Chiacchiere e pace
(Claudio Comandini) - Così come le truppe militari sono
inviate insieme agli aiuti umanitari, che poi vengono fatti oggetto di
azioni belliche, i politici parlano di pace ma favoriscono la guerra, la
quale prende il posto di una politica altrimenti assente. In fondo lo
stesso Bush dichiara di volere, a modo suo, la pace, e in Italia
anche numerosi esponenti della sinistra per definizione “pacifista”
riescono a far mancare il “no” alle votazioni del Senato del 18 febbraio
2004 sul Ddl 2700, che era decisivo per un eventuale e tempestivo
ritiro delle truppe italiane dalla trappola irachena, ed i cui effetti non
svaniscono con lo scorrere del tempo e con l’avvicendarsi delle notizie.
Se nella ex culla della civiltà si è installato un conflitto
permanente del quale non si sanno vedere soluzioni, ci sono precise
responsabilità decisionali, che non solo non è inopportuno ricordare,
ma che è anche un dovere di democrazia segnalare, laddove un Popper
ricordava che la democrazia si esercita nel “controllare” i poteri. E
siccome di questi tempi (dove la telecrazia di Berlusconi presidente ha le
sue immense responsabilità, pur riducendosi essa stessa ad una pedina
fra le tante) la normalità è utopia, l’assurdo è quotidiano e l’abuso è
legge, qui potrà solo segnalarsi, onde permettere ad ognuno di trarre le
sue conclusioni, dove reperire in rete la lista completa delle votazioni
sul Ddl 2700, redatta dalla Rete Lilliput: http://italy.indymedia.org/news/2004/04/535140.php.
Ora, le contraddizioni sembrerebbero enormi e forse irrisolvibili, dove
oltre al confusionarismo politico-comunicativo, anche attività come il
volontariato a beneficio degli immigrati o le missioni di pace,
indubbiamente meritorie nelle loro circostanziate applicazioni, non
soltanto non sono e non vogliono essere risolutive, ma non possono
neanche prescindere dalle guerre, alimentate dai nostri stessi consumi, i
quali inevitabilmente ci rendono complici di affari e disastri: e per
affrontare questo nodo servirebbe davvero qualcosa chiamata politica.
Ma soprattutto occorre la capacità di sottrarsi al superficiale
schematismo di dividere la realtà in due parti, e credere che una sia
“buona” e l’altra “cattiva”: a questo riguardo non credo possa più essere
sottovalutato che nell’esperienza contemporanea sembra esistere una
diffusa e singolare specularità fra “guerra” e “pace”, sulla quale può
aiutarci a riflettere una questione formulata dallo scrittore ebreo Israel
Shamir, già volontario dell’esercito israeliano e ora sostenitore della
causa palestinese: sotto il punto di vista sociale e finanziario,
provocare e alimentare guerre lontane, oppure assecondare i flussi
migratori indiscriminati, per quanto siano azioni considerate una di
“destra” e l’altra di “sinistra”, sono nettamente convergenti in quel
processo distruttivo diretto verso i contesti culturali ed economici
autonomi (le “minoranze”) deciso dai poteri attualmente a capo della
globalizzazione: poteri che esprimono l’egemonia degli interessi delle
multinazionali alla ricerca di materie prime e mano d’opera a basso costo
(I. Shamir, Carri armati e ulivi della Palestina, p. 163-4). Dice
ancora Shamir: “la destra e la sinistra dovrebbero unirsi contro questo
nulla che minaccia la nostra esistenza.” Ma forse la “politica” è
ormai esautorata delle sue funzioni pubbliche, e sembra che non serva
proprio a niente: né a prendere coscienza di quello che succede, né a
stabilire le corrette responsabilità, né a individuare una possibile
azione correttiva. Tanto vale che facesse a meno anche delle chiacchiere,
giusto per non fare troppe figuracce. |