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Sommario anno XIII numero 10 - ottobre 2004

 I NOSTRI PAESI - pagina 7

nemi
Visioni del lago di Nemi
(Luca Ceccarelli) - Sul Lago di Nemi si affacciava il Nemus Dianae, bosco sacro dedicato alla protettrice delle selve, della Ortensie in fiore - Carlo Montanicaccia e della fecondità delle giovani spose, al culto della quale era dedicato un tempio di cui sono stati trovati resti. L’imperatore Caligola giunse, per non contaminare il sacro suolo del Nemus, a farsi costruire le famose navi poi installate al centro del lago, come tempio galleggiante. Ancora nella prima età imperiale, nell’area circostante il tempio ed il nemus ferveva un’intensa vita, come in tutti i luoghi di culto di una qualche importanza. Com’è noto però, poco più tardi questo tempio cadde in disuso e ne venne costruito un altro nel territorio di Ariccia. Tuttavia, pur decadendo nel tardo impero il bosco intorno al lago di Nemi da nemus a massa (un insieme di fondi agricoli, che l’Imperatore Costantino assegnò alla basilica di San Giovanni Battista di Albano, e passò successivamente di mano varie volte a partire dal IX secolo d. C.) il fascino del lago, con il bosco circostante e il borgo che si venne formando nel Medio Evo, si consolidò nei secoli, seducendo anche poeti come Byron, Goethe e D’Annunzio. Ma non solo i poeti: sfogliando un repertorio di quadri e illustrazioni a stampa dei Castelli Romani, ho notato che questo punto dei Colli Albani ispirò numerosi artisti che lo immortalarono in misura superiore, forse, a qualsiasi altra bellezza della zona. 
La più interessante delle raffigurazioni è l’incisione su rame di Filippo Galli intitolata Lacus Nemorensis sive Ariciae, su disegno di Hendrick van Cleef. È anche la più antica, risalente probabilmente al 1587. Piuttosto fallace nell’indicazione toponomastica (non è il lago, ma il bosco su cui fu costruito il tempio successivo ad essere consacrato alla ninfa Aricia), ma efficace nel rappresentare lo specchio d’acqua come cornice, al cui centro è ancorato il tempio galleggiante di Diana. Sulla sinistra sorge invece il borgo di Nemi, nell’aspetto medievale che conserva ancor oggi più di ogni altro tra i Castelli Romani. Non c’è, qui, dunque, l’anelito a riprodurre un paesaggio di epoca romana ormai difficile da rendere nelle sue sfumature, ma il rammarico per l’antico che si è perduto, e che nell’ispirazione dell’autore del disegno, imbevuto di cultura umanistica, poteva convivere felicemente con il moderno. Nessuno tenterà più simili arditi accostamenti, nelle raffigurazioni successive, pur degne di nota. Una è la Veduta del lago di Nemi, un gessetto e acquarello su carta del 1787 di Richard Colt Hoare, custodita nella Collezione Ashby della Biblioteca Vaticana. Nell’Ottocento, a dominare sarà la produzione di litografie, eseguite specialmente a Parigi. Del 1849 è Le acque del lago, una litografia a colori di Carlo Lindemann Frommel. Particolarmente pregevole appare un’acquatinta eseguita a Parigi nel 1860 da Bernard Lemercier. L’acquatinta è una variante dell’acquaforte, che con maggiore delicatezza di quest’ultima permette di rendere le sfumature. Porta la scritta in basso a destra Lac de Nemi (environs de Roma). Simile come prospettiva alla veduta del Colt Hoare è la litografia eseguita nel 1869 da Léon Baptiste Sabatier, su disegno di Félix Benoist. Degli stessi anni, un acquerello del 1860, oggi in una collezione privata di Roma, opera di Salomon Corrodi, che più tardi, nel 1881, entrerà a far parte della «Società degli Acquerellisti in Roma», e riproduce il lago da un punto in cui si fronteggiano i due borghi che lo sovrastano con i rispettivi palazzi signorili: quello di Genzano, con il Palazzo Sforza Cesarini, e quello di Nemi con il palazzo Ruspoli. Sullo sfondo, tra la foschia, si nota il promontorio del Circeo.
Negli anni Venti del Novecento, per iniziativa del governo fascista si procedette a tirare su dal fondo quelle navi che da quasi due millenni dormivano sul fondo (e che ben presto sarebbero state distrutte da un incendio, stavolta per sempre). Tale operazione sarà di stimolo anche alla produzione pittorica, tanto che Carlo Montani, uno del gruppo dei XXV della Campagna Romana, nel 1929 espose a Roma le sue «Cento visioni del lago di Nemi», in cui lo speculum Dianae muta a seconda dell’angolazione, dell’ora e della stagione dell’anno, nei fiori, nella luce e nei colori. In una delle tele, Ortensie in fiore, il rosa e l’azzurro di questi fiori dominano una raffigurazione con un cielo dalle tinte tenui, il verde dei Colli Albani assai meno acceso di quanto realmente sia, e i borghi di Nemi e Genzano appena accennati. Dello stesso Carlo Montani, spicca un altro olio del 1926, in cui il borgo di Nemi fa capolino in lontananza, come una macchiolina bianca circondata da luci e colori di una giornata autunnale. Un’altra di quelle “Cento visioni” che, esposte a Palazzo Valentini (attuale sede della Provincia di Roma) vennero contese da istituzioni pubbliche e private, attori, personalità politiche, determinando un’inevitabile disgregazione della raccolta in più collezioni pubbliche e private.

 I NOSTRI PAESI - pagina 7

Sommario anno XIII numero 10 - ottobre 2004