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Sommario anno XIII numero 6 - giugno 2004

SCIENZA E CULTURA

Bruno de Finetti: così è, se vi pare – 1
“..ma davvero esiste la probabilità? e cosa mai sarebbe? Io risponderei che non esiste.”
(di Luca Nicotra) - La probabilità, questa sconosciuta: finzione e realtà.
Se a una persona di media cultura, ma non matematico, si chiedesse che cosa intende per probabilità, “probabilmente” risponderebbe con un’espressione del tipo: “E’ la fiducia (speranza o timore) che  noi riponiamo nell’avverarsi di un evento”. Anche la risposta alla nostra domanda non è reputata certa, bensì affetta da un’indeterminabile dose d’incertezza, che esprimiamo con il termine “probabilmente”.
Fig 1 – Ars Conjectandi: FrontespizioQuando abbiamo dubbi sul significato di un termine di uso generale, tutti noi ricorriamo ad un vocabolario della lingua italiana. Ebbene, se consultiamo il classico vocabolario della lingua italiana dello Zingarelli, alla voce “probabilità” leggiamo: “1- Condizione, carattere di ciò che è probabile; 2- La misura in cui si giudica che un avvenimento sia realizzabile o probabile.” E poiché in entrambe le definizioni si rimanda all’aggettivo “probabile”, leggiamo che cosa dice lo Zingarelli a tal proposito:  “Degno di approvazione; Verosimile; Che si può approvare; Da provare; Credibile, ammissibile in base ad argomenti abbastanza sicuri”.
Certamente un vocabolario linguistico contiene soprattutto termini del linguaggio ordinario e soltanto alcuni dei numerosi termini oggi appartenenti, più propriamente, a gerghi tecnici, perché denotanti concetti di pertinenza di specifiche branche del sapere. Il concetto di probabilità è uno di questi, ma a differenza di molti altri prettamente tecnici, esso, prima ancora di divenire oggetto d’indagine scientifica circa trecentocinquanta anni fa, è stato utilizzato, forse da sempre, da tutti gli uomini, e tutt’oggi, nella sua forma intuitiva e vaga, fa parte della vita quotidiana dell’uomo, perché esprime forme incerte di conoscenza (è probabile che domani piova, probabilmente otterrò una promozione sul lavoro, eccetera) che riguardano la maggior parte degli eventi della nostra vita. Incertezza significa difetto e non totale assenza di certezza, e quindi induce sempre in noi, più o meno consapevolmente, l’attribuzione di “un grado di fiducia” al verificarsi di un evento. La probabilità, dunque, fa parte del patrimonio culturale di tutti, e non solo dei matematici1.
I primissimi tentativi di formalizzazione matematica della probabilità hanno inizio nel Rinascimento per opera del matematico, fisico, medico ed astrologo Gerolamo Cardano (1501-1576) che, perdendo sistematicamente nel gioco dei dadi, intraprese per primo lo studio matematico della probabilità, scrivendo nel 1526 il De ludo aleae (Il gioco dei dadi), in cui sono contenuti due importanti teoremi del futuro Calcolo della Probabilità: la probabilità dell’evento prodotto logico (A e B) di due eventi semplici A, B e una anticipazione della legge dei grandi numeri. Tuttavia, i suoi studi caddero nell’oblio e il De ludo aleae fu pubblicato postumo nel 1663. Anche Galileo Galilei, nella sua opera Sopra le scoperte dei dadi (1630), si occupò di probabilità, stimolato da quesiti postigli da nobili fiorentini appassionati del gioco della “zara” (un gioco con tre dadi) del tipo: perché escono con maggiore frequenza il 10 e l’11 rispetto al 9 o al 12?  Analoghi quesiti sulle scommesse al gioco dei dadi furono posti nel 1654 dal nobile francese Antoine Gombaud, Chevalier de Mérè, all’amico Blaise Pascal, filosofo e sommo matematico dilettante. Uno di questi era: “Un giocatore, gettando otto volte un dado, deve tentare di far uscire il numero uno; dopo tre tentativi infruttuosi, ciascuno costituito da una serie di otto lanci, il giocatore rinuncia a proseguire: in che misura egli ha diritto alla posta pattuita? Un altro era: “E’ conveniente scommettere alla pari l’uscita di un 12, lanciando due dadi per 24 volte?”, che altro non significa che reputare del 50% la probabilità che lanciando per ventiquattro volte due dadi assieme esca almeno una volta il numero 12. Ne seguì un carteggio fra Blaise Pascal e Pierre de Fermat, magistrato e anch’egli geniale matematico dilettante, che spesso, a torto, considerando le precedenti ricerche di Cardano e di Galilei, è considerato l’atto di nascita della Teoria o Calcolo della Probabilità, vale a dire di quella branca della matematica che si propone di dare una definizione di probabilità per eventi semplici, tale da consentire di attribuire ad essa un valore numerico e stabilire la probabilità di un evento complesso, in funzione delle probabilità degli eventi semplici componenti. In verità oggi, più propriamente, si distingue il Calcolo della Probabilità, che studia in modo rigoroso le relazioni fra le probabilità degli eventi composti e quelle degli eventi semplici componenti, dai metodi per l’attribuzione della probabilità agli eventi semplici, che, come vedremo fra poco, possono essere molto diversi fra loro e sono sempre un’assunzione da parte del matematico. In altri termini, mentre possono variare le definizioni “operative” di probabilità degli eventi semplici, le “regole” per il calcolo della probabilità degli eventi composti a partire dalle probabilità degli eventi semplici componenti sono le medesime e possono essere stabilite in modo matematicamente rigoroso. Abbiamo usato il termine evento, senza chiederci qual è il suo significato. La risposta può variare secondo il tipo di definizione di probabilità che, come vedremo poco oltre, può essere di quattro tipi: classica, frequentista, assiomatica, soggettiva. Senza entrare nelle discussioni delle diverse accezioni di tale termine nelle quattro scuole di pensiero appena citate, possiamo appellarci al concetto intuitivo, anche se vago, che ognuno di noi ha del termine “evento”: risultato di una prova, qualsiasi affermazione della quale sia verificabile il contenuto di verità, un fatto univoco e ben descrivibile. Un evento “semplice” non è scindibile (almeno per il nostro punto di vista) in altri eventi componenti. Viceversa, un evento “complesso” è un evento che può essere considerato formato da più eventi semplici. Il lancio di un solo dado dà luogo all’evento semplice “caduta del dado su una faccia”; il lancio contemporaneo di due dadi dà luogo all’evento composto, formato dai due eventi semplici e indipendenti “caduta di ciascun dado su una faccia”.
Christian Huygens, il fondatore della teoria ondulatoria della luce, nel 1657 nella sua opera De ratiociniis in ludo aleae (Sui ragionamenti nel giuoco dei dadi) ripropose in maniera più sistematica il contenuto del carteggio fra Pascal e Fermat, dando anche una risposta al quesito di Gombaud, non risolto da Pascal, di quale fosse la cifra equa da pagare a un giocatore per subentrargli in una data puntata.  Il primo vero trattato sulla nuova scienza, però, sarà pubblicato soltanto nel 1713 con il titolo Ars conjectandi (figura 1) dal grande matematico Jacques (o Jacob) Bernoulli, appartenente alla celebre “dinastia” di matematici dei Bernoulli, che così scriveva: “Noi definiamo l’arte di congetturare, o stocastica, come quella di valutare il più esattamente possibile le probabilità delle cose, affinché sia sempre possibile, nei nostri giudizi e nelle nostre azioni, orientarci su quella che risulta la scelta migliore, più appropriata, più sicura, più prudente; il che costituisce il solo oggetto della saggezza del filosofo e della prudenza del politico”.  La nozione di probabilità, nata nell’ambito delle scommesse ai giochi d’azzardo, per opera del fisico scozzese James Clerk Maxwell, intorno alla metà del secolo XIX, cominciò a entrare nel campo scientifico trovando applicazioni in fisica, dove ebbe nel successivo secolo XX sempre più ampie e profonde implicazioni nello studio dei fenomeni delle particelle elementari (meccanica quantistica). Infine la Statistica moderna, con tutti i suoi svariati campi d’applicazione (fisica, scienze mediche, biologia, scienze sociali, psicologia, eccetera) non esisterebbe senza il Calcolo della Probabilità. Da questi brevissimi cenni sulle origini del concetto matematico di probabilità, è possibile trarre alcuni elementi essenziali e specifici. Quali sono? L’origine di questa nuova scienza matematica, com’è evidenziato nei titoli dei primi libri intorno ad essa (Cardano, Huygens, Galilei), è il giuoco d’azzardo2, e non ha quindi origini auliche come altri rami della matematica. Inoltre, già nel titolo del trattato di J. Bernoulli, si pone l’accento su un altro aspetto caratteristico della probabilità, insolito per la matematica: la nuova scienza proposta è “arte del congetturare”, che contrasta con l’assolutismo della verità matematica che ha imperato fin dall’antichità. La rivoluzione “relativista” del pensiero matematico, in base alla quale le asserzioni e i concetti matematici non hanno validità assoluta, bensì soltanto entro un certo sistema ipotetico-deduttivo, è una conquista del secolo XIX, quindi posteriore rispetto al periodo in cui nasce il nuovo Calcolo della Probabilità. In tale nuova scienza matematica, poi, si è ben consapevoli di trattare con contenuti che non hanno il marchio della certezza, ma al contrario dell’incertezza, essendo eventi e fatti “da provare”, da dimostrare certi, (“probabile” deriva dal latino “probabilis”, che è ciò che deve essere “probatus”, cioè provato) in contrapposizione a quelli “provati”, cioè dimostrati. Tutto ciò pone questa nuova branca in una posizione particolare e alquanto singolare rispetto agFigura 2 – Gli astragalili altri rami della matematica.  All’uomo comune, “non matematico”, viene subito spontanea un’osservazione: com’è possibile  che la matematica, scienza esatta per antonomasia, si occupi di ciò che a priori ha il marchio dell’incertezza,  che è “ammissibile in base ad argomenti abbastanza sicuri” ma non completamente sicuri, quindi si occupi di ciò che non è sicuramente vero o realizzabile? E non è strano che questa “matematica dell’incertezza” sia fondata però su una certezza: la consapevolezza dell’incertezza? L’uomo della strada, non condizionato dai pregiudizi matematici del passato, nella maniera più spontanea, oggi, penserebbe che una siffatta scienza non può avere quel carattere di “oggettività” proprio delle altre scienze matematiche, e non si scandalizzerebbe, anzi si meraviglierebbe del contrario, di fronte ad un suo approccio “soggettivista”. Chi non sa di matematica dà quasi per scontato che, se si vuole dare un valore numerico alla probabilità, vale a dire all’aspettativa che un evento, non certo, si manifesti vero o si realizzi, l’unico modo “naturalmente” accettabile di farlo è in base ad un criterio soggettivo. Così vorrebbe il buon senso comune. Se il Calcolo della Probabilità fosse nato nella seconda metà del secolo appena trascorso, tale punto di vista sarebbe stato “probabilmente”, opportunamente perfezionato, adottato anche dal matematico, grazie ai profondi mutamenti critici del pensiero matematico iniziati nel secolo XIX con l’avvento delle geometrie non-euclidee e maggiormente sviluppatesi nel successivo secolo XX. Ma nella prima metà del secolo XVIII, quando esso effettivamente nacque con l’Ars Conjectandi di Bernoulli, la mentalità matematica era ben diversa: i concetti matematici erano considerati veri in sé e per sé, ed il loro valore era considerato oggettivo. Parlare di “soggettivo” in matematica era un non senso allora e fino alla metà del secolo scorso. Tutto questo spiega la “pretesa” di fondare la Teoria della Probabilità su una realtà che, com’è stato argutamente obiettato, è soltanto “artificialmente oggettiva”, mentre di fatto non lo è. Dunque, non deve meravigliare che le prime definizioni che i matematici hanno proposto per la probabilità abbiano avuto l’ambizione di attribuire alla probabilità un valore in base a criteri oggettivi, cioè indipendenti dall’osservatore, quasi che essa fosse una proprietà intrinseca degli eventi ai quali viene riferita.    (continua)
Note:
1 L’insegnamento del Calcolo della Probabilità a livello universitario è relativamente recente, iniziando circa centocinquanta anni fa.
2 Si può obiettare che anche gli antichi praticavano giochi d’azzardo; come mai a nessun matematico dell’antichità è venuto in mente di formulare una teoria matematica della probabilità? Una possibile risposta è che tali giochi erano effettuati con strumenti, gli “astragali” (figura 2), che avevano forme talmente diverse tra loro, da non permettere l’osservazione di nessuna tendenza o presunta “regolarità” nei risultati ottenibili con i lanci.

SCIENZA E CULTURA

Sommario anno XIII numero 6 - giugno 2004