colleferro
Il Castello di Piombinara
(Tania Simonetti-Marco Cacciotti) - A poca distanza
dall’uscita dell’autostrada A1, sorgono i resti del Castello
di Piombinara costruito nel secolo XI sul sito di un monastero benedettino
dedicato a Santa Cecilia, viene documentato dalle fonti per la prima volta
nel 1051, dove viene indicato come rifugio dell’abate Oddone, in fuga da
Subiaco. Nel 1102 una tale Maria di Plumbinara partecipa alla vendita di
un orto. Nella metà del XII secolo, esattamente il 10 dicembre 1151,
nella chiesa di S.Maria “prope castrum Plombinaria” viene stipulato un
atto di permuta tra la chiesa e Oddone Colonna. Il castello figura poi in
una bolla di Lucio III del 1181 con l’elenco delle chiese di sua
pertinenza: S.Maria, S.Anstasio, S.Nicola, S.Barbara, S.Giorgio ed il
monastero di S.Cecilia. Dall’inizio del XIII secolo la documentazione
scritta sul Castello diviene molto più abbondante probabilmente a causa
dell’affermazione della famiglia Conti sul territorio ed in concomitanza
col pontificato di Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni). Nel 1208 il
Castello compare in un atto di vassallaggio effettuato da Riccardo dei
Conti fratello del Pontefice. Al 1220 risale un atto relativo alla
divisione delle terre di Piombinara in cui vengono descritte anche
numerose mole nel suo territorio. Alla data del 5 maggio 1226, il figlio
di Riccardo, Paolo, divenne signore del feudo di Piombinara a seguito
della spartizione dei beni dopo la morte del padre. Seguono una serie di
documenti del XIII e XVI sec. che contribuiscono alla ricostruzione del
quadro storico generale. Nel 1260 c’è la trasmissione dei frutti di
Piombinara tra i figli di Stefano il Demente e Giovanni Conti. Nel 1262
c’è la descrizione del territorio e dei confini del Castello, compreso
tra il Castello di Sacco, Castello di Colleferro, Castello di Anagni e
Castello di Paliano. Nel 1264 Giovanni, figlio di Paolo Conti, e Adinolfo
assegnano il territorio del Castello a Gregorio Frangipane, in garanzia
per l’acquisto di Giulianello. Paolo Conti, nel 1265, stipula un nuovo
trattato in cui si concede al procuratore di Oddone Frangipane, la torre e
il Castello ed il procuratore riceve un giuramento dei massai. Nel 1266
nuovo atto di assegnazione del Castello da parte di Giovanni e Adinolfo a
Gregorio Frangipane. Nel 1271 c’è la promessa di Nicolò Conti di non
edificare sopra alcuna tenuta nel Castello di Piombinara. Nel 1305 c’è
la vendita di terreni posti nel territorio di Piombinara tra Pietro
Bioncaro e Giovanni e Ildebiondo Conti. Nel 1309 quietanza sui frutti di
diversi Castelli tra cui Fluminaria tra i figli di Adenolfo e la figlia di
Annibale di Ceccano. Nel 1358 c’è un’ipoteca sulla metà della terra
di Flumunaria per Giovanni dei Conti per la dote della figlia Caterina,
andata in sposa ad Agapito Colonna. Nel 1379 l’Antipapa Clemente VII
confisca il castello e l’assegna al duca di Brunswick, marito di
Iacobella Caetani. Nel 1389 si ha notizia di una distruzione dei beni
appartenenti agli uomini di Piombinara in seguito ad una rivolta della
popolazione di Segni contro i Conti. Forse questo episodio segna il
declino del castello che viene posto sotto la protezione papale da Martino
V, nel 1428. Nel 1431 avviene
la distruzione di Piombinara congiunta con quella di Colleferro ed altre
proprietà dei Conti, dovuta all’azione delle truppe mercenarie ribelli
guidate da Giacomo Caldora, in origine inviate in aiuto al papa Eugenio IV
da Giovanni II di Napoli. Nel 1441 il sito è definito “Castello
diroccato” e, dal 1501, il nome figura spesso accompagnato dal solo
termine “tenuta”. I dati relativi al pagamento della tassa di pane e
focatico confermano questo stato di abbandono. Nel 1416 Piombinara appare
soggetto all’imposta ridotta di 5 libbre e a partire dal 1443 non figura
più alcun pagamento. Dopo il passaggio a Pompeo Colonna nel 1510, la
tenuta torna a Giovambattista Conti nel 1537. Nel 1539, approfittando
della morte di Guido di Giordano, torre e Castello vengono occupati da
Adinolfo Conti; tale azione conferma indirettamente l’abitabilità delle
strutture. Comunque nel corso del XVI secolo Piombinara acquisisce sempre
di più un carattere di tenuta agricola. L’abbandono e la difficoltà a
gestire e rendere produttiva la proprietà terriera sono testimoniate da
una serie di documenti del XVI e XVII secolo. Nel 1575, alla morte di
Giovambattista, ultimo discendente in linea diretta della Casa Conti, la
tenuta passa a Francesco Sforza. Nel 1622 Scipione Borghese la acquista da
Alessandro Conti. Sforza - Borghese completa l’acquisto nel 1628, ma, già
nel 1637, Marco Antonio Borghese avvia la vendita di Piombinara ai
Barberini. Il 29 aprile 1651 viene stipulato il primo contratto di
acquisto della famiglia Pamphili. L’interesse su Piombinara è ormai
prevalentemente di carattere economico. I Pamphili, proprietari di vasti
possedimenti nella zona tra Valmontone e Carpineto, provvedono ad attivare
vere e proprie aziende agricole che vengono date in affitto. Il territorio
di Piombinara viene frazionato in zone di pascolo, boschi e aree di
coltivazione. Tale processo avviato nel XVII secolo si consolida nel corso
del settecento e ottocento. I resti dell’antico palazzo non più
rispondenti alle moderne esigenze, non sono più ritenuti adatti a
trasformazioni e modifiche e cadono nel più completo abbandono. I resti
attuali del Castello di Piombinara sono relativi soprattutto alla cinta
muraria esterna, in particolare al lato nord-est, dove si osserva una
cortina piuttosto bassa, scandita, a distanze diverse, da torri
rettangolari aperte verso l’interno e lievemente più alte (al momento
se ne contano otto). Nell’estremità sud è conservata, invece, la
parete terminale della struttura del palazzo. Altri resti, molto più
circoscritti, sono presenti nel fianco nord-ovest, mentre solo alcuni
ridotti tratti murari appaiono tra la vegetazione nel lato sud-ovest.
Quasi del tutto scomparsi sono i resti pertinenti alle strutture interne
del palazzo, alle due parti di accesso collocate alla mezzeria dei due
lati corti, alla chiesa e ad un capeggio a pianta rettangolare, di cui non
è possibile stabilire chiaramente natura e funzionalità, posto a nord
del palazzo. Il palazzo doveva articolarsi intorno alla torre centrale.
All’interno, la tenace vegetazione che lo riveste, lascia intravedere le
tracce di coperture a tetto disposte in epoca successiva, mentre,
all’esterno, si osservano nel basamento le feritoie e, ai piani
superiori, ampie finestre a mensole in aggetto. Disegni della pianta del
Castello forniscono una descrizione di un muro posto a separare,
all’interno della cinta, la zona della rocca dal borgo. La posizione di
tale muro si individua dall’affioramento di alcune sue parti, ma anche
grazie alla presenza di quattro salienti che interrompono la cortina,
aperti nel lato verso la rocca. Il recinto, che segue l’affioramento
tufaceo sottostante, è rettangolare; lo spessore della muratura è
piuttosto ridotto. I salienti sono di larghezza variabile; l’elevato è
scandito da buche pontate. In alcune delle torri è visibile all’interno
una risega di 20 cm. di profondità: essa potrebbe corrispondere
all’impianto di un solaio ligneo. Le caratteristiche del tracciato, la
limitata altezza della cortina e la lieve sporgenza dei salienti, la
disposizione di feritoie, quali unici elementi difensivi, cui si
accompagna la presenza di dispositivi di difesa lignei (ponti, ballatoi,
bertesche, ecc.) rimanda ad altri esempi a Roma e nel Lazio. La datazione
della costruzione della cinta muraria, del palazzo e della torre può
essere fatta risalire agli anni di insediamento di Riccardo Conti, ossia
tra il 1208 e 1219.
Bibliografia:(A.Luttazzi - Antiquarium Colleferro - Il Betilo -
M.Ceccaroni)
tuscolo
Tuscolo verso la distruzione (2 di 9)
(Claudio Comandini) - Qui si cercherà di riportare alla
luce Tuscolo proprio assumendola come prospettiva privilegiata per
cogliere il complesso panorama dell’alto medioevo, le cui ampie
trasformazioni coinvolgono inevitabilmente gloria e rovina della città e
dei suoi Conti. Se a volte potrà sembrare che Tuscolo scompaia sullo
sfondo, è proprio per non lasciare incompresa la sua vicenda, intrecciata
in modo inestricabile con le questioni dei suoi tempi.
Nel 1061 diventa papa Alessandro II, Anselmo vescovo di Lucca, ispiratore
dei Patarini, riformatori provenienti dal basso clero e dalla bassa
borghesia dei comuni lombardi, ribelli all’autorità dei feudatari
imperiali. Tuscolo ritorna dalla parte dell’impero, e nel 1062 ospita
Onorio II, il vescovo di Parma Cadalo, eletto antipapa da tedeschi,
longobardi, e aristocrazia romana, prevalentemente i conti di Galeria e di
Tuscolo. In Germania il decenne Enrico IV di Franconia, successore di
Enrico III, è nominato patricius dal cancelliere Guiberto e sostenuto
dagli ecclesiastici ostili alle gerarchie romane e a Ildebrando da Soana,
che ha comunque ampie aderenze all’interno del clero tedesco e lombardo.
Onorio II muove attacchi contro Roma e a Tuscolo riceve gli ambasciatori
dell’imperatore bizantino Costantino X Ducas, esponente della burocrazia
cittadina di Costantinopoli e sostenuto dal primo ministro Psello,
brillante e controversa figura di filosofo e diplomatico. Bisanzio è
assediata su tutti i fronti, il suo esercito è indebolito e la crisi si
accompagna alla crescita del grande latifondismo (dunatòi), che espropria
i piccoli proprietari ed erode il potere centrale. Il progetto di muovere
una guerra nel meridione italiano che contro i Normanni riesca ad
accomunare imperatore e burocrazia bizantina con imperatore tedesco e
antipapa della chiesa scismatica di Roma resta privo di conseguenze: a
Tuscolo giunge anche Goffredo di Lorena, sposo di Matilde di Canossa, che
propone un armistizio ai due papi per poter sottoporre la questione della
loro nomina all’imperatore.
In Germania esercita il governo Annone vescovo di Colonia, che sotto la
pressione di Ildebrando decide per l’elezione di Alessandro II. Onorio
II da Parma continua a reclamare l’autorità pontificia, sostenuto a
Roma dai Conti di Tuscolo e aristocrazia ma privo della protezione
imperiale. Nel 1063 l’antipapa e le sue truppe entrano in s. Pietro, e
cercano di conquistare il Laterano; dopo un anno di combattimenti, mentre
l’imperatore bizantino offre un sostegno più diplomatico che militare,
Onorio II è costretto a fuggire per l’intervento dei Normanni.
Viene confermata l’elezione a papa di Alessandro II, e l’equilibrio
dei poteri si sposta decisamente a favore di Ildebrando. L’abbazia
benedettina di Montecassino (che nel 1064 era stata beneficiata da
Gregorio III di Tuscolo di donazioni del territorio tuscolano) va ad
assumere una spiccata funzione antiimperiale, evidente
nell’inaugurazione della nuova basilica, ultimata nel 1071 sotto la
direzione dell’abate Desiderio. La contessa Matilde di Canossa, figlia
di Bonifacio di Toscana, dona le sue proprietà alla Chiesa ricevendole
poi in feudo, e nel 1069 sposa Goffredo il Gobbo, figlio di primo letto
del patrigno Goffredo di Lorena, e nell’intrico delle parentele è anche
cugina di Enrico IV; inoltre in Toscana ci sono i grandi monasteri di
Camaldoli, presso Arezzo, e Vallombrosa, vicino Firenze, e Matilde ha un
esercito di 30.000 uomini, a disposizione del papato.
Intanto procede l’azione dei Normanni (cattolici dal 910), che con
Guglielmo occupano l’Inghilterra nel 1066, e nel meridione italiano
conquistano nel 1061 Messina e nel 1963 Gaeta, divenendo poi avversari
della Chiesa nel 1066 sotto probabile “contratto” dei Conti di Tuscolo
e dell’aristocrazia della Campagna romana, contrastati ad Aquino dai
marchesi di Toscana. Nel 1071 Roberto il Guiscardo prende Bari e Salerno,
nel 1072 Ruggero I prende Palermo, mentre nell’est europa bizantina gli
Ungari (cattolici dal 1000) invadono Belgrado nel 1064, e poi la Croazia
nel 1077. Ma mentre questi territori vengono reclamati dalla Chiesa,
un’altra potenza inizia a penetrare dall’Asia. I Turchi selgiuchidi,
popolazione guerriera proveniente dall’Altai e convertita all’Islam,
si uniscono a Baghdad con il califfo abbasside nel 1050, nel 1067
conquistano Cesarea e Gerusalemme ai Fatimidi e nel 1071 a Mazicerta
strappano all’imperatore Romano IV Diogene i territori di Anatolia,
Bitinia e Isauria, costituendo il sultanato di Rum (“romano”), con
capitale ad Iconio (Konya, Turchia). Al di là dei pellegrinaggi cristiani
a Gerusalemme, quelli che ora vengono a rendersi problematici sono i
commerci con l’Oriente, mentre nell’europa cristiana è cruciale
stabilire l’assetto dei poteri, e precisare le loro legittimità. Il
papa esercita anche un’autorità temporale e un ruolo politico,
l’imperatore rivendica la sacralità della sua carica e fa investiture
religiose: mentre la distinzione fra “sacro e “profano” è ancora
molto incerta, la mancata complementarietà dei poteri sta per definirsi
in aperto conflitto.
Nel 1073 Ildebrando è eletto per acclamazione come Gregorio VII.
Inizialmente attarda strategicamente i tempi per la ratifica imperiale
della sua nomina, poi procede con decisione l’azione di riforma, sancita
nel 1075 con l’emanazione del Dictatus papae (“Solo il papa ha il
diritto di emanare nuove leggi(…). Egli solo porge il piede al bacio dei
principi.”), che ha nella Donazione di Costantino il suo fondamento, e
nella creazione di un nuovo ceto clericale l’obiettivo. Mentre il papa
impone il rito latino al mondo cristiano, progetta di porsi alla testa
come Dux e Pontifex di un esercito di cavalieri cristiani contro i Turchi,
mettendo Roma sotto la protezione dell’imperatore e riunificando le
chiese d’Oriente e d’Occidente. Intanto, nel 1074 ci sono rivolte a
Colonia contro l’autorità politica del vescovo, e violando gli accordi
con la Chiesa i Normanni conquistano Benevento, e vengono scomunicati. Una
congiura contro Gregorio VII prende forma la notte di Natale del 1075,
quando il papa viene rapito dal prefetto cittadino Cencio Crescenzi mentre
celebra messa a s. Maria Maggiore. Gregorio VII è liberato da una
sommossa popolare, Cencio fugge con il cardinale Ugo Candido, già
sostenitore e ora avversario del papa, prima nella Campagna Romana e poi
in Germania presso Enrico IV. Il re tedesco è in conflitto con il papa
per la questione delle investiture: la Chiesa contesta all’Impero il
diritto di nomina dei vescovi-conti, i matrimoni del clero e la
compravendita di beni e cariche ecclesiastiche, iniziando a delegittimare
l’autorità imperiale e a metterne in crisi i rapporti. Enrico IV è
sostenuto dai vescovi di Utrecht, Magonza e Bamberga, e da numerosi
vescovi lombardi e della Campagna Romana, mentre alcune componenti del
clero e della nobiltà tedesca (soprattutto in Sassonia, Lotaringia,
Baviera e Svevia) sono con il papa, che porta dalla sua parte anche la
vedova Agnese, madre dell’imperatore.
Gregorio VII incorona nel 1074 Demetrio Zvonimir I re di Croazia, nel 1077
Michele di Serbia diviene re del Montenegro, lo stesso anno Ladislao I è
il secondo re cattolico d’Ungheria: il papa convalida a favore di
un’alleanza con Roma l’autonomia delle regioni dell’est europa dalla
sovranità bizantina, mentre Enrico IV procede con l’emanazione di
investiture e si allea con gli scomunicati Normanni del meridione
italiano. Nel 1076 c’è una fitta e controversa produzione di documenti:
il Sinodo di Worms depone il papa per decreto imperiale, chiamandolo
“falso monaco”, il Concilio Lateranense scomunica gravemente il re
tedesco, sciogliendo i suoi sudditi dal vincolo di obbedienza, e il
compromesso fra aristocrazia tedesca e potere pontificio espresso dalla
Dieta di Tribur detta condizioni a Enrico IV. |