque, più che in altri comuni il
progetto per la fontana pubblica si arricchì di connotazioni simboliche,
crebbe di significato e si trasformò in un complesso e articolato
programma che costrinse nel microcosmo dell’architettura lo spazio ed il
tempo mondano, cioè l’intera storia dell’universo .
Nel dodecagono di base della vasca mediana due assi ortogonali, orientati
secondo le quattro direzioni cardinali, individuavano una crux principale
alle cui estremità erano poste nell’ordine altrettante figure
rappresentative: Roma, Euliste, Giovanni Battista (San Benedetto o
Salomone) e Perugia. Si trattava dei quattro personaggi chiave della
storia della città e della cristianità che secondo una rigorosa logica
compositiva erano disposti in modo tale che l’eroe della chiesa fosse
contrapposto alla Roma cristiana, ed Euliste, leggendario fondatore di
Perugia, all’immagine della città stessa.(fig.5)
Una successiva quadripartizione scandiva ulteriormente la vasca in quattro
settori all’interno dei quali sei personaggi illustravano nello spazio
assegnato i temi prefissati. Al poligono di dodici lati del bacino minore
e più alto faceva riscontro quello inferiore di venticinque
lati; una dissonanza geometrica non occasionale ma certamente voluta per
evitare i ritorni angolari tra le due vasche e per avvicinare l’aspetto
della conca più ampia alla circonferenza. In essa, oltre ai Mesi e ai
Segni dello Zodiaco nell’ordine disposto dal cielo, erano rappresentate le
Arti del Trivio e del Quadrivio, cioè il sapere umano ed il potere
intellettuale che nella vita culturale e sociale rappresentavano i centri
della perfezione, disposti secondo una divina simmetria.
La fontana divenne, quindi, anche la fonte del Sapere, della Saggezza e
del Buogoverno cittadino costringendo in sé il cosmo astronomico con i
suoi abitanti e l’intera storia mondana, il tempo primitivo e quello della
fine, attualizzati tutti misticamente nel centro simbolico dello spazio e
del tempo. (fig.6) Nel punto deputato a rappresentare l’origine dello
spazio e della storia la fonte istituì anche il passaggio dall’unità alla
molteplicità mediante un sistema di coordinate polari che irradiandosi
idealmente dal centro simbolico del mondo, coincidente con l’Umbilicus
Urbis, consentiva la spartizione dell’orizzonte in quattro, poi in otto,
dodici e ventiquattro direzioni cosmiche. Questo modello che risaliva a
chissà quale antica tradizione, e che aveva trovato nel territorio umbro
un terreno fertile ed un uso frequente nell’accostamento della geometria
dodecagona alle torri campanarie di Amelia e di Orvieto, raggiunse a
Perugia la sua più autentica espressione, gettando le basi per quel
sistema di rappresentazione cosmografica (fig.7) che in età rinascimentale
Leon Battista Alberti riprese nella Descrptio Urbis Romae al tempo di
Nicolò V, facendo coincidere il centro del diagramma con il Campidoglio. |