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Sommario anno XIII numero 5 - maggio 2004

 ATTUALITÀ E CULTURA

Ingmar Bergman, Il settimo sigillo,
Milano, Iperborea, 2002, pp. 93, € 8.50
(Emanuela Evangelisti) - Oltre a essere l’indimenticabile film del 1956 che conosciamo e amiamo in molti, Il settimo sigillo è anche un affascinante viaggio letterario che, grazie alla casa editrice Iperborea e al traduttore Alberto Criscuolo, dal 1994, anno della prima uscita, anche i lettori e le lettrici italiane possono gradevolmente intraprendere, lungo sentieri talvolta precari e dolorosi ma pur sempre infinitamente umani.
Antonius Block è il Cavaliere. In compagnia dello scudiero Jöns è di ritorno dalle Crociate in Terra Santa dove si era recato dieci anni prima credendo di riuscire, combattendo per una giusta causa, quella della presunta giustizia divina, ad allontanare i fantasmi della sua mente, a scongiurare le paure e a sciogliere nel valore i quesiti irrisolti. Ma dopo dieci anni, non solo la sua iniziale credenza si era rivelata sbagliata, ché anzi gli interrogativi erano diventati più insopportabili, ma la stessa causa che prima gli era sembrata così chiara, da tempo ormai aveva perso i suoi contorni e svaniva nel turbine implacabile dell’ignoto. Per questo, quando nelle prime righe del libro, nonché nella prima scena del film, la figura della Morte giunge a prenderlo, infine, dopo anni di combattimento, sulle rive calme ma inquiete di un mare afoso, il Cavaliere la invita a intrattenere una partita a scacchi, gioco enigmatico eppur ricco di logica, al fine di prolungare il proprio tempo su questa terra, onde tentare, grazie a un’ultima chance, di conoscere finalmente la risposta ai suoi inestinguibili e assillanti dubbi sull’esistenza. Antonius Block e la Morte svolgeranno a più riprese la loro sfida. L’oscuro giocatore infatti apparirà e scomparirà, avvolto nel suo nero mantello, più volte nel corso del testo (e del film): ora sulla spiaggia, poi in un convento, dove ascolta, senza esser visto, la confessione di Block, uno dei passi più affascinanti del testo, dove l’istanza filosofica si amalgama all’ispirazione poetica in un crescendo di disperazione verbale che si blocca quando la Morte mostra il suo volto; di nuovo ancora sul carro che trasporta la giovane strega verso il rogo che l’attende, e infine sulla radura notturna che riflette una luna “non più quieta e inanimata, ma misteriosa e cangiante”, che lascia presagire l’imminenza della fine, quando la Morte prevedrà la sua ultima mossa, scacco matto.
Ciò che rende questa un’opera d’arte, letteraria prima che filmica, è un linguaggio fluido e lirico a un tempo, dove le descrizioni dei paesaggi non sono mai secondarie rispetto al dramma fondamentale incarnato dalla complessa figura del Cavaliere, che è poi quella di tutti noi posti davanti all’inestricabilità della nostra condizione di esseri umani, fallibili e geniali allo stesso tempo, effimeri nell’esistenza e potenzialmente immortali nell’essenza.
Si riscontrano nel testo poche lievi differenze rispetto alla resa cinematografica, come a renderlo, una volta di più, indipendente da questa, un prodotto artistico compiuto in sé stesso, una lettura irrinunciabile per coloro che amano l’opera del regista svedese, non in quanto regista, ma come originale artista e pensatore contemporaneo capace di travalicare i confini nazionali, europei e mondiali nell’eterea disposizione a una ricerca universale di significati e forme proprie dell’essere.

 ATTUALITÀ E CULTURA

Sommario anno XIII numero 5 - maggio 2004