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Sommario anno XIII numero 10 - ottobre 2004

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Quattro chiacchiere su Euro, Tasse… e quant’altro
(Gelsino Martini) - Chiariamo subito un concetto, non sono un economista, come tutti provo a quadrare l’economia intorno al miolavoro. È proprio questa condizione che mi porta ad una valutazione d’ordinaria vita quotidiana.
Euro: sin dagli anni sperimentali, fino all’entrata in vigore e ad oggi, non riesco a sopportare l’idea cretina del luogo comune che un Euro è uguale a mille Lire. In questa frase si riversa la debolezza sociale degli Italiani e l’inqualificabilità di un Governo che, avallando questa tesi, nulla ha fatto affinché i cittadini avessero il concetto di un reale scambio-valore dell’economia giornaliera. Addirittura il Ministro dell’Economia ha tentato di farci credere che 1 € di carta vale più di 1 € di ferro. È probabile che per il Ministro 1 kg di paglia pesi più di 1 kg di ferro!
È naturale che un passaggio economico così importante porti ad aggiustamenti, è avvenuto in tutta Europa dove i Governi hanno controllato ed indirizzato il cambiamento. Noi abbiamo subito la maggiore speculazione, prima mentale, poi perché legati ad un debito pubblico superiore, e poi perché il libero mercato è stato legalizzato come “Libera Sola” senza regole socio-economiche. In tutto questo il Governo è stato presenza passiva, della serie “non abbiamo fatto noi gli accordi” oppure “prima di acquistare controllate i prezzi”, ovvero prima di comperare l’insalata fate un’indagine di mercato. Questa lo scenario dell’abbandono socio-economico italiano. Vi è anche un’altra situazione che non c’è stata detta: l’operazione svalutazione. Quando la nostra Liretta girava per i mercati, periodicamente la riallineavamo con svalutazioni programmate, un’auto 500 che negli anni 60 costava 200/300 mila lire (un mese e mezzo o due di stipendio), dopo 20 anni passava a 5/6 milioni, ovvero 3/4 stipendi. Il ricorso alla svalutazione, i tassi da usura delle banche e l’inflazione a due cifre fornivano l’illusione di un diffuso benessere, condito da forti debiti ed innumerevoli “pagherò”. Si viveva l’oggi con i soldi che avremmo guadagnato domani, alimentando una lenta e continua crescita debitoria. Tutto questo giuoco non è più possibile con l’Euro. La quadratura dei conti richiestaci e la mancanza del gioco delle tre carte in economia spingono ad una continua crescita dei costi dei beni di consumo.
Un’altra debolezza economica è la burocrazia. La ricchezza sociale si consolida con la produzione della forza-lavoro, ovvero ogni cittadino che lavora deve produrre servizio o bene di consumo. Il sistema Italia che abbiamo creato, è impigliato in una rete di bolle, carte, visure, motorizzazioni, registri, certificazioni ed altre condizioni burocratiche. Che cosa significa? Proviamo a cavare il ragno dal buco. Ad esempio, prendiamo un prestito: garanzie, controlli, valutazioni, attestazioni di proprietà, hanno dei costi non indifferenti; il paradosso è che tutto serve a dichiarare ciò che è scritto sull’atto di proprietà visibile a costo zero. Questo modo d’agire ha smosso diverse persone che devono essere retribuite senza che producano ricchezza. Altrettanto avviene nei servizi sociali o attività industriali, dove abbiamo creato il campo delle competenze, ossia ciò che posso fare ma non faccio. L’insieme di condizioni sociali che abbiamo attivato negli anni, oggi si riversano nella vita quotidiana amplificando le diversità con i nostri partner Europei.
L’ultimo gioco che stiamo avviando sono le tasse. Un’istituzione sociale, uno stato, può esistere solo sul contributo degl’individui che ne fanno parte. È superfluo enunciare che tutti devono contribuire equamente agli obiettivi finali del paese. Come detto, le tasse sono le finanze di uno stato. La cosa fondamentale non è quanto un cittadino paghi (sempre nel principio dell’equità), bensì quali e come sono i servizi dello stato verso il cittadino. Parlare dello sfacelo sociale sarebbe come rubare le caramelle ad un bambino, è più interessante capire quanto e cosa faremo con i soldi risparmiati dalle tasse. Prendiamo una retribuzione annua media di 30.000,00 € (direi non male), quanto si recupera di tasse, 2.000/3.000 € ??
Considerato che lo stato, oltre al taglio delle tasse, prevede un grosso taglio dei finanziamenti alle Regioni, Province, Comuni, senza trascurare la riduzione di servizi sociali, avviati ormai alla privatizzazione e quindi al pagamento di questi, quante e quali saranno le tasse degli enti locali per sopravvivere ed offrire eventuali servizi ai cittadini? Saranno sufficienti i soldi recuperati per pagare le nuove tasse (ritenute necessarie da tutti gli enti locali)? Basteranno alle famiglie, per affrontare eventuali spese di necessità, o ricorreremo a nuovi salassi del nostro portafoglio? Certo una prima risposta è sempre il buon governo. Ma allora che cosa cambia? Altri carrozzoni altri poteri, sfaldamento della solidarietà sociale ovvero, chi può si arrangi.
Dimenticavo, qualcuno avrà un tornaconto. Aumentiamo la cifra, vediamo i redditi di 300.000/1.000.000 di € ed oltre, pensate che bel risparmio per questi poveri cristi che tutti i giorni sudano nei cantieri o nelle catene di montaggio... potranno permettersi di pagare anche il dottore o una scuola privata. Una bella riforma sociale.
Permettetemi un ultimo appunto. Con poche righe non si discute una riforma economica, basterebbero però Uomini politici che ricambino i Cittadini con la semplice funzionalità dei servizi che sono attivi usando i soldi e la solidarietà sociale, senza ricorrere al gioco delle tre carte per calmierare i difetti di pubblica istituzione.

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Sommario anno XIII numero 10 - ottobre 2004