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Sommario anno XIII numero 4 - aprile 2004

 ARTE

La fonte pubblica nel centro-origine dello spazio e della storia
(Piercarlo D’angeli) - L’acqua nei suoi aspetti materiali, sociali e religiosi ha percorso traversandole le più svariate culture. figura 1Principio delle sedi stabili e condizione indispensabile del vivere associato, per il suo carattere pervasivo è entrata in ogni forma di vita e venendo a contatto con l’uomo ha assunto a seconda dei luoghi e dei tempi significati e connotazioni simboliche diverse.
Ripercorrendo il rapporto millenario tra l’uomo e l’acqua, riaffiora alla mente l’accoglienza che gli abitanti delle città le riservarono nel XIII secolo in coincidenza con figura 2due altri avvenimenti di eccezionale portata: la costruzione dell’acquedotto e la realizzazione della fontana nella Piazza Maggiore di Perugia. Con l’affermarsi delle autonomie comunali, infatti, l’acqua perse il suo carattere cultuale e tornò ad essere il bene pubblico di un tempo. Fonte di vita e simbolo delle origini e della storia della città, essa rappresentò per analogia la condizione della vita individuale, la freschezza delle impressioni, la capacità di ravvisare e di portare le novità perpetue nella vita di ogni giorno. Interpretò, inoltre, il valore e il carattere sacrale del centro-origine della città, quel punto privilegiato da cui si consideravano emanate la potenza, la durata e la prosperità urbana. Dal canto suo la fontana, costruita appositamente per raccogliere e distribuire il bene materiale, divenne per le autorità l’occasione per diffondere tra la popolazione un messaggio iconografico volto a celebrare la crescente gloria cittadina e l’ampliarsi della storia
figura 3Numerose fontane furono realizzate a partire dalla seconda metà del XIII secolo nelle principali piazze dei più importanti comuni italiani, a riprova di una tendenza che andava via via affermandosi e che vedeva lo stato comunale proporsi come legittimo continuatore della tradizione antica ed interprete della storia.
Ad Orvieto nel 1276, al termine dei lavori dell’acquedotto che dalle colline dell’Alfina convogliava le acque sulla rupe cittadina, l’autorità comunale dette inizio a un processo di rinnovamento della città promuovendo tra le altre cose il restauro del Palazzo comunale e la costruzione della fonte pubblica nella piazza Maggiore. (fig.1)
Le cronache del tempo così la descrivono: “…En son centre s’eleive alors une fontaine à la quelle on accède par quelques gradins cui mement à une première vas de bronze; une haut colonne supporte une deuxième vasque plus petite d’où s’ecoule l’eau”. Di fronte al Palazzo comunale, alla Chiesa e alla Torre dodecagona, simboli del potere civile e religioso, la fontana rappresentò un avvenimento storico di vasta portata che, oltre a fissare il punto d’inizio dello sviluppo urbanistico e architettonico della città, segnò l’atto conclusivo di un’impresa senza precedenti che le conferì prestigio e la pose su un piano di superiorità nei confronti degli altri comuni. figura 4
L’eco dell’impresa orvietana non tardò a far sentire i suoi effetti in tutto il territorio e a suscitare la reazione delle città vicine. Lo stesso anno il Consiglio di Perugia deliberò di affidare a Boninsegna da Venezia, magister aquarum ad Orvieto, l’incarico di eseguire un acquedotto “…. etiam plus forte opus, plus securum quam non est fontis Urbevetere “, capace di far giungere “in canali di piombo un’acqua grossissima” dal monte di Pacciano, lontano due miglia, fin dentro le mura.
L’autorità comunale stabilì, inoltre, che l’acqua fosse convogliata nel punto più alto dell’abitato dove si ergevano il Duomo, l’Episcopio ed il palazzo dei Priori, e che una fontana pubblica venisse costruita nel centro della piazza dove convergevano la vita civile e religiosa della città.(fig.2)
Secondo il progetto ideato da fra’ Bevignate, un bacino raccoglieva le acque che dodici cannelle versavano dagli spigoli di una vasca poligona minore. Questa era sorretta da una duplice corona di ventiquattro e dodici colonne immerse in una vasca inferiore che, stando al Vasari, poggiava a sua volta “sopra dodici grandi scalee e dodici facce” (fig.3). Al centro un pilastro dodecagono sosteneva l’intera struttura, mentre una colonna portava in cima un’ampia tazza sulla quale un gruppo bronzeo di tre fanciulle alludeva all’antico principio della tripartizione dello spazio.
Alle piccole statue era affidato il compito di distribuire l’acqua che scivolando sulle parti bronzee e trattenendosi in quelle marmoree, calava dalle vive linee degli spigoli del bacino superiore in quello inferiore, raccordando tra loro le parti e riconducendo a distanza l’effefigura 5tto ad uno schema a forma piramidale. Anche la struttura, fondata sulla geometria dodecagona, conferiva una nota originale ed inconfondibile sottolineando il carattere cosmico dell’architettura che nella subordinazione latente dell’impianto al pilastro centrale, era assimilabile ad un asse innalzato idealmente per unire il centro della città alla volta celeste. Lungo questo filo diretto che alimentava la terra e riproponeva l’immagine dell’albero cosmico sgorgava l’acqua, fonte di vita e bene spirituale destinato a dissetare, purificare e fecondare rigenerando gli spiriti. Il vivere fontes della poesia latina, impresso nella cornice inferiore della vasca marmorea superiore che ricordava da vicino il fons aquae salientis in vitam aeternam del Vangelo secondo Giovanni, sembra avvalorare questa interpretazione che voleva tra l’altro che la fonte, eretta nel centro sacrale della città, assumesse simbolicamente anche il ruolo di vasca battesimale. (fig.4)figura 6
Se di così ampia portata erano le intenzioni affidate all’architettura, non da meno doveva essere il programma iconografico svolto dal ciclo scultoreo, all’interno del quale in una mirabile sintesi era accomunata la storia della città con i suoi santi ed i suoi eroi a Roma: Caput Mundi e centro della cristianità. A Perugia, dunque, più che in altri comuni il progetto per la fontana pubblica si arricchì di connotazioni simboliche, crebbe di significato e si trasformò in un complesso e articolato programma che costrinse nel microcosmo dell’architettura lo spazio ed il tempo mondano, cioè l’intera storia dell’universo .
Nel dodecagono di base della vasca mediana due assi ortogonali, orientati secondo le quattro direzioni cardinali, individuavano una crux principale alle cui estremità erano poste nell’ordine altrettante figure rappresentative: Roma, Euliste, Giovanni Battista (San Benedetto o Salomone) e Perugia. Si trattava dei quattro personaggi chiave della storia della città e della cristianità che secondo una rigorosa logica compositiva erano disposti in modo tale che l’eroe della chiesa fosse contrapposto alla Roma cristiana, ed Euliste, leggendario fondatore di Perugia, all’immagine della città stessa.(fig.5)
Una successiva quadripartizione scandiva ulteriormente la vasca in quattro settori all’interno dei quali sei personaggi illustravano nello spazio assegnato i temi prefissati. Al poligono di dodici lati del bacino minore e più alto faceva riscontro quello inferiore di venticinqufigura 7e lati; una dissonanza geometrica non occasionale ma certamente voluta per evitare i ritorni angolari tra le due vasche e per avvicinare l’aspetto della conca più ampia alla circonferenza. In essa, oltre ai Mesi e ai Segni dello Zodiaco nell’ordine disposto dal cielo, erano rappresentate le Arti del Trivio e del Quadrivio, cioè il sapere umano ed il potere intellettuale che nella vita culturale e sociale rappresentavano i centri della perfezione, disposti secondo una divina simmetria.
La fontana divenne, quindi, anche la fonte del Sapere, della Saggezza e del Buogoverno cittadino costringendo in sé il cosmo astronomico con i suoi abitanti e l’intera storia mondana, il tempo primitivo e quello della fine, attualizzati tutti misticamente nel centro simbolico dello spazio e del tempo. (fig.6)  Nel punto deputato a rappresentare l’origine dello spazio e della storia la fonte istituì anche il passaggio dall’unità alla molteplicità mediante un sistema di coordinate polari che irradiandosi idealmente dal centro simbolico del mondo, coincidente con l’Umbilicus Urbis, consentiva la spartizione dell’orizzonte in quattro, poi in otto, dodici e ventiquattro direzioni cosmiche. Questo modello che risaliva a chissà quale antica tradizione, e che aveva trovato nel territorio umbro un terreno fertile ed un uso frequente nell’accostamento della geometria dodecagona alle torri campanarie di Amelia e di Orvieto, raggiunse a Perugia la sua più autentica espressione, gettando le basi per quel sistema di rappresentazione cosmografica (fig.7) che in età rinascimentale Leon Battista Alberti riprese nella Descrptio Urbis Romae al tempo di Nicolò V, facendo coincidere il centro del diagramma con il Campidoglio.

 ARTE

Sommario anno XIII numero 4 - aprile 2004