La Caritas,
l’immigrazione e la Bossi-Fini
(Federico Gentili) - «Passerò il
resto della vita da schiavo, a fare massacranti lavori manuali. Sono
quella che chiamano una “non-persona”» scriveva Philip Dick in un
racconto di trent’anni fa. Non è impresa facile esprimere la propria
indignazione nei confronti di una legge così poco giusta e cristiana come
la Bossi-Fini (legge 189/2002), proposta ed elaborata da una classe
politica che solitamente è invece tanto attenta e solerte
nell’ascoltare i giudizi espressi da oltretevere su molte importanti
questioni. Non solo nella nostra giovane democrazia, ma nel mondo intero,
tira una brutta aria e non è difficile accorgersi che si sta combattendo
una decisiva battaglia tra una idea di società e un’altra. Tra un
progetto basato sulla rispettosa convivenza di popoli e culture, animali e
natura intera, e fondato su quel sentimento di responsabilità che è
sempre prima individuale e dopo collettivo. E un altro modello di società
che mira, invece, a garantire gli interessi di chi già ha, senza alcuna
considerazione per il futuro. Per questo motivo alcune leggi appaiono
tessere di uno stesso puzzle, spie di un progetto che non lascia dormire
sonni troppo tranquilli. L’idea di fondo che sottende la pessima legge
sull’immigrazione è che i migranti siano non già soggetti di diritto e
futuri cittadini, ma “lavoratori-ospiti”, merce-lavoro di passaggio,
da sfruttare finché si può, e quindi meglio se privata di diritti, in
quanto più facilmente ricattabile. In mezzo a questi due diversi modi di
disegnare la società del futuro ci sono loro, i “sans-papiers”
francesi, i migranti italiani, gli “extracomunitari” di tutti i Paesi
comunitari che occupano chiese, organizzano scioperi del lavoro migrante e
che, attivando conflitti e rivendicazioni, si comportano come cittadini di
fatto, quasi cittadini-modello, se si considera che la partecipazione e il
farsi soggetti attivi nei confronti delle istituzioni sono il sale della
democrazia. Ancora abbiamo negli occhi le immagini terribili delle decine
di morti della tragedia di Lampedusa di circa due anni fa. E molti
ricorderanno quanto avvenuto ai pescatori di Porto Palo, indagati per aver
imbarcato a bordo clandestini a rischio di annegare, indagati in base a
quelle nuove regole di comportamento per chi avvista le carrette del mare
in un paese all’apparenza civile e democratico come l’Italia. Non è
mancato poi chi ha incriminato per omissione di soccorso quei pescatori
che si sono limitati ad avvertire i mezzi militari della presenza di
imbarcazioni cariche di clandestini. Una legge anche estremamente chiara!
Sarebbe ora che tutti noi occidentali, e in particolar modo mi rivolgo a
quegli scalmanati signori discesi dalle nordiche valli a moralizzare i
costumi della capitale e che oggi in rappresentanza di un pugno di
italiani, pardon di padani, condizionano la politica di un intero governo
e di riflesso di un’intera nazione, diventassimo adulti e la smettessimo
di pensare che un problema come quello dell’immigrazione si possa
risolvere a suon di cannonate, come è stato suggerito da un politico che
non usava metafore. È ora che ci rendessimo conto che se in molti paesi
della terra l’aspettativa media di vita si aggira intorno ai
trent’anni, un ragazzo di vent’anni che ha già vissuto gran parte
della sua vita farà di tutto per inventarsene una nuova da un’altra
parte. Tanto non ha nulla da perdere. Sarebbe morto comunque.
Organizzazioni meritorie di tanto in tanto levano un grido per richiamare
l’attenzione su alcuni aspetti. Tra queste ci sono la Caritas Italiana e
la Fondazione Migrantes che il 27 ottobre scorso hanno presentato in tutta
Italia il XIV Rapporto sull’immigrazione. Il Dossier statistico che
fornisce una serie impressionante di cifre, fotografa il perdurante
squilibrio dei paesi più poveri rispetto ai paesi più sviluppati,
fenomeno questo alla base della pressione migratoria. I 6,3 miliardi di
persone della Terra non hanno tutti la stessa dignità: il 60% della
ricchezza mondiale è detenuto dall’America e dall’Europa, che sono
solo un quarto della popolazione mondiale. Per quanto riguarda il numero
dell’immigrazione in Italia, la cifra è arrivata a toccare quota 2
milioni e 600mila presenze regolari. Una presenza complessiva stimata
aggiungendo alle persone registrate dal Ministero dell’Interno (circa
2,2 milioni), 400mila minori, che aumentano al ritmo di 65mila l’anno.
Nel Rapporto Caritas e Migrantes soffermano la loro attenzione su tre
parole-chiave: programmare, accogliere e integrare. Auspicano quindi che
si prenda al più presto atto che il mito delle frontiere ha già prodotto
tanti effetti negativi e che è tempo di sperimentare politiche innovative
in grado di riuscire a coinvolgere gli immigrati e i loro paesi. Senza
dimenticare, come ha ricordato la Conferenza internazionale del lavoro di
giugno 2004, che gli immigrati pagano costi umani altissimi per il nostro
e il loro benessere. |