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Sommario anno XIII numero 7 - luglio 2004

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Cecenia mon amour
(Federico Gentili) - “Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!”. Questi versi mi sono tornati alla mente in un’assolata domenica di giugno, sentendo il ritornello dei “trecento ceceni kamikaze telecomandati”. Non è la prima volta che le agenzie di stampa di tutto il mondo “lanciano” i ceceni a grappoli, come paracadutisti alleati il giorno dello sbarco in Normandia. “Battaglioni ceceni accorsi a sostenere i Taliban”. “I combattenti ceceni sono una succursale di Al Qaeda”. Dopo qualche giorno viene tutto smentito. Nel frattempo, però, tra un lancio e una smentita, la “peste” cecena semina il panico. Come quelle api assassine che, qualche stagione fa, dovevano venire dall’Africa e non sono mai arrivate. Chissà perchè, i pericoli giungono sempre dalle aree più povere della terra.Quello dei governi e dei mass media per i ceceni, sembra essere un colpo di fulmine che rinasce, all’occorrenza, come un’araba fenice. Un’ossessione amorosa che si consuma e non concede distrazioni. Una storia di amor fou ispirata alla migliore cinematografia francese. La Cecenia: un fazzoletto di terra grande quanto la Calabria, tra il Mar Nero e il Mar Caspio, nella catena montuosa del Caucaso. Il motivo di tutte queste morti e distruzioni? Di cosa ha paura Mosca? Perché tanta ostinazione da Caterina II a Putin, per non parlare di Stalin che li fece deportare tutti, in tre giorni, nel 1944? Dal Settecento ad oggi, le guerre cecene vengono portate ad “esempio per tutta la nazione”. Con questi termini Putin ha bandito la seconda crociata contro di loro. La crocifissione dei montanari che osano ribellarsi deve essere un esempio per tutti. La guerra in Cecenia disciplina l’impero. L’ odio e gli stereotipi che dividono i russi dai popoli caucasici hanno radici antiche. Caucaso: mito di poeti e scrittori russi che rimasero affascinati dallo spirito di libertà, dall’amore per la natura e dall’orrore per la barbarie delle popolazioni che lo abitano. Caucaso: luogo di viaggi, di esilio e di campagne militari contro i ceceni. Nel capolavoro di Lermontov Un eroe del nostro tempo, il protagonista-eroe Peèorin “va a combattere la noia sotto il fuoco dei proiettili ceceni”. I ceceni, “canaglie” e “maledetti”, vengono dipinti come una popolazione dedita a razzie ed agguati, cruente faide, lunghi ozi e sfrenati festini.

1986. Gorbaciov. Speranze immense. Eccitazione. Aria nuova in giro. 1989. Il Muro cade. 1991. L’Urss cessa di esistere. Il paese affamato viene saccheggiato dagli oligarchi. Eltsin beve. Prima guerra cecena: bare di zinco e Eltsin ubriaco fradicio. 1999. Seconda guerra cecena. 2000. Tragedia del sottomarino Kursk. Putin preferisce abbandonare su un fondale polare i marinai al loro destino, piuttosto che accettare l’offerta di aiuti stranieri. Una grande potenza deve essere in grado di cavarsela da sola! 2002. Centoventinove civili, presi in ostaggio in un teatro di Mosca, muoiono per un gas chimico immesso dalle forze speciali. Per giorni non si conosce il tipo di gas usato. Con un antidoto si sarebbero potute salvare molte vite. Ma si vocifera di un gas messo al bando dalla comunità internazionale e un paese “democratico” se pure lo usa, non lo può ammettere, senza rischiare di fare una figuraccia. Risarcimenti per i familiari delle vittime? Non scherziamo. Dopo aver ballato per una decina di anni il valzer democratico, la Russia si è accorta che non è in grado di vivere serenamente senza ambizioni da grande potenza. Ha bisogno per forza di un “piccolo” e di un “cattivo” per sentirsi grande e importante. I cittadini ripensano all’epoca sovietica come a un periodo felice, quando l’Urss era un immenso impero. Una nostalgia battezzata “salame da due rubli e venti”, un genere alimentare indigesto, ma che era alla portata di tutti. L’epoca in cui ogni suddito aveva paura del Kgb, senza bene saperne perché. Dopo l’11 settembre 2001 anche Putin è diventato un eroe della lotta al “terrorismo internazionale”. Quando si leverà una voce di un primo ministro o di un leader del G7 per quello che sta avvenendo in Cecenia? A quando un grido da parte di quel mondo occidentale che si professa difensore dei diritti umani? Per poter continuare ad essere ottimisti dalla coscienza tranquilla, meglio fingere di non sapere che, in realtà, esistono due tipi di diritti umani. Quelli inalienabili, per noi, e quelli invece un po’ più labili, quasi inesistenti, per il resto della terra. È illuminante una battuta di Karl Kraus, uno che denunciava spesso le menzogne della società: “Chi ha qualcosa da dire, si faccia avanti e taccia”.

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Sommario anno XIII numero 7 - luglio 2004