Savonarola e
il suo tempo
(Alberto Restivo) - È noto che nel sec. XVI il sistema di
governo su cui si basava la fortuna degli Stati italiani aveva un
carattere essenzialmente aristocratico ed in proposito il Machiavelli
ammoniva i Principi italiani che con il loro sistema di vita “si
preparavano ad essere preda di qualunque li assaliva”. Si trattava di
un’Italia frantumata in una galassia di Stati e Staterelli in lotta fra
loro per un impossibile primato. Tuttavia, non si può non riconoscere
insieme ai più famosi storici, che, per lungo tempo (dalla fine delle
invasioni barbariche all’era dei Comuni) l’Italia è stata protagonista
della storia europea. Essa è stata sì in balìa degli eserciti tedeschi
degli Ottone, degli Hohenstaufen, di quelli francesi degli Angioini, di
quelli spagnoli degli Aragona, ma ha finito regolarmente per conquistare i
suoi stessi conquistatori. Le flotte delle sue Repubbliche hanno dominato
il Mediterraneo, la sua moneta e le sue banche hanno dettato legge in
tutti i mercati, la sua arte e la sua letteratura hanno fornito i modelli
a tutti i Paesi d’Europa.
La posizione della Chiesa, nel periodo a cui ci riferiamo, fu
politicamente rilevante in quanto essa si pose come antagonista
dell’Impero riuscendo sempre a prevalere sui tentativi del suo storico
nemico d’Oltralpe, l’Imperatore. Inoltre, le motivazioni politiche si
confusero spesso con quelle religiose: gli storici, infatti hanno spesso
evidenziato come l’Italia, nonostante l’altissimo livello di cultura, non
abbia dato alcun contributo di uomini e pensiero alla riforma religiosa di
M. Lutero, facendo prevalere l’interesse economico, nel senso che l’Italia
aveva trovato, in buona parte sostentamento in quelle che oggi si
chiamerebbero “le rimesse” dei fedeli di tutta Europa. Questo rivolo
d’oro, come dicono le cronache, confluiva da tutti i paesi del continente
nelle casse della Curia romana e di qui si diffondeva in tutta la
Penisola.
Ora, considerato che il motivo della Riforma più immediato e che aveva
procurato i consensi popolari più caldi nei Paesi del Nord era proprio la
ribellione a questa consuetudine, logica volle che gli Italiani, suoi
unici beneficiari, vedessero nella sua fine una minaccia al loro
benessere. In verità, mancavano nel nostro paese quegli stimoli
spirituali, quei dubbi che altrove alimentavano il problema religioso,
anche per il fatto che la gente aveva trovato un comodo compromesso in un
credo politeistico fatto di benevoli Santi protettori: il loro Dio non
somigliava più al terribile Dio del Vecchio Testamento, né al severo
giudice di Dante essendosi trasformato in un Padre indulgente disposto al
perdono di fronte ad un gesto di ravvedimento anche in punto di morte. E a
questi motivi si era ispirata l’arte rinascimentale di cui proprio la
Chiesa era divenuta “l’alta patrona e impresaria”. Favorendo l’Umanesimo,
essa aveva inteso seguire un preordinato e abile piano di diversione e,
incoraggiando gli intellettuali italiani a riscoprire il pensiero e la
letteratura classica li aveva molto opportunamente distolti dal problema
religioso.
L’unico uomo che avrebbe potuto diventare il Lutero italiano, Gerolamo
Savonarola, aveva violentemente contrastato la moda umanistica in quanto
essa sottraeva il meglio della nostra intelligenza a quella che egli
considerava l’unica missione dell’uomo e cioè il ritrovare il contatto con
Dio attraverso una fede più semplice, più pura ed un costume ispirato al
Vangelo. E “la Chiesa di allora” aveva mandato questo “guastafeste” al
rogo… Ciò anche per il fatto che mancava, in contrapposizione alla Chiesa,
un potere laico che con le sue leggi ed i suoi tribunali potesse difendere
“l’eretico dalle persecuzioni”.
Le vicende del frate G. Savonarola.
Frate Gerolamo era nato a Ferrara nel 1452 e, formatosi nel Convento di S.
Domenico a Bologna, predicò, fra il 1483 e il 1486, in diverse parrocchie
di Firenze, nei cicli della Quaresima, con toni apocalittici e profetici,
sottolineando l’esigenza di un nuovo sistema di vita, nei costumi, nelle
relazioni sociali e nell’esercizio del potere. Gli storici riportano che
Lorenzo dei Medici, Signore di Firenze, fu in un primo momento infastidito
dai toni del Frate, riuscendo ad allontanarlo dalla città ed ottenendone
il trasferimento in Lombardia, dove il Savonarola abbandonò lo stile
arcigno e didattico che lo aveva reso impopolare in Firenze, acquisendo
invece un tono appassionato, immediato ed apocalittico, che ne avrebbe
fatto un campione della grande oratoria religiosa. Dopo quattro anni di
esilio, richiamato da Lorenzo che ne aveva riconosciuto e stimato
l’ingegno e la passione, Fra’ Gerolamo tornò a Firenze e riprese
l’insegnamento ai novizi. La notizia che il frate era ritornato per
interessamento personale di Lorenzo si diffuse rapidamente, suscitando
grande curiosità ed interesse anche da parte di molti laici, come Angelo
Poliziano ed il Ficino.
Dalle modeste chiese, ove aveva iniziato la sua opera di predicatore e che
non potevano più contenere le folle che accorrevano per ascoltarlo, passò
al Duomo, che divenne tribuna impegnativa poiché da quel luogo, il frate
finiva per parlare a tutta la città. I suoi fidi compagni gli
raccomandarono la prudenza e di non sconfinare dal campo della religione e
della morale a quello della politica. Il frate promise ma non riuscì a
mantenere la promessa e con una requisitoria più feroce del solito attaccò
i Medici : “…ormai non v’è grazia, non v’è dono dello Spirito Santo che
non si venda e non si compri, mentre i più poveri sono oppressi dalle
tasse e con cinquanta di rendita devono pagare cento di imposta. Pensateci
bene, o ricchi, perché su di voi ricadrà il castigo..!”. Si dice che gli
amici rimanessero costernati, ma il successo popolare fu immenso: era la
prima volta da oltre mezzo secolo che qualcuno osava alzare la voce in
pubblico contro i governanti.
Dopo la morte di Lorenzo, i Medici furono cacciati da Firenze a seguito
del debole comportamento di Piero che invece di prepararsi alla difesa,
cercò di comprarsi Carlo VIII con duecentomila fiorini, ed i fiorentini
decisero di darsi una nuova costituzione chiamando a tracciarne i
lineamenti anche il Savonarola. I magistrati della rinata repubblica,
suggestionati dalle parole di Gerolamo ed ancora incapaci di vedere un
modo di governare veramente nuovo, finirono per seguire le indicazioni del
Frate: abolirono l’usura, cercarono di riformare il sistema delle imposte,
istituirono il monte di pietà con criteri che erano ispirati più a motivi
morali che ad esigenze economiche.
Il grande sforzo del Savonarola fu quello di creare un sentimento di
rigenerazione comune a tutto il popolo: egli intendeva restaurare i
costumi a suo giudizio corrotti, attraverso una azione statale che venisse
a sostituire la Chiesa (anch’essa ritenuta corrotta) e ad assicurare la
assoluta osservanza di quanto Cristo aveva prescritto nel Vangelo. Tale
modello di governo, definito dagli storici “demoteocratico”, portò molte
innovazioni nella vita dei fiorentini: le feste del carnevale furono
sostituite con quelle religiose, libri e quadri ritenuti osceni venivano
sequestrati con altri oggetti come le carte da gioco, i cosmetici ritenuti
immorali. La lettura del Vangelo e dei libri sacri furono la fonte di
altre prescrizioni: sul modo di vestirsi, di pettinarsi, alle donne era
proibito truccarsi, ai blasfemi veniva perforata la lingua. Naturalmente
anche il Papa - Alessandro VI Borgia - era accusato pubblicamente per la
sua corruzione ed immoralità dei costumi, né venivano risparmiati gli
altri Signori italiani.
In tal modo il Frate finì per suscitare reazioni e fastidio ed Alessandro
VI che in un primo momento gli aveva proibito di predicare,
successivamente lo scomunicò, ed il popolo finì per abbandonarlo.
Arrestato con due suoi seguaci, Fra’ Gerolamo fu giudicato eretico e
scismatico, e il 23 maggio 1498, impiccato e bruciato in Piazza della
Signoria. Il suo esperimento innovatore era durato meno di quattro anni.
Alla fine di questa nostra indagine, viene spontaneo chiederci quali
fossero le vere colpe di Fra’ Gerolamo, o se la causa della sua condanna
vada ricercata nella solita “ragion di Stato” oppure più semplicemente
perché il Savonarola fosse divenuto ormai un personaggio scomodo non solo
per il Papa Alessandro VI Borgia, ma anche per gli stessi Fiorentini.
Un giorno d’autunno dell’anno 1998, una processione di frati domenicani
invade lentamente la basilica vaticana per andare a depositare nel Palazzo
Apostolico la richiesta formale per l’apertura del processo di
beatificazione del “rivoluzionario di Dio” o come lo definì Machiavelli
“del profeta disarmato”.
Già nel 1592, con Papa Clemente VIII, i papisti inoltrarono la prima
proposta di beatificazione; altri tentativi riuscirono infruttuosi nel
1624, 1675, nel 1935 e nel 1995: Padre Tito Centi del Convento di S.
Domenico di Fiesole, componente delle due commissioni di esperti impegnati
nel lavoro storico e teologico per Fra’ Gerolamo, ebbe a dire: “Tutte le
prove in nostro possesso depongono a favore di una piena riabilitazione
per Savonarola. La sua predicazione non fu né eretica né scandalosa. E
neanche scismatica e sediziosa. La sua dottrina non fu neppure temeraria,
perversa, empia, blasfema e vana come fu definita 500 anni fa. Savonarola
si mosse sempre nell’ortodossia. Per cui la scomunica papale per eresia è
da considerare non valida sia sotto il profilo della forma che della
sostanza”.
Su “Il Messaggero” del 17 febbraio 2004 leggiamo: “Alle 16,30, davanti al
monumento eretto sulla Piazza (Campo dè Fiori) con i fondi messi a
disposizione dal “Messaggero” e da “patrioti”, il Sindaco deporrà una
corona in memoria di Giordano Bruno. Seguiranno alcune iniziative
culturali e spettacolari”.
Che sia questo un ulteriore incoraggiamento rivolto alle Autorità
ecclesiastiche che sembrano essere giunte, nella nostra epoca, a
rivalutare la vita e le opere di questi personaggi su cui gli storici
hanno a lungo dibattuto? Pensiamo in positivo, come si dice ai giorni
nostri, se il pensiero e la fede di questi uomini sono giunti fino a noi. |