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Sommario anno XIII numero 11 - novembre 2004

 I NOSTRI PAESI - pagina 8

grottaferrata - marino
Grazie a “Varchi” la geopolitica approda ai castelli
(Roberto Esposti - laleggedimclurg@yahoo.it) - Del Festival di Storia “Varchi” Piero Fortini aveva pubblicato in ottobre il programma e noi mossi da un’insana passione per la geopolitica abbiamo assistito volentieri a due delle più interessanti tavole rotonde previste.
Sabato 16 nel cinema Alfellini di Grottaferrata Giancarlo Bosetti (direttore di “Reset”) ha coordinato Marta Dassù (direttrice di “Aspenia”), Renzo Guolo (docente di Sociologia dei Processi Culturali ed editorialista di Repubblica), Federico Romero (docente di Storia dell’America del Nord) nel dibattito che verteva su Democrazia Import-Export? Tra occidentalizzazione del mondo e mondo delle culture. Bosetti naturalmente apre presentando i relatori e prosegue proponendo un cappello alla conferenza parlando dell’enorme espansione del modello democratico nel corso del Novecento, compiuta nonostante la necessaria presenza di condizioni complesse da realizzare quali capitalismo e la borghesia. La democratizzazione di un paese non è mai indolore dato che essa si accompagna sempre alla distruzione di culture precedenti e questo fatto causa una ripulsa verso tale ordinamento, se esso non viene scelto con convinzione. Il primo relatore a prendere la parola è la Dassù che pone per premessa di capire che cosa si intenda per democrazia, di cui esistono due concezioni: una visione ristretta, che vede la democrazia come semplice esportazione di processi elettorali ed una visione più ampia, che prevede accanto a libere elezioni anche la costruzione di condizioni che garantiscano un governo effettivamente democratico, come la tutela dei diritti individuali ed una stampa libera. La prima concezione ben si adatta all’idea dei Neo-Conservatori americani di esportazione della democrazia con la forza, ma assolutamente non garantisce che una volta abbandonati militarmente i teatri delle operazioni l’ordinamento tenga. La seconda è invece propugnata dall’Unione Europea tramite l’integrazione dei nuovi paesi membri, che obbligatoriamente debbono riformare le loro istituzioni per essere accolti e garantisce risultati più stabili, ma si scontra necessariamente con limitazioni geografiche. Entrambi i tipi di esportazione possono destabilizzare i paesi che ne sono promotori, come del resto l’applicazione di regole democratiche in determinati stati può portare al potere fazioni che democratiche dichiaratamente non sono. La soluzione per la Dassù è creare attraverso istituzioni internazionali sistemi di regole (economiche ad esempio) che poco alla volta facciano evolvere in senso democratico i regimi dei paesi che non lo sono. Prende poi la parola Romero che ripercorrendo passati esempi di democratizzazione analizza la possibilità di successo dell’esportazione di questo tipo di regime. Accenna così al ruolo delle armate napoleoniche nella diffusione dei valori della Rivoluzione, spostandosi poi sui casi emblematici tedesco, italiano e giapponese nel 1945: la democrazia allora attecchì per la piena consapevolezza di questi popoli di aver perso combattendola e perché vennero varati progetti a lunghi termine che ne consentissero lo sviluppo favorendola economicamente e giuridicamente. Nei paesi musulmani tale esperienza non è ripetibile in quanto la democrazia viene vista come un concetto occidentale estraneo e pericoloso che non può essere agevolato da nessun senso di colpa, semmai osteggiato da sentimenti di rivalsa. Ed a nulla serve il dialogo con l’Islam moderato dato che la secolarizzazione della società è sempre stata una condizione necessaria all’istituzione della democrazia. Conclude gli interventi Guolo riprendendo il paragone tra gli sconfitti del ’45 ed i paesi islamici ed esponendo la sua contrarietà alla riproposizione di tale modello: Germania, Giappone ed Italia erano infatti società già molto diversificate socialmente, con una borghesia, un forte concetto dell’individuo ed avevano conosciuto o aspirato ad esperienze democratiche. Esistono sì paesi musulmani in cui si svolgono elezioni, ma esse servono solo a legittimare ex-post un potere deciso altrimenti ed a ciò si aggiungono forti resistenze culturali all’accettazione dell’habeas corpus e dell’universalismo progressivo. Trovare democratici ben inseriti nei paesi musulmani è estremamente difficile: chi conta in quei paesi accetta la democrazia solo come processo elettorale, perché se si aprisse ai vincitori delle urne si avrebbero al governo forze anti-sistema. La transizione alla democrazia attualmente è possibile forse solo in Iran e Turchia perché presentano alcune delle caratteristiche necessarie per compiere il salto.
Il giorno dopo stesso luogo e (quasi) stessa ora si replica con Lumi dell’Islam. L’Islam è compatibile con la democrazia? Nina Zu Furstemberg (giornalista) modera Renzo Guolo e Tariq Ramadan, docente all’Università di Friburgo e famosissimo intellettuale musulmano studioso del fenomeno dell’Euro-Islam;
assente per malattia Khaled Fouad Allam. Dopo la doverosa presentazione degli ospiti la Furstemberg prende spunto dal titolo del dibattito (che è anche quello di un suo libro) per chiedersi se esiste un Islam non fondamentalista con cui dialogare e per farlo restringe il campo dell’analisi all’Islam europeo, in cui spicca la controversa figura di Ramadan, intellettuale molto influente sui giovani musulmani europei, presente spesso nei dibattiti televisivi francesi, accusato di fondamentalismo dagli americani e di vicinanza ai Fratelli Musulmani (del cui fondatore è nipote).
Ramadan apre spiegando perché è fatto oggetto di attacchi provenienti da ogni corrente politica: come musulmano nato in Europa si trova in mezzo a due culture che cerca di conciliare nonostante esse si presentino monolitiche ed in più le sue critiche verso la politica mediorientale degli Stai Uniti non gli portano simpatie. Per Ramadan l’Islam e la democrazia sono molto più complessi di quanto appaiano a prima vista, prova ne sono le varie versioni che ne esistono ed anche per questo ritiene inutili concetti passpartout come il liberalismo e rifiuta la teoria semplicistica che l’Islam sia incompatibile con la democrazia solo perché nel Corano è presente un ordinamento politico/giuridico. Questa è la visione dei fondamentalisti, ma non della maggior parte dei musulmani che cercano di mediare tra la loro cultura e la modernizzazione, forti anche di un’innata creatività che dà loro la massima libertà fuori da quelli che sono i dogmi. I cittadini europei di fede musulmana devono vivere in un sistema che rispetti le diverse fedi dando a tutti la stessa cittadinanza. Ciò è possibile perché l’Islam non è in contrasto con i principi dello Stato di Diritto, della cittadinanza egualitaria, del suffragio universale e dell’alternanza politica, ma richiede che i musulmani trovino un proprio modello per arrivare alla democrazia e questo non può attuarsi con la forza. Ramadan illustra poi la sua teoria per riformare i paesi musulmani: gli emigranti che tornano dall’Europa e che lì si sono integrati pienamente fanno pressioni sui loro regimi per le riforme, con le donne in prima linea perché sono quelle che hanno i maggiori benefici dal mondo occidentale. Il successivo intervento di Guolo si poggia su quello di Ramadan perché troppa è la voglia di farsi chiarire da lui alcuni aspetti del Ramadan-pensiero: in particolare come sia possibile conciliare la religione e lo Stato, quali rapporti instaurare e come superare la concezione olistica della società che vige nell’Islam per portarla su una concezione individualistica dell’individuo, pilastro della democrazia occidentale. E poi il ruolo della donna e dell’associazionismo islamico in Europa. Ramadan riprende la parola dicendo che i modelli di integrazione culturale realizzati non sono numerosi e del resto il fenomeno dell’Euro-Islam è recente, ciononostante è evidente che ad esempio vanno combattuti i ghetti auto-imposti. Molta dell’evoluzione dell’integrazione dipende da come lo Stato negozia con la religione, di qualunque fede, ma una cosa è chiara: la negoziazione deve partire dall’individuo che deve avere la sicurezza che le leggi a lui applicate siano le stesse che riguardano ogni altro cittadino. Purtroppo in molti stati europei non è così e ciò alimenta la discriminazione del musulmano. Questo va superato.
Al termine di entrambi gli incontri un pubblico presente ed interessato ha posto volentieri domande ai relatori, segno dell’interesse che una manifestazione di questo livello è stata in grado di creare ai Castelli Romani. Speriamo si replichi l’anno prossimo.


grottaferrata - marino
Varchi tra le idee: dialogo religioni e civiltà
(Serena Grizi) - Momenti di incontro e dialogo durante “Varchi - Festival della storia (in)contemporanea” svoltosi tra Grottaferrata e Marino.
Durante la tavola rotonda dal titolo quanto mai attuale “Religioni e civiltà. Dialogo o scontro?” le parole d’ordine per i tre relatori,  Armando Gnisci professore di Letterature comparate all’Università la Sapienza di Roma, Amos Luzzatto presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Angelo Romano docente di Storia presso la Pontificia Universitas Urbaniana e “don” impegnato attivamente nella Comunità di Sant’Egidio, e del coordinatore della serata Maurizio Gentilini dell’Istituto Luigi Sturzo, sono state assolutamente: dialogo e ricerca continua di punti di contatto fra le varie esperienze che contraddistinguono oltre al credo religioso anche la quotidianità dei popoli.
“La teoria dello scontro tra civiltà deve essere smontata” secondo il professor Gnisci,  rappresentante del pensiero laico, che ha costruito il suo intervento su salde basi storico letterarie citando appunto la teoria di Samuel P. Huntington autore, un titolo per tutti, de ‘Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Il futuro geopolitico del pianeta’. “Le nazioni si scontrano, non le civiltà, le civiltà riescono a trovare sempre punti di incontro”, anche se, come ha proseguito Amos Luzzatto, “il problema dell’incontro non deve essere sottovalutato poiché resta vero che la globalizzazione tende a far spostare ed avvicinare pericolosamente grandi masse di persone estranee e distanti tra loro”. Ma lo spauracchio del nemico a tutti i costi e del musulmano cattivo, indicato come nemico pubblico dopo i fatti dell’11 settembre,  non convince nemmeno Angelo Romano che porta la testimonianza della sua esperienza giornaliera e indica quale piazza di incontro e dialogo ideale fra le religioni la Assisi di San Francesco. Amos Luzzatto ribadisce che al di là dei credo, ma non al di sopra, la società multirazziale e multireligiosa la costruiscono i rapporti tra i singoli individui in uno Stato capace di pensare leggi che facciano sì che la libertà di culto nel rispetto dell’altro sia praticabile da ciascun individuo. “In un’epoca - ha proseguito Luzzatto - nella quale la globalizzazione procede con due marce distinte, quella accelerata delle multinazionali e della tecnologia che si è perfettamente organizzata in un mondo diventato ormai troppo piccolo, e  la marcia ridotta alla quale procede l’incontro e lo scambio continuo tra le persone e i popoli, occorre lavorare alacremente per non rischiare che l’andamento di quest’ultima marcia sia monopolizzato da un pensiero che mette al primo posto la logica dello scontro utile solo a pochi”, concetto condiviso dai tre relatori.
Un motivo in più per non percepire l’altro come nostro nemico, come espresso nelle parole del professor Gnisci, è conoscere e ricordare la storia: dal 1492, ovvero dall’inizio dell’epoca moderna, è stato l’uomo bianco che non ha mai smesso di colonizzare le terre di ogni continente, dall’America, all’Asia, dall’Africa all’Australia. Esistono, in questa storia di sopraffazione senza pietà, minoranze mai riconosciute neppure come tali, quali i Rom, che compongono la più estesa comunità trans-nazionale esistente (e per questo già proclamatasi Europea molto prima della nascita dell’Europa): “Rom che non ci degniamo - ha proseguito Gnisci - di citare né nel bene né nel male, su alcun libro di storia (eppure con gli Ebrei hanno condiviso la sorte dei campi di sterminio nazisti): non consideriamo e nemmeno nominiamo un popolo che ha ingaggiato con noi una sorta di resistenza non violenta, rappresentata dal loro modo di vivere fatto anche di piccoli furti. Una resistenza non armata nei confronti dell’indifferenza totale con la quale li ripaghiamo da secoli”.
Parole e concetti che le orecchie hanno bisogno di sentirsi dire, a giudicare dalla viva e interessata partecipazione di pubblico, in un’epoca di veloci trasformazioni e perciò di conflitti, in buona parte evitabili attraverso la conoscenza della storia ed il dialogo continuo. Appuntamento alla prossima edizione.

 I NOSTRI PAESI - pagina 8

Sommario anno XIII numero 11 - novembre 2004