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Sommario anno XIII numero 11 - novembre 2004

 COSTUME

La Caritas, l’immigrazione e la Bossi-Fini
(Federico Gentili) - «Passerò il resto della vita da schiavo, a fare massacranti lavori manuali. Sono quella che chiamano una “non-persona”» scriveva Philip Dick in un racconto di trent’anni fa. Non è impresa facile esprimere la propria indignazione nei confronti di una legge così poco giusta e cristiana come la Bossi-Fini (legge 189/2002), proposta ed elaborata da una classe politica che solitamente è invece tanto attenta e solerte nell’ascoltare i giudizi espressi da oltretevere su molte importanti questioni. Non solo nella nostra giovane democrazia, ma nel mondo intero, tira una brutta aria e non è difficile accorgersi che si sta combattendo una decisiva battaglia tra una idea di società e un’altra. Tra un progetto basato sulla rispettosa convivenza di popoli e culture, animali e natura intera, e fondato su quel sentimento di responsabilità che è sempre prima individuale e dopo collettivo. E un altro modello di società che mira, invece, a garantire gli interessi di chi già ha, senza alcuna considerazione per il futuro. Per questo motivo alcune leggi appaiono tessere di uno stesso puzzle, spie di un progetto che non lascia dormire sonni troppo tranquilli. L’idea di fondo che sottende la pessima legge sull’immigrazione è che i migranti siano non già soggetti di diritto e futuri cittadini, ma “lavoratori-ospiti”, merce-lavoro di passaggio, da sfruttare finché si può, e quindi meglio se privata di diritti, in quanto più facilmente ricattabile. In mezzo a questi due diversi modi di disegnare la società del futuro ci sono loro, i “sans-papiers” francesi, i migranti italiani, gli “extracomunitari” di tutti i Paesi comunitari che occupano chiese, organizzano scioperi del lavoro migrante e che, attivando conflitti e rivendicazioni, si comportano come cittadini di fatto, quasi cittadini-modello, se si considera che la partecipazione e il farsi soggetti attivi nei confronti delle istituzioni sono il sale della democrazia. Ancora abbiamo negli occhi le immagini terribili delle decine di morti della tragedia di Lampedusa di circa due anni fa. E molti ricorderanno quanto avvenuto ai pescatori di Porto Palo, indagati per aver imbarcato a bordo clandestini a rischio di annegare, indagati in base a quelle nuove regole di comportamento per chi avvista le carrette del mare in un paese all’apparenza civile e democratico come l’Italia. Non è mancato poi chi ha incriminato per omissione di soccorso quei pescatori che si sono limitati ad avvertire i mezzi militari della presenza di imbarcazioni cariche di clandestini. Una legge anche estremamente chiara! Sarebbe ora che tutti noi occidentali, e in particolar modo mi rivolgo a quegli scalmanati signori discesi dalle nordiche valli a moralizzare i costumi della capitale e che oggi in rappresentanza di un pugno di italiani, pardon di padani, condizionano la politica di un intero governo e di riflesso di un’intera nazione, diventassimo adulti e la smettessimo di pensare che un problema come quello dell’immigrazione si possa risolvere a suon di cannonate, come è stato suggerito da un politico che non usava metafore. È ora che ci rendessimo conto che se in molti paesi della terra l’aspettativa media di vita si aggira intorno ai trent’anni, un ragazzo di vent’anni che ha già vissuto gran parte della sua vita farà di tutto per inventarsene una nuova da un’altra parte. Tanto non ha nulla da perdere. Sarebbe morto comunque. Organizzazioni meritorie di tanto in tanto levano un grido per richiamare l’attenzione su alcuni aspetti. Tra queste ci sono la Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes che il 27 ottobre scorso hanno presentato in tutta Italia il XIV Rapporto sull’immigrazione. Il Dossier statistico che fornisce una serie impressionante di cifre, fotografa il perdurante squilibrio dei paesi più poveri rispetto ai paesi più sviluppati, fenomeno questo alla base della pressione migratoria. I 6,3 miliardi di persone della Terra non hanno tutti la stessa dignità: il 60% della ricchezza mondiale è detenuto dall’America e dall’Europa, che sono solo un quarto della popolazione mondiale. Per quanto riguarda il numero dell’immigrazione in Italia, la cifra è arrivata a toccare quota 2 milioni e 600mila presenze regolari. Una presenza complessiva stimata aggiungendo alle persone registrate dal Ministero dell’Interno (circa 2,2 milioni), 400mila minori, che aumentano al ritmo di 65mila l’anno. Nel Rapporto Caritas e Migrantes soffermano la loro attenzione su tre parole-chiave: programmare, accogliere e integrare. Auspicano quindi che si prenda al più presto atto che il mito delle frontiere ha già prodotto tanti effetti negativi e che è tempo di sperimentare politiche innovative in grado di riuscire a coinvolgere gli immigrati e i loro paesi. Senza dimenticare, come ha ricordato la Conferenza internazionale del lavoro di giugno 2004, che gli immigrati pagano costi umani altissimi per il nostro e il loro benessere.

 COSTUME

Sommario anno XIII numero 11 - novembre 2004