Bruno de Finetti: così
è, se vi pare - 4
“...ecco in sua vece al nostro fianco una creatura viva, la
scienza che il nostro pensiero liberamente crea”
(di Luca Nicotra)
Le critiche della scuola soggettivista
(continuazione)
Secondo
l’impostazione soggettivista di de Finetti, il valore assegnato alla
probabilità di un evento è il rapporto tra la “posta” di chi valuta
la probabilità e la somma delle “poste” dei due scommettitori. Così,
per esempio, se Giovanni è disposto a scommettere 3 contro 1 che il
cavallo Destriero vincerà la prossima corsa, significa che il suo
avversario è invece disposto a scommettere 1 contro 3 che quel cavallo
vincerà: la probabilità che Giovanni attribuisce alla vittoria di
Destriero, quindi, è per lui, ¾, vale a dire il 75%, mentre per il suo
avversario è ¼, pari al 25%. In altri termini la scuola soggettivista di
de Finetti e Ramsey, provocatoriamente, assegna alla probabilità di un
evento il valore numerico pari “alla massima somma di denaro che un
soggetto razionale è disposto a scommettere a fronte di una vincita lorda
unitaria”. La “posta” impegnata nella definizione di de Finetti può
essere determinata in svariati modi (simulazioni al computer, calcoli
scientifici, calcoli combinatori, frequenza relativa, valutazioni
puramente intuitive, rapporto casi favorevoli/casi possibili, eccetera),
ma sempre in maniera “equa e coerente con le informazioni” possedute
dal soggetto che valuta la probabilità. La definizione soggettivista di
probabilità, dunque, non rigetta le precedenti definizioni, ma le
recupera sottraendole all’errata pretesa di oggettivismo, per
utilizzarle più ragionevolmente e realisticamente in ottica
soggettivista, come scelte non necessarie, bensì ritenute utili da chi
deve dare un valore alla probabilità, in base alle “sue” informazioni
o al “suo” intuito. Il soggettivismo in essa presente non è pertanto
“arbitrarietà”, come a volte è frainteso da alcuni, ma
l’espressione dell’opinione del soggetto che valuta la probabilità,
coerente con le informazioni, di qualunque tipo, di cui egli dispone
sull’evento, comprendendo fra esse anche la conoscenza di diverse
valutazioni della probabilità dell’evento espresse da altri soggetti o,
perfino, la mancanza di qualunque informazione. Le tecniche di calcolo
messe a punto dal de Finetti sono tali da consentire di ricavare, in
maniera coerente con le premesse, il valore della probabilità e pertanto
sono oggettive, pur essendo le premesse stesse soggettive, in accordo con
l’osservazione, precedentemente data in queste pagine, sulla sostanziale
differenza fra il calcolo delle probabilità, cha ha valore oggettivo, e i
metodi per la definizione di probabilità, che possono variare. La
definizione di probabilità dello Zingarelli
“La misura in cui si giudica che un avvenimento sia realizzabile
o probabile”, che a prima vista può sembrare poco scientifica,
contiene, invece, proprio i tre elementi essenziali che caratterizzano la
definizione più generale di probabilità data dal de Finetti: misura,
giudizio e realizzabilità.
La definizione del matematico italiano ha il pregio innegabile di fornire
“sempre” un valore alla probabilità, anche nei casi in cui l’evento
non è ripetibile, non è mai accaduto o le informazioni disponibili sono
molto scarse o inesistenti. Inoltre, è notevole constatare che esistono
casi in cui alcuni eventi sono composti di altri ai quali, in base alle
precedenti definizioni, non sarebbe possibile assegnare alcun valore di
probabilità e che, d’altra parte, la probabilità di tali eventi
complessi risulta poco influenzata dalle probabilità assegnate agli
eventi componenti. Di conseguenza, non ha molto senso discutere sulla
“attendibilità” dei valori di probabilità assegnati agli eventi
elementari, mentre è essenziale prendere l’iniziativa di assegnare in
qualche modo tali valori. L’approccio soggettivista consente di
sbloccare brillantemente tali situazioni, applicando il calcolo delle
probabilità laddove sarebbe impossibile con le altre definizioni di
probabilità. Bruno de Finetti applicò le sue vedute probabilistiche
anche in psicologia, a molti aspetti dell’istinto, del subconscio e
dell’intuizione, ai quali riconobbe sempre un ruolo decisivo nel
processo della scoperta matematica. Una curiosità: egli pose in evidenza,
per esempio, la manifestazione di un certo senso della probabilità da
parte dei cinghiali quando, inseguiti dai cacciatori, cercano di trovare
una via di scampo.
Il soggettivismo di de Finetti è frutto essenzialmente di quell’assenza
di rigidezza mentale, che è cosa ben diversa dal rigore, che ha sempre
contraddistinto il suo pensiero, caratterizzando il matematico italiano
come acerrimo e autorevole nemico di ogni forma stereotipata di schemi
mentali. Nel passato, pur essendo ben lontano da un approccio
soggettivista, già il grande matematico francese Simone de Laplace nel
1814, nel suo Essai philosophique des probabilités, aveva espresso idee
tutt’altro che rigide sulla probabilità: “In fondo la teoria delle
probabilità è soltanto senso comune espresso in numeri”. Il “senso
comune”, si sa, non è qualcosa di determinato secondo rigide leggi, ma
è soprattutto “opinione” ragionevole. Tale affermazione, dunque, già
allora apriva una strada in fondo alla quale non è difficile scorgere la
visione soggettivista della probabilità.
La probabilità, con Bruno de Finetti, ritorna alle sue origini, delle
scommesse e della concezione spontaneamente soggettiva dell’uomo della
strada. È il frutto del suo effettivo “realismo” (ben diverso dal
presunto realismo degli oggettivisti della probabilità!), della sua
disarmante onestà e semplicità scientifica, che rigetta sdegnosamente i
falsi idoli, da chiunque vengano creati: “Sul piano accademico alligna
in genere la civetteria di voler separare e collocare su uno sgabello più
onorifico o certe speciali cose o certi linguaggi più pomposi per
trattare di comuni cose, in modo da riservare a ciò che si colloca sullo
sgabello, e negare a ciò che si lascia sul pavimento, la qualifica di
scienza. Molti dei criteri di separazione adottati a questo scopo e delle
discussioni cui conducono hanno indubbiamente valore e interesse da
qualche punto di vista, ...ma ogni erezione di una qualunque siffatta
distinzione a criterio di discriminazione accademica costituisce una
mutilazione suicida: si uccide la scienza che è vita cui nulla è
precluso, collocando al suo posto un feticcio imbalsamato e gonfio di
cattedratica boria”. 1
E
ancora: “La probabilità: chi è costei? Prima di rispondere a tale
domanda è certamente opportuno chiedersi: ma davvero ‘esiste’ la
probabilità? e cosa mai sarebbe? Io risponderei di no, che non esiste.
Qualcuno, cui diedi questa risposta (ribadita, col motto in tutte
maiuscole - PROBABILITY DOES NOT EXIST- nella prefazione all’inglese di
Teoria delle probabilità [1970]), mi chiese ironicamente perché mai,
allora, me ne occupo.
Mah! Potrei anche dire, viceversa e senza contraddizione, che la
probabilità regna ovunque, che è, o almeno dovrebbe essere, la nostra
‘guida nel pensare e nell’agire’, e che perciò mi interessa.
Soltanto, mi sembra improprio, e perciò mi urta, vederla concretizzata in
un sostantivo, ‘probabilità’, mentre riterrei meglio accettabile e più
appropriato che si usasse soltanto l’aggettivo, ‘probabile’, o,
meglio ancora, soltanto l’avverbio, ‘probabilmente’.
Dire che la probabilità di una certa asserzione vale 40 per cento appare
- purtroppo! - come espressione concreta di una verità apodittica. Non
pretendo né desidero che tale modo di esprimersi vada bandito, ma certo
è che l’asserzione apparirebbe assai più appropriatamente formulata se
la si ammorbidisse dicendo, invece, che quel fatto lo si giudica
‘probabile al 40 per cento’, o, meglio ancora ( a parte che suona male
) , che ci si attende ‘ al 40 per cento- probabilmente’ che sia o che
risulti vero. 2 ”
Il valore della Scienza
“Certo, non si potrà ammettere il determinismo; non si potrà ammettere
l’esistenza, in quel famoso preteso regno di tenebre e di mistero, di
leggi immutabili e necessarie che regolano l’universo, e non si potrà
ammettere che ciò sia vero per il semplice motivo che, al lume della
nostra logica, ciò è privo di un significato qualsiasi. La scienza,
intesa come scopritrice di verità assolute, rimane dunque, e
naturalmente, disoccupata per mancanza di verità assolute. Se cade
infranto il freddo idolo marmoreo di una scienza perfetta, eterna e
universale, che noi potremmo cercare soltanto di sempre meglio conoscere,
ecco in sua vece al nostro fianco una creatura viva, la scienza che il
nostro pensiero liberamente crea. Creatura viva: carne della nostra carne,
frutto del nostro tormento, compagna nella lotta e guida alla
conquista.”3
Chi dei matematici ha l’idea di uomini freddi e calcolatori, rimarrà
disorientato leggendo queste appassionate parole che il giovane de Finetti
scrisse, appena ventitreenne, nel suo primo lavoro sulla teoria soggettiva
delle probabilità, pubblicato nel 1930 nella collana di testi filosofici
curata da Antonio Aliotta con il titolo “Probabilismo, saggio critico
sulla teoria delle probabilità e sul valore della scienza”. I veri
matematici hanno in sé lo spirito profondo della più grande arte del
pensiero e non sono dissimili dagli artisti, anzi, come diceva il grande
matematico tedesco Karl Weierstrass, “un matematico che non è anche un
poeta non è un buon matematico”. E non è un caso che Bruno de Finetti
amasse molto la poesia e il teatro!
Le vedute soggettiviste del matematico italiano, nate nell’ambito della
Teoria delle Probabilità, si estendono quindi anche alla cosiddetta
“oggettività” della ricerca scientifica. Il suo soggettivismo si
colloca non come drastico rifiuto, bensì come realistico correttivo di
un’arbitraria convinzione riguardo alla pretesa “oggettività” della
scienza, secondo la quale essa sarebbe un attributo intrinseco alle cose,
mentre, invece, altro non è che la condivisione, fra più esseri
razionali, delle medesime informazioni, la coincidenza di soggettività,
ossia un’ “intersoggettività”. “Il guaio è che il realismo (come
accuratamente osservò Jeffreys) ha il vantaggio che il linguaggio è
stato creato da realisti, e per di più da realisti molto ‘primitivi’,
ed è perciò che noi abbiamo larghissime possibilità di descrivere le
proprietà attribuite agli oggetti, ma scarsissime di descrivere quelle
direttamente conosciute come sensazioni. Da ciò la mania (che forse per
altri è invece indizio di saggezza, serietà, accuratezza) di
assolutizzare, di concretizzare, di oggettivare perfino quelle che sono
soltanto proprietà dei nostri atteggiamenti soggettivi. Non
altrimenti si spiegherebbe lo sforzo di fare della Probabilità
qualcosa di nobler than it is (sempre parole di Jeffreys), nascondendone
la natura soggettiva e gabellandola per oggettiva.” (Op. cit. nota 2).
La visione soggettivista, dunque, è in aperto contrasto con il rigido
determinismo in auge ai tempi del Circolo di Vienna e induce a rivedere il
valore generalmente attribuito alle teorie scientifiche, secondo quanto
dal de Finetti stesso espresso: “È illusorio attribuire a una teoria o
a una legge un significato apodittico, ma tuttavia esiste chiaramente un
significato pragmatico in quanto essa induce ad attendere che certi fatti
si svolgano nel modo che noi riteniamo conforme all’idea che di tale
teoria o legge ci siamo fatti. La formulazione di una teoria, di una
legge, è un anello - in certa misura infido perché metafisico ma
tuttavia spesso necessario come tentativo di sintesi semplificativa di
cose complesse – del processo mentale per cui passiamo
dall’osservazione di fatti passati alla previsione di fatti futuri. In
definitiva è solo dei fatti, dei singoli fatti, che ha senso parlare.
E’ ai fatti, che (se sono futuri, e se comunque ne ignoriamo l’esito)
possiamo attribuire una probabilità”.
(Fine della quarta puntata)
Note:
1 B. de Finetti “Un
matematico e l’economia” , Franco Angeli, Milano 1969 p. 94
2 Dalla voce probabilità
scritta da B. de Finetti per l’Enciclopedia Einaudi.
3 B. de Finetti
“Probabilismo, saggio critico sulla teoria delle probabilità e sul
valore della scienza », Libreria Editrice Francesco Perrella S.A.
1930 |