L’Egitto.
Quello vero
(Roberto Esposti flann.obrien@email.it) - L’Egitto è
certamente una delle mete turistiche più gettonate tra gli italiani, che
in
particolare
amano rosolarsi al sole del Mar Rosso o assaggiare in fretta e furia i
monumenti della Valle del Nilo, incalzati da un barcone-hotel che li
scarrozza lungo il fiume.
Esistono però altri modi per cogliere la bellezza umana e paesaggistica di
questo paese, a chi abbia voglia e forza di rinunciare a qualche comodità.
Io ed i miei amici ci abbiamo provato convinti che comprendere davvero un
paese valga più di qualunque camera ben rassettata, soprattutto alla luce
del particolare momento storico in cui viviamo: pensare che il Dar
al-Islam (i paesi musulmani) sia un enorme villaggio vacanze o un campo
petrolifero non ci aiuterà certo a vivere in pace nei prossimi anni…
Il
primo pensiero che mi viene guardando il Cairo dall’alto è che sto
osservando una lezione di antropologia: grattacieli, piramidi, palazzotti,
baracche, bestie ed infine uomini creano un mosaico affascinante che
risolta l’altezza ritrovi ovunque, dal mercato di Khan al-Khalili ai
centri direzionali di Gezira. Il Cairo ti sorprende per il suo profondo
rifiuto dell’amalgama: nulla si scioglie, tutto è frammentato senza
continuità. La bellezza è dietro l’angolo o sopra il tetto in ogni
momento: basta affidarsi ai propri occhi di bambino per perdersi nel Cairo
vecchio. Quello di Mafuz, ma anche di chiunque abbia voglia di farsi
sedurre da queste vecchie pietre rubate alle Piramidi. Lo scopro quando
solo entro una sera nell’iwan (abside) di una madrasa in restauro e tra i
ponteggi intravedo la sua sfavillante cupola dorata o quando amici
italiani ci regalano lo splendore di una sama’khana (teatro dei dervisci
danzanti) da loro restaurata: è un omaggio alla gloria di Dio e alla
Bellezza. Lo scopro nel carattere della sua gente quando un venditore
conosciuto 600 secondi prima mi invita l’indomani al suo matrimonio o
quando su Tahrir Bridge mi ritrovo a dar consigli ad un ragazzo
imprigionato dalle contraddizioni del suo paese. Ma che gli egiziani siano
ospitali, sorridenti e buoni me lo aveva già dimostrato un sufi
(appartenente ad un particolare filone dell’Islam) di Assuan qualche
giorno prima, oltre a spiegarmi le stelle, lo yoga, il senso della vita e
altre amenità simili…
Quando guardi i monumenti ti sembra di essere in un manuale di storia o di
architettura, sarà per questo che ben poche piramidi e templi mi
colpiscono: provo solo vergogna nel violare l’intimità funebre dei morti
nella Valle dei Re. Ciò che davvero mi colpisce lo fa per ragioni diverse
dal collezionismo turistico: il Tempio di Hatshepsut con le sue colline
che lo racchiudono come valve una perla (bellezza che non sfuggì al
provato senso estetico del terrorismo internazionale). Abu Simbel ovvero
la Basilica Superiore di San Ramesse II che nel tentativo di glorificarsi
regalò al mondo acri di bassorilievi di una bellezza intima e potente al
tempo stesso. E la tranquilla quiete di quel gioiello di isola che è Phile:
la suggestione che monta vagando nel Tempio di Iside avendo come uniche
compagne legioni di Dei passati. Raccontare un paese, le sue pietre e le
sue anime non è mai facile. Farlo con l’Egitto in poche righe è compito
improbo: al narratore resta la sola possibilità di ispirare il viaggio… |