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Grazie a
“Varchi” la geopolitica approda ai castelli
(Roberto Esposti - laleggedimclurg@yahoo.it) - Del Festival
di Storia “Varchi” Piero Fortini aveva pubblicato in ottobre il
programma e noi mossi da un’insana passione per la geopolitica abbiamo
assistito volentieri a due delle più interessanti tavole rotonde
previste.
Sabato 16 nel cinema Alfellini di Grottaferrata Giancarlo Bosetti
(direttore di “Reset”) ha coordinato Marta Dassù (direttrice di “Aspenia”),
Renzo Guolo (docente di Sociologia dei Processi Culturali ed editorialista
di Repubblica), Federico Romero (docente di Storia dell’America del
Nord) nel dibattito che verteva su Democrazia Import-Export? Tra
occidentalizzazione del mondo e mondo delle culture. Bosetti naturalmente
apre presentando i relatori e prosegue proponendo un cappello alla
conferenza parlando dell’enorme espansione del modello democratico nel
corso del Novecento, compiuta nonostante la necessaria presenza di
condizioni complesse da realizzare quali capitalismo e la borghesia. La
democratizzazione di un paese non è mai indolore dato che essa si
accompagna sempre alla distruzione di culture precedenti e questo fatto
causa una ripulsa verso tale ordinamento, se esso non viene scelto con
convinzione. Il primo relatore a prendere la parola è la Dassù che pone
per premessa di capire che cosa si intenda per democrazia, di cui esistono
due concezioni: una visione ristretta, che vede la democrazia come
semplice esportazione di processi elettorali ed una visione più ampia,
che prevede accanto a libere elezioni anche la costruzione di condizioni
che garantiscano un governo effettivamente democratico, come la tutela dei
diritti individuali ed una stampa libera. La prima concezione ben si
adatta all’idea dei Neo-Conservatori americani di esportazione della
democrazia con la forza, ma assolutamente non garantisce che una volta
abbandonati militarmente i teatri delle operazioni l’ordinamento tenga.
La seconda è invece propugnata dall’Unione Europea tramite
l’integrazione dei nuovi paesi membri, che obbligatoriamente debbono
riformare le loro istituzioni per essere accolti e garantisce risultati più
stabili, ma si scontra necessariamente con limitazioni geografiche.
Entrambi i tipi di esportazione possono destabilizzare i paesi che ne sono
promotori, come del resto l’applicazione di regole democratiche in
determinati stati può portare al potere fazioni che democratiche
dichiaratamente non sono. La soluzione per la Dassù è creare attraverso
istituzioni internazionali sistemi di regole (economiche ad esempio) che
poco alla volta facciano evolvere in senso democratico i regimi dei paesi
che non lo sono. Prende poi la parola Romero che ripercorrendo passati
esempi di democratizzazione analizza la possibilità di successo
dell’esportazione di questo tipo di regime. Accenna così al ruolo delle
armate napoleoniche nella diffusione dei valori della Rivoluzione,
spostandosi poi sui casi emblematici tedesco, italiano e giapponese nel
1945: la democrazia allora attecchì per la piena consapevolezza di questi
popoli di aver perso combattendola e perché vennero varati progetti a
lunghi termine che ne consentissero lo sviluppo favorendola economicamente
e giuridicamente. Nei paesi musulmani tale esperienza non è ripetibile in
quanto la democrazia viene vista come un concetto occidentale estraneo e
pericoloso che non può essere agevolato da nessun senso di colpa, semmai
osteggiato da sentimenti di rivalsa. Ed a nulla serve il dialogo con
l’Islam moderato dato che la secolarizzazione della società è sempre
stata una condizione necessaria all’istituzione della democrazia.
Conclude gli interventi Guolo riprendendo il paragone tra gli sconfitti
del ’45 ed i paesi islamici ed esponendo la sua contrarietà alla
riproposizione di tale modello: Germania, Giappone ed Italia erano infatti
società già molto diversificate socialmente, con una borghesia, un forte
concetto dell’individuo ed avevano conosciuto o aspirato ad esperienze
democratiche. Esistono sì paesi musulmani in cui si svolgono elezioni, ma
esse servono solo a legittimare ex-post un potere deciso altrimenti ed a
ciò si aggiungono forti resistenze culturali all’accettazione dell’habeas
corpus e dell’universalismo progressivo. Trovare democratici ben
inseriti nei paesi musulmani è estremamente difficile: chi conta in quei
paesi accetta la democrazia solo come processo elettorale, perché se si
aprisse ai vincitori delle urne si avrebbero al governo forze
anti-sistema. La transizione alla democrazia attualmente è possibile
forse solo in Iran e Turchia perché presentano alcune delle
caratteristiche necessarie per compiere il salto.
Il giorno dopo stesso luogo e (quasi) stessa ora si replica con Lumi
dell’Islam. L’Islam è compatibile con la democrazia? Nina Zu
Furstemberg (giornalista) modera Renzo Guolo e Tariq Ramadan, docente
all’Università di Friburgo e famosissimo intellettuale musulmano
studioso del fenomeno dell’Euro-Islam;
assente per malattia Khaled Fouad Allam. Dopo la doverosa presentazione
degli ospiti la Furstemberg prende spunto dal titolo del dibattito (che è
anche quello di un suo libro) per chiedersi se esiste un Islam non
fondamentalista con cui dialogare e per farlo restringe il campo
dell’analisi all’Islam europeo, in cui spicca la controversa figura di
Ramadan, intellettuale molto influente sui giovani musulmani europei,
presente spesso nei dibattiti televisivi francesi, accusato di
fondamentalismo dagli americani e di vicinanza ai Fratelli Musulmani (del
cui fondatore è nipote).
Ramadan apre spiegando perché è fatto oggetto di attacchi provenienti da
ogni corrente politica: come musulmano nato in Europa si trova in mezzo a
due culture che cerca di conciliare nonostante esse si presentino
monolitiche ed in più le sue critiche verso la politica mediorientale
degli Stai Uniti non gli portano simpatie. Per Ramadan l’Islam e la
democrazia sono molto più complessi di quanto appaiano a prima vista,
prova ne sono le varie versioni che ne esistono ed anche per questo
ritiene inutili concetti passpartout come il liberalismo e rifiuta la
teoria semplicistica che l’Islam sia incompatibile con la democrazia
solo perché nel Corano è presente un ordinamento politico/giuridico.
Questa è la visione dei fondamentalisti, ma non della maggior parte dei
musulmani che cercano di mediare tra la loro cultura e la modernizzazione,
forti anche di un’innata creatività che dà loro la massima libertà
fuori da quelli che sono i dogmi. I cittadini europei di fede musulmana
devono vivere in un sistema che rispetti le diverse fedi dando a tutti la
stessa cittadinanza. Ciò è possibile perché l’Islam non è in
contrasto con i principi dello Stato di Diritto, della cittadinanza
egualitaria, del suffragio universale e dell’alternanza politica, ma
richiede che i musulmani trovino un proprio modello per arrivare alla
democrazia e questo non può attuarsi con la forza. Ramadan illustra poi
la sua teoria per riformare i paesi musulmani: gli emigranti che tornano
dall’Europa e che lì si sono integrati pienamente fanno pressioni sui
loro regimi per le riforme, con le donne in prima linea perché sono
quelle che hanno i maggiori benefici dal mondo occidentale. Il successivo
intervento di Guolo si poggia su quello di Ramadan perché troppa è la
voglia di farsi chiarire da lui alcuni aspetti del Ramadan-pensiero: in
particolare come sia possibile conciliare la religione e lo Stato, quali
rapporti instaurare e come superare la concezione olistica della società
che vige nell’Islam per portarla su una concezione individualistica
dell’individuo, pilastro della democrazia occidentale. E poi il ruolo
della donna e dell’associazionismo islamico in Europa. Ramadan riprende
la parola dicendo che i modelli di integrazione culturale realizzati non
sono numerosi e del resto il fenomeno dell’Euro-Islam è recente,
ciononostante è evidente che ad esempio vanno combattuti i ghetti
auto-imposti. Molta dell’evoluzione dell’integrazione dipende da come
lo Stato negozia con la religione, di qualunque fede, ma una cosa è
chiara: la negoziazione deve partire dall’individuo che deve avere la
sicurezza che le leggi a lui applicate siano le stesse che riguardano ogni
altro cittadino. Purtroppo in molti stati europei non è così e ciò
alimenta la discriminazione del musulmano. Questo va superato.
Al termine di entrambi gli incontri un pubblico presente ed interessato ha
posto volentieri domande ai relatori, segno dell’interesse che una
manifestazione di questo livello è stata in grado di creare ai Castelli
Romani. Speriamo si replichi l’anno prossimo.
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Varchi tra le
idee: dialogo religioni e civiltà
(Serena Grizi) - Momenti di incontro e dialogo durante
“Varchi - Festival della storia (in)contemporanea” svoltosi tra
Grottaferrata e Marino.
Durante la tavola rotonda dal titolo quanto mai attuale “Religioni e
civiltà. Dialogo o scontro?” le parole d’ordine per i tre relatori,
Armando Gnisci professore di Letterature comparate all’Università
la Sapienza di Roma, Amos Luzzatto presidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane, Angelo Romano docente di Storia presso la Pontificia
Universitas Urbaniana e “don” impegnato attivamente nella Comunità di
Sant’Egidio, e del coordinatore della serata Maurizio Gentilini
dell’Istituto Luigi Sturzo, sono state assolutamente: dialogo e ricerca
continua di punti di contatto fra le varie esperienze che
contraddistinguono oltre al credo religioso anche la quotidianità dei
popoli.
“La teoria dello scontro tra civiltà deve essere smontata” secondo il
professor Gnisci, rappresentante
del pensiero laico, che ha costruito il suo intervento su salde basi
storico letterarie citando appunto la teoria di Samuel P. Huntington
autore, un titolo per tutti, de ‘Lo scontro delle civiltà e il nuovo
ordine mondiale. Il futuro geopolitico del pianeta’. “Le nazioni si
scontrano, non le civiltà, le civiltà riescono a trovare sempre punti di
incontro”, anche se, come ha proseguito Amos Luzzatto, “il problema
dell’incontro non deve essere sottovalutato poiché resta vero che la
globalizzazione tende a far spostare ed avvicinare pericolosamente grandi
masse di persone estranee e distanti tra loro”. Ma lo spauracchio del
nemico a tutti i costi e del musulmano cattivo, indicato come nemico
pubblico dopo i fatti dell’11 settembre,
non convince nemmeno Angelo Romano che porta la testimonianza della
sua esperienza giornaliera e indica quale piazza di incontro e dialogo
ideale fra le religioni la Assisi di San Francesco. Amos Luzzatto
ribadisce che al di là dei credo, ma non al di sopra, la società
multirazziale e multireligiosa la costruiscono i rapporti tra i singoli
individui in uno Stato capace di pensare leggi che facciano sì che la
libertà di culto nel rispetto dell’altro sia praticabile da ciascun
individuo. “In un’epoca - ha proseguito Luzzatto - nella quale la
globalizzazione procede con due marce distinte, quella accelerata delle
multinazionali e della tecnologia che si è perfettamente organizzata in
un mondo diventato ormai troppo piccolo, e
la marcia ridotta alla quale procede l’incontro e lo scambio
continuo tra le persone e i popoli, occorre lavorare alacremente per non
rischiare che l’andamento di quest’ultima marcia sia monopolizzato da
un pensiero che mette al primo posto la logica dello scontro utile solo a
pochi”, concetto condiviso dai tre relatori.
Un motivo in più per non percepire l’altro come nostro nemico, come
espresso nelle parole del professor Gnisci, è conoscere e ricordare la
storia: dal 1492, ovvero dall’inizio dell’epoca moderna, è stato
l’uomo bianco che non ha mai smesso di colonizzare le terre di ogni
continente, dall’America, all’Asia, dall’Africa all’Australia.
Esistono, in questa storia di sopraffazione senza pietà, minoranze mai
riconosciute neppure come tali, quali i Rom, che compongono la più estesa
comunità trans-nazionale esistente (e per questo già proclamatasi
Europea molto prima della nascita dell’Europa): “Rom che non ci
degniamo - ha proseguito Gnisci - di citare né nel bene né nel male, su
alcun libro di storia (eppure con gli Ebrei hanno condiviso la sorte dei
campi di sterminio nazisti): non consideriamo e nemmeno nominiamo un
popolo che ha ingaggiato con noi una sorta di resistenza non violenta,
rappresentata dal loro modo di vivere fatto anche di piccoli furti. Una
resistenza non armata nei confronti dell’indifferenza totale con la
quale li ripaghiamo da secoli”.
Parole e concetti che le orecchie hanno bisogno di sentirsi dire, a
giudicare dalla viva e interessata partecipazione di pubblico, in
un’epoca di veloci trasformazioni e perciò di conflitti, in buona parte
evitabili attraverso la conoscenza della storia ed il dialogo continuo.
Appuntamento alla prossima edizione. |