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Sommario anno XIII numero 11 - novembre 2004

 CINEMA

La mala educaciòn di Pedro Almodovàr
(Federico Scrimaglio) - Certi film fanno pensare che un regista sia arrivato alla maturità necessaria per raccontare qualcosa che sente appartenergli profondamente; che magari l’ha accompagnato per tutto il corso della sua esperienza artistica insinuandosi nelle sue opere, lasciando una traccia da riscoprire nel tempo. Queste premesse c’erano per “La mala educaciòn”, con il famoso periodo di studi in un istituto salesiano del regista, ricordato spesso nelle interviste come poco edificante. Come se qualcosa di profondo l’avesse segnato. Questo film  dopo la felice linea narrativa, intensa, drammatica di “Tutto su mia madre” e “Parla con lei” - forse il maggior risultato raggiunto dal regista spagnolo - poteva sembrare un’opera capitale. Cosa farà  Almodovàr?
Il tema affondava, a mio parere, più di altri nel suo intimo e forse per questo non è riuscito a esprimerlo con la sincerità che ne avrebbe fatto un’opera importante. Comincia con la storia di un attore spiantato che vuole piazzare un racconto ispirato a certi fatti dolorosi della sua adolescenza. Va a trovare un amico del collegio, regista di un certo nome, cercando di convincerlo a girare il film. Vediamo spezzoni dell’infanzia dei due vecchi amici e in particolare le ossessive attenzioni del superiore del collegio nei confronti del protagonista. Attenzioni che giungono all’abuso sessuale e qui c’è la scena capitale del film: la violenza mostrata per allusione. In un giorno di sole, in riva a un fiume, dopo un ralenti sui ragazzi che giocano nell’acqua il regista si ferma sul prete e il  protagonista. La voce del ragazzo è bellissima. Il prete ha le lacrime agli occhi. Il ragazzo cade a terra. Il prete si sbottona la tunica. Primissimo piano del ragazzo che con un effetto digitale si spacca in due: dalla fronte cade una goccia di sangue. Scena durissima. Si avvertono le profonde intenzioni del regista nel raccontare la vita divisa in due, da quel momento in poi, del ragazzo. Ma questa scena è finzione. Appartiene al film che l’amico del protagonista sta girando. Sulla prima storia, quella della prima mezz’ora, s’intreccia ora un fosco melodramma, che ricorda il vecchio stile del regista, dove tutti si tradiscono, s’ingannano e la passione amorosa, fisica, diventa predominante. È come se il regsita non ce l’ha fatta a proseguire nelle sue intenzioni e ha avuto bisogno di puntelli che hanno reso molto superficiale e sdrammatizzato enormemente la vicenda dell’abuso. Quel prete che commette la violenza sul ragazzo è un attore, il vero prete compare verso la fine. Non sappiamo come prendere questo personaggio che risulta addirittura simpatico. È come se gli  fosse stata appiccicata addosso la storia che avevamo visto fin troppo bene interpretata dal finto prete del film. Forse ad Almodovàr mancava un ruolo femminile di riferimento che in altri  film  gli ha permesso quell’equilibrio e quella sincerità  che qui , a un certo punto, scompaiono. Viene in mente la sua seconda opera, “L’indiscreto fascino del peccato”, dove aveva cominciato a porsi la questione del peccato in modo originale, raccontando la vita di un convento cittadino sui generis, animato da suore scellerate ma nella loro scelleratezza profondamente pietose. Nella “Mala educaciòn” manca la pietà. C’è molto cinismo e nessuna speranza. L’unico a salvarsi, tra virgolette, è il regista che  nella didascalia di chiusura, viene assicurato, continua a girare film con la stessa grande passione di sempre. Ben magra consolazione davvero, per un personaggio che per tutta l’opera risulta spettatore passivo e addirittura quasi sfruttatore delle sventure altrui. In questo film manca anche la bellezza, un certo gusto nel presentare la scena, che può riscattare dalla fragilità della trama. Basta pensare alla presentazione di Barcellona in “Tutto su mia madre”, con la ripresa dal tunnel che sbocca nella panoramica aerea sottolineata dalla suggestiva colonna sonora fino al riflesso della Sagrada familia sul finestrino del taxi; o all’intervento  di Caetano Veloso in “Parla con lei”. Quell’umanità, quella comprensione che avevano fatto grandi i due precedenti film nell’ultimo sono assenti. Speriamo che sia solo un incidente di percoso nel cammino brillante finora seguito da Almodovàr.

 CINEMA

Sommario anno XIII numero 11 - novembre 2004