Notizie in... Controluce Notizie in... Controluce
 Versione digitale del mensile di cultura e attualità dei Castelli Romani e Prenestini

sei il visitatore n.

 

home | indice giornali | estratti | info | agenda | cont@tti | cerca nel sito | pubblicità

 

Sommario anno XIII numero 11 - novembre 2004

 VISTO DA...

Il declino della TV commerciale e generalista
(Massimo De Fidio) - Da qualche tempo giungono notizie preoccupate dal fronte dell’audience televisiva. Le cifre snocciolate dagli operatori del settore e dai maghi della massmediologia parlano di un calo generalizzato degli ascolti, in tutte le fasce orarie e per ciascuna categoria di utenti. Ogni strategia è buona per recuperare qualche decimale di share o almeno per non far prevalere i rivali: assistiamo di volta in volta alla soppressione di programmi già inseriti in palinsesto, allo spostamento di altri in fasce orarie considerate più protette, al blocco di costose produzioni in attesa di perfezionare la strategia di lancio. Insomma, non è un momento facile per chi si occupa di televisione e il rischio di bruciarsi ancor prima di aver presentato il proprio prodotto, buono o meno buono che sia, coinvolge sia personaggi noti del piccolo schermo così come coloro che si affacciano pieni di ottimismo all’esperienza televisiva.
In questa situazione a soffrirne maggiormente è il livello di qualità dei programmi che vengono offerti al pubblico, perché l’ansia di sbagliare fa sì che i network televisivi investano le loro risorse su programmi di facile ascolto, destinati a catturare un pubblico pigro e poco curioso, il cosiddetto popolo del telecomando. Ecco allora il fiorire di quiz demenziali, di case abitate da fantasmi della società, di ex famosi disposti anche alla fame per riacquistare un po’ di notorietà, della riproposizione dell’intera saga mistico-religiosa che va sempre di moda, insomma, di quella che con un termine abusato ma mai come oggi attuale, viene comunemente definita TV spazzatura.
Notizie non migliori vengono dalle TV pay-per-view di cui da anni ormai si attende il boom commerciale e che, se non fosse per gli appassionati di calcio disposti a tutto pur di seguire la squadra del cuore, non raggiungerebbero certo l’equilibrio del bilancio con i soli documentari e i grandi film per i cinefili.
Eppure aumenta il tempo libero delle persone in tutto il mondo occidentale, si passa sempre più tempo a casa, persino il lavoro, grazie alla telematica e al computer, tiene maggiormente in casa le persone, insomma ci sarebbero tutte le condizioni perché la TV tornasse ad essere una valida compagnia, se non addirittura uno stimolo.
Si può parlare di disaffezione verso il simbolo principe della società dei consumi, quel tubo catodico che tanta parte ha avuto nella evoluzione dei costumi, nello sviluppo economico e persino nell’influenzare i comportamenti quotidiani di miliardi di uomini e donne negli ultimi cinquantanni? Prima di rispondere a questa domanda vale la pena soffermarsi su un fenomeno che prende velocemente piede tra le nostre abitudini e che credo abbia molto a che vedere con la crisi della televisione generalista.
Stiamo assistendo al moltiplicarsi di una domanda di cultura, di approfondimento, di confronto con persone e luoghi del costume, del sapere, della storia. E più questi approfondimenti sembrano complessi, apparentemente ostici, di nicchia e più cresce l’interesse delle persone comuni ad essere protagonisti di questa nouvelle vague di partecipazione motivata a ciò che succede intorno a noi.
Gli esempi sono molteplici: penso alle letture integrali della Commedia dantesca tenute da Vittorio Sermonti davanti ad una platea sterminata di casalinghe, di ragazzi che a scuola nemmeno si sognavano di aprire un testo di Dante, di manager che trascurano i profitti delle loro aziende per intercettare il messaggio morale offerto dal divin Poeta. Ma anche al festival estivo delle letterature a Roma, dove folle trabocchevoli attendono il premio Nobel di turno che, tra un assolo di violino e una suite di musica dodecafonica, legge brani tratti dai suoi libri (rigorosamente in lingua originale).
E che dire della crescente domanda di filosofia, applicata alle domande sull’esistente, la morale, il divino. Il commerciante ormai chiude bottega per interloquire con il filosofo e interrogarsi su se stesso, mentre Platone e Seneca sono più familiari del vicino di casa con il quale si discute non più del clima, come si usava una volta, ma dei danni della deforestazione e delle migrazioni di massa.
Potrei continuare con desideri più prosaici come i corsi di alta cucina seguiti da chi finora pensava che l’uovo in camicia si preparasse avvolto in un tovagliolo o le visite culturali fatte non già nei musei, ché sarebbe banale, ma nelle case di collezionisti nelle quali, camminando tra i corridoi, si possono ammirare (a pagamento si intende) Picasso alle pareti e reperti in marmo di epoca ellenistica sparsi quà e là.
Ma c’è di più: la gente non si limita ad ascoltare la lezione, la conferenza, il parere dell’esperto di turno; vuole partecipare al dibattito, dire la sua, far capire all’interlocutore-specialista di non essere un guscio vuoto che aspetta di essere illuminato ma di avere anch’esso delle cose da dire, delle idee da discutere, delle proposte da avanzare, insomma, di non essere più disposto a fare da sopramobile nelle discussioni come avviene nei talk show televisivi bensì vuole essere attore protagonista di questa nuova frontiera della comunicazione. C’è un rapporto tra questa presa di coscienza di parte del pubblico e la crisi degli ascolti in televisione?
Sicuramente sì e per capirlo meglio è necessario indossare gli occhiali del sociologo.
La società in cui viviamo ci appare giorno dopo giorno come una società di diseguaglianze: ricchezze concentrate in poche mani convivono fianco a fianco con enormi povertà, il 15% della popolazione mondiale detiene e controlla l’80% delle risorse produttive del pianeta, l’alta tecnologia si confronta a poca distanza con usanze tribali e arcaiche che sussistono in molte aree, il dominio della scienza rende più forte il mondo occidentale di fronte alle calamità naturali e alle malattie ma non impedisce il diffondersi di carestie e epidemie di massa che nessuno è in grado di controllare ecc.. Se questo è vero, anche sul piano dell’informazione e dell’intrattenimento la domanda del pubblico si farà sempre più diversificata.
Con gli esempi sopra descritti una parte della società sta dicendo ai produttori dell’informazione televisiva di non gradire le loro ricette false e zuccherose e rifiuta di farsi confinare all’interno di un triangolo i cui vertici sono costituiti da volgarità, voyeurismo e bassi sentimenti.
Dice anche che la televisione che vorrebbe deve parlare di idee, fatti reali, di società a confronto, di approfondimento culturale, di lavoro, di musica. Se questo non dovesse avvenire (e francamente sono in pochi a illudersi) è disposta a fare a meno di questa televisione e a rivolgersi altrove per soddisfare i suoi interessi e la sua curiosità.
Chi fa televisione è avvertito; può lasciare tutto com’è ma sappia che si sta rivolgendo ad un pubblico sempre più distante e annoiato. Per riconquistarlo ci vorrebbe la capacità di emozionarlo e ridargli la sensazione che quel che vede si rivolge a lui e non a un guscio vuoto. Chissà se ne saranno capaci.
         

 VISTO DA...

Sommario anno XIII numero 11 - novembre 2004