Il
lavoro a progetto
(Cristina Stillitano) - Tra le novità del recente D. Lgs.
n. 276/2003, attuativo della legge delega n. 30/2003, la cd. Riforma Biagi,
va segnalata l’introduzione del “Lavoro a Progetto”. Questa nuova
tipologia contrattuale assorbe quasi interamente le vecchie co.co.co
(collaborazioni coordinate e continuative) nel senso che, come statuisce
il decreto, “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa,
prevalentemente personali e senza vincolo di subordinazione, di cui
all’art. 409, n. 3 del codice di procedura civile, devono essere
riconducibili a un progetto specifico o programma di lavoro o fasi di esso
determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in
funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la
organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per
l’esecuzione dell’attività lavorativa”. Non sono più possibili
quindi collaborazioni cd. “atipiche”: quelle instaurate senza un
progetto o un programma subiscono la sanzione della conversione in
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dalla data di
costituzione del rapporto. L’art. 62 del D.Lgs. n. 276/2003 prevede la
forma scritta per il contratto (ad probationem, cioè solo ai fini della
prova) e indica gli elementi che esso deve obbligatoriamente contenere:
progetto, programma di lavoro o fase di esso; durata determinata o
determinabile del rapporto; compenso proporzionato alla qualità e quantità
del lavoro e comunque stabilito tenendo conto dei compensi corrisposti per
analoghe prestazioni autonome nel luogo di esecuzione del rapporto; forme
di coordinamento del lavoro, cioè scadenze ed altre modalità di
integrazione, anche temporale, dell’attività del collaboratore con
quella dell’azienda e dei suoi dipendenti, le quali possono essere
liberamente determinate ma non devono pregiudicare l’autonomia della
prestazione; misure per la tutela e la salute del collaboratore.
Infortunio e malattia del collaboratore comportano la sospensione del
rapporto contrattuale senza proroga del contratto, che si estingue alla
scadenza. Il committente può recedere se la sospensione si protrae per un
periodo superiore ad un sesto della durata totale del contratto; se essa
non è indicata, ma è determinabile, allora il periodo massimo di
sospensione è di 30 giorni. In caso di gravidanza, invece, il rapporto è
prorogato di 180 giorni. Sono comunque possibili accordi individuali più
favorevoli. Durante la sospensione, quale effetto comune di tutte e tre le
ipotesi, il corrispettivo non viene erogato. Al lavoro a progetto si
applica la disciplina relativa al processo del lavoro e quella in materia
di tutela della maternità delle iscritte alla gestione separata Inps. La
risoluzione del contratto è fissata dall’art. 67, comma 1, e coincide
con la realizzazione del progetto o programma di lavoro. Secondo
l’interpretazione della Circolare Ministero del Lavoro n. 1/2004 è
possibile la successione di più contratti nel tempo con lo stesso
committente, sempreché siano ancorati a progetti o programmi di lavoro,
anche analoghi.
Restano escluse da questa disciplina le cd. “prestazioni occasionali”,
quelle cioè di durata complessiva non superiore a 30 giorni con lo stesso
committente, a meno che il compenso complessivamente percepito nell’anno
solare superi i 5000 euro, nel qual caso si rende necessaria la presenza
di un progetto o programma. Sono altresì esclusi dal campo di
applicazione della normativa in esame i dipendenti della P.A.; le
professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria
l’iscrizione ad un albo; i rapporti e attività di collaborazione rese e
utilizzate a fini istituzionali in favore di associazioni e società
sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni nazionali, alle
discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva
riconosciute dal C.O.N.I.; i componenti degli organi di amministrazione e
controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni; i
percettori di pensione di vecchiaia. Queste esclusioni suscitano seri
dubbi di costituzionalità, nel delineare una disparità di trattamento
che non trova giustificazione sufficiente nella supposta mancanza di
rischio di elusione fraudolenta della normativa inderogabile di diritto
del lavoro.
Da parte di alcuni autorevoli studiosi (Vallebona – La Riforma dei
Lavori) si osserva anche che la definizione di lavoro subordinato, come
delineata dalla Riforma, è ora integrata da elementi restrittivi tali (funzionalizzazione
dell’attività ad un progetto), da costituire una “violenta e inutile
invasione dell’autonomia privata” che, nel ridurre a rapporti di
lavoro subordinato anche autentici co.co.co non legati ad un progetto e
nell’impedire collaborazioni a tempo indeterminato, si profila in
evidente contrasto con gli artt. 3, 4, 35, 41 della nostra Costituzione. |