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Sommario anno XIII numero 5 - maggio 2004

 STORIA

Savonarola e il suo tempo
(Alberto Restivo) - È noto che nel sec. XVI il sistema di governo su cui si basava la fortuna degli Stati italiani aveva un carattere essenzialmente aristocratico ed in proposito il Machiavelli ammoniva i Principi italiani che con il loro sistema di vita “si preparavano ad essere preda di qualunque li assaliva”. Si trattava di un’Italia frantumata in una galassia di Stati e Staterelli in lotta fra loro per un impossibile primato. Tuttavia, non si può non riconoscere insieme ai più famosi storici, che, per lungo tempo (dalla fine delle invasioni barbariche all’era dei Comuni) l’Italia è stata protagonista della storia europea. Essa è stata sì in balìa degli eserciti tedeschi degli Ottone, degli Hohenstaufen, di quelli francesi degli Angioini, di quelli spagnoli degli Aragona, ma ha finito regolarmente per conquistare i suoi stessi conquistatori. Le flotte delle sue Repubbliche hanno dominato il Mediterraneo, la sua moneta e le sue banche hanno dettato legge in tutti i mercati, la sua arte e la sua letteratura hanno fornito i modelli a tutti i Paesi d’Europa.
La posizione della Chiesa, nel periodo a cui ci riferiamo, fu politicamente rilevante in quanto essa si pose come antagonista dell’Impero riuscendo sempre a prevalere sui tentativi del suo storico nemico d’Oltralpe, l’Imperatore. Inoltre, le motivazioni politiche si confusero spesso con quelle religiose: gli storici, infatti hanno spesso evidenziato come l’Italia, nonostante l’altissimo livello di cultura, non abbia dato alcun contributo di uomini e pensiero alla riforma religiosa di M. Lutero, facendo prevalere l’interesse economico, nel senso che l’Italia aveva trovato, in buona parte sostentamento in quelle che oggi si chiamerebbero “le rimesse” dei fedeli di tutta Europa. Questo rivolo d’oro, come dicono le cronache, confluiva da tutti i paesi del continente nelle casse della Curia romana e di qui si diffondeva in tutta la Penisola.
Ora, considerato che il motivo della Riforma più immediato e che aveva procurato i consensi popolari più caldi nei Paesi del Nord era proprio la ribellione a questa consuetudine, logica volle che gli Italiani, suoi unici beneficiari, vedessero nella sua fine una minaccia al loro benessere. In verità, mancavano nel nostro paese quegli stimoli spirituali, quei dubbi che altrove alimentavano il problema religioso, anche per il fatto che la gente aveva trovato un comodo compromesso in un credo politeistico fatto di benevoli Santi protettori: il loro Dio non somigliava più al terribile Dio del Vecchio Testamento, né al severo giudice di Dante essendosi trasformato in un Padre indulgente disposto al perdono di fronte ad un gesto di ravvedimento anche in punto di morte. E a questi motivi si era ispirata l’arte rinascimentale di cui proprio la Chiesa era divenuta “l’alta patrona e impresaria”. Favorendo l’Umanesimo, essa aveva inteso seguire un preordinato e abile piano di diversione e, incoraggiando gli intellettuali italiani a riscoprire il pensiero e la letteratura classica li aveva molto opportunamente distolti dal problema religioso.
L’unico uomo che avrebbe potuto diventare il Lutero italiano, Gerolamo Savonarola, aveva violentemente contrastato la moda umanistica in quanto essa sottraeva il meglio della nostra intelligenza a quella che egli considerava l’unica missione dell’uomo e cioè il ritrovare il contatto con Dio attraverso una fede più semplice, più pura ed un costume ispirato al Vangelo. E “la Chiesa di allora” aveva mandato questo “guastafeste” al rogo… Ciò anche per il fatto che mancava, in contrapposizione alla Chiesa, un potere laico che con le sue leggi ed i suoi tribunali potesse difendere “l’eretico dalle persecuzioni”.
Le vicende del frate G. Savonarola.
Frate Gerolamo era nato a Ferrara nel 1452 e, formatosi nel Convento di S. Domenico a Bologna, predicò, fra il 1483 e il 1486, in diverse parrocchie di Firenze, nei cicli della Quaresima, con toni apocalittici e profetici, sottolineando l’esigenza di un nuovo sistema di vita, nei costumi, nelle relazioni sociali e nell’esercizio del potere. Gli storici riportano che Lorenzo dei Medici, Signore di Firenze, fu in un primo momento infastidito dai toni del Frate, riuscendo ad allontanarlo dalla città ed ottenendone il trasferimento in Lombardia, dove il Savonarola abbandonò lo stile arcigno e didattico che lo aveva reso impopolare in Firenze, acquisendo invece un tono appassionato, immediato ed apocalittico, che ne avrebbe fatto un campione della grande oratoria religiosa. Dopo quattro anni di esilio, richiamato da Lorenzo che ne aveva riconosciuto e stimato l’ingegno e la passione, Fra’ Gerolamo tornò a Firenze e riprese l’insegnamento ai novizi. La notizia che il frate era ritornato per interessamento personale di Lorenzo si diffuse rapidamente, suscitando grande curiosità ed interesse anche da parte di molti laici, come Angelo Poliziano ed il Ficino.
Dalle modeste chiese, ove aveva iniziato la sua opera di predicatore e che non potevano più contenere le folle che accorrevano per ascoltarlo, passò al Duomo, che divenne tribuna impegnativa poiché da quel luogo, il frate finiva per parlare a tutta la città. I suoi fidi compagni gli raccomandarono la prudenza e di non sconfinare dal campo della religione e della morale a quello della politica. Il frate promise ma non riuscì a mantenere la promessa e con una requisitoria più feroce del solito attaccò i Medici : “…ormai non v’è grazia, non v’è dono dello Spirito Santo che non si venda e non si compri, mentre i più poveri sono oppressi dalle tasse e con cinquanta di rendita devono pagare cento di imposta. Pensateci bene, o ricchi, perché su di voi ricadrà il castigo..!”. Si dice che gli amici rimanessero costernati, ma il successo popolare fu immenso: era la prima volta da oltre mezzo secolo che qualcuno osava alzare la voce in pubblico contro i governanti.
Dopo la morte di Lorenzo, i Medici furono cacciati da Firenze a seguito del debole comportamento di Piero che invece di prepararsi alla difesa, cercò di comprarsi Carlo VIII con duecentomila fiorini, ed i fiorentini decisero di darsi una nuova costituzione chiamando a tracciarne i lineamenti anche il Savonarola. I magistrati della rinata repubblica, suggestionati dalle parole di Gerolamo ed ancora incapaci di vedere un modo di governare veramente nuovo, finirono per seguire le indicazioni del Frate: abolirono l’usura, cercarono di riformare il sistema delle imposte, istituirono il monte di pietà con criteri che erano ispirati più a motivi morali che ad esigenze economiche.
Il grande sforzo del Savonarola fu quello di creare un sentimento di rigenerazione comune a tutto il popolo: egli intendeva restaurare i costumi a suo giudizio corrotti, attraverso una azione statale che venisse a sostituire la Chiesa (anch’essa ritenuta corrotta) e ad assicurare la assoluta osservanza di quanto Cristo aveva prescritto nel Vangelo. Tale modello di governo, definito dagli storici “demoteocratico”, portò molte innovazioni nella vita dei fiorentini: le feste del carnevale furono sostituite con quelle religiose, libri e quadri ritenuti osceni venivano sequestrati con altri oggetti come le carte da gioco, i cosmetici ritenuti immorali. La lettura del Vangelo e dei libri sacri furono la fonte di altre prescrizioni: sul modo di vestirsi, di pettinarsi, alle donne era proibito truccarsi, ai blasfemi veniva perforata la lingua. Naturalmente anche il Papa - Alessandro VI Borgia - era accusato pubblicamente per la sua corruzione ed immoralità dei costumi, né venivano risparmiati gli altri Signori italiani.
In tal modo il Frate finì per suscitare reazioni e fastidio ed Alessandro VI che in un primo momento gli aveva proibito di predicare, successivamente lo scomunicò, ed il popolo finì per abbandonarlo. Arrestato con due suoi seguaci, Fra’ Gerolamo fu giudicato eretico e scismatico, e il 23 maggio 1498, impiccato e bruciato in Piazza della Signoria. Il suo esperimento innovatore era durato meno di quattro anni.
Alla fine di questa nostra indagine, viene spontaneo chiederci quali fossero le vere colpe di Fra’ Gerolamo, o se la causa della sua condanna vada ricercata nella solita “ragion di Stato” oppure più semplicemente perché il Savonarola fosse divenuto ormai un personaggio scomodo non solo per il Papa Alessandro VI Borgia, ma anche per gli stessi Fiorentini.
Un giorno d’autunno dell’anno 1998, una processione di frati domenicani invade lentamente la basilica vaticana per andare a depositare nel Palazzo Apostolico la richiesta formale per l’apertura del processo di beatificazione del “rivoluzionario di Dio” o come lo definì Machiavelli “del profeta disarmato”.
Già nel 1592, con Papa Clemente VIII, i papisti inoltrarono la prima proposta di beatificazione; altri tentativi riuscirono infruttuosi nel 1624, 1675, nel 1935 e nel 1995: Padre Tito Centi del Convento di S. Domenico di Fiesole, componente delle due commissioni di esperti impegnati nel lavoro storico e teologico per Fra’ Gerolamo, ebbe a dire: “Tutte le prove in nostro possesso depongono a favore di una piena riabilitazione per Savonarola. La sua predicazione non fu né eretica né scandalosa. E neanche scismatica e sediziosa. La sua dottrina non fu neppure temeraria, perversa, empia, blasfema e vana come fu definita 500 anni fa. Savonarola si mosse sempre nell’ortodossia. Per cui la scomunica papale per eresia è da considerare non valida sia sotto il profilo della forma che della sostanza”.
Su “Il Messaggero” del 17 febbraio 2004 leggiamo: “Alle 16,30, davanti al monumento eretto sulla Piazza (Campo dè Fiori) con i fondi messi a disposizione dal “Messaggero” e da “patrioti”, il Sindaco deporrà una corona in memoria di Giordano Bruno. Seguiranno alcune iniziative culturali e spettacolari”.
Che sia questo un ulteriore incoraggiamento rivolto alle Autorità ecclesiastiche che sembrano essere giunte, nella nostra epoca, a rivalutare la vita e le opere di questi personaggi su cui gli storici hanno a lungo dibattuto? Pensiamo in positivo, come si dice ai giorni nostri, se il pensiero e la fede di questi uomini sono giunti fino a noi.

 STORIA

Sommario anno XIII numero 5 - maggio 2004