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Sommario anno XIII numero 12 - dicembre 2004

 MUSICA

Variazioni su Jacques Derrida e Ornette Coleman (1 di 2)
(Claudio Comandini) - Partiamo da un inconsueto duetto. Il primo di luglio del 1997 a Parigi durante un concerto di Ornette Coleman (sax alto, tromba e violino) e Joachim Kuhn (pianoforte), da dietro le quinte esce un uomo dai capelli bianchi, che dirigendosi verso microfono e leggìo, mormora in francese e in inglese, contemporaneamente al pubblico e ai performer: “Cosa succede? Cosa succede, Ornette? Cosa succede qui adesso con Ornette Coleman?”. All’urlo della sala risponde il sax del musicista, e l’uomo scompare nel silenzio. L’uomo è il filosofo Jacques Derrida, e queste le parole con cui Coleman si riferisce a lui: “Conoscevo in particolare le sue ricerche sulla decostruzione. Ma non l’avevo invitato per discutere di un argomento preciso, volevo che potesse condividere ciò che desiderava… Per me comunicare attraverso l’arte, la cultura, la tecnologia etc, è un mezzo per rendere la vita più facile alle persone che non hanno accesso a certe cose, per mancanza di soldi o altro. Non ho mai pensato in termini di classe, semmai di ‘territori’, e questa nuova comunicazione lega tutti questi territori, al di là delle comunicazioni a cui siamo abituati”. E così Derrida su Coleman: “Conoscevo l’importanza del suo lavoro, un po’ del suo percorso… Per certi versi noi non abbiamo niente in comune, apparteniamo a due spazi culturali differenti. Ciò nonostante io credo alla verità di una certa necessità di questo incontro… (e lui) ha sentito che quello che facevo rappresentava una certa marginalità, rottura, che noi avevamo delle cose da condividere… Ho preparato dunque un testo, difficile da comporre: era necessario che mi rivolgessi a lui, che non capisce il francese, e quello che avrebbe contato per lui, era il mio ‘tono’, e lui avrebbe risposto a questo tono. Mi ha quindi guidato l’indirizzarmi simultaneamente a lui e al pubblico, su un certo tono, su un certo ritmo, che gli avrebbe permesso sia di rispondermi, sia di suonare contemporaneamente a me... Oltre ai segni di tono, di ritmo, al fatto che ci fossero più voci, molti elementi premusicali, volevo abbordare, annodare a modo mio un certo numero di temi da analizzare: l’improvvisazione, temi politici, come il suo rapporto con il mercato…” Coleman, afroamericano del Texas, nato a Forth Worth nel 1930, è il musicista che più ha espresso l’esigenza di oltrepassare le convenzioni sia del sistema tonale occidentale che dell’industria culturale, praticando una musica basata sull’improvvisazione pura ed elaborando anche il concetto di “armolodia”, basato sull’equivalenza di ritmo, armonia e melodia, con l’indipendenza di ciascuna voce e l’estensione del ruolo di solista a tutti gli esecutori. Un ascolto indicativo è sicuramente Free Jazz (1961), che utilizza come copertina il dipinto White Light (1954) di Jackson Pollock, e cattura un’irripetibile improvvisazione per doppio quartetto (Ornette Coleman, Don Cherry, Scott Lafaro, Bill Higgins + Eric Dolphy, Freddy Hubbart, Charlie Haden, Ed Blackwell). E almeno una volta sentire Lonely Woman (su The Shape of Jazz to Come, 1959): gli “unisoni armonici” di sax e tromba, con il primo (un Conn di plastica) che si muove come per lamenti e la seconda (una tromba tascabile pakistana) in leggero ritardo, i ceselli contrabbassistici che aprono e chiudono il pezzo, le sottigliezze ritmiche delle pelli e dei piatti, e farsi rapire dall’errante traccia del suo tema.
Derrida, ebreo francese nato nel 1930 ad El Biar in Algeria, è il filosofo che ha formulato il concetto della decostruzione: una strategia di destabilizzazione delle strutture teoriche basate sulle false opposizioni (spirito - materia, universale - particolare), una pratica di sabotaggio dei rapporti gerarchici di dominio messi in gioco nei processi di legittimazione e di istituzionalizzazione. La decostruzione esamina una idea, un’istituzione o un valore, introducendo un terzo termine estraneo e mettendo in luce l’assenza di una verità originaria ed il ruolo creativo espresso dalla filosofia. Nel suo pensiero, come nota Silvano Petrosino, l’apertura costante al possibile si accompagna al rifiuto di ogni compimento ultimo. Ora, il giovane Derrida desiderava diventare giocatore di pallone professionista: questa caratteristica, insieme a quella di aver pubblicato libri (ma il filosofo parlerebbe di testi), potrebbe avvicinarlo in qualche modo al popolare Baggio: ma sia la loro opera che i contesti che determinano sembrerebbero diversi, e non soltanto per “intonazione”. E non a caso, la cosiddetta “società della comunicazione”, che impone fenomeni rigorosamente dettati da esigenze di mercato come quelli di un personaggio pubblico che fa un libro, o un disco, che sostanzialmente riduce l’ “informazione” a spot pubblicitario portando all’istupidimento delle stesse capacità percettive e intellettive, è da Deridda e Coleman messa in discussione nei suoi stessi assunti, con la proposta di pratiche radicalmente diverse. 
Coleman quando afferma che “ogni nota va bene con qualsiasi altra” non proclama l’arbitrio e l’incompetenza, ma propone una nuova comunicazione, dove le strutture musicali tradizionali si dissolvono a favore dell’esperienza di un ascolto “totale”. È indicativo il suo primo approccio alla musica a quattordici anni, quando legge la notazione inglese (che parte da A=LA) applicandovi i valori della scala naturale (DO maggiore) ed eseguendola su un sassofono alto (intonato in MI b): coerentemente con la trasposizione, un DO su questo strumento suona come un LA, e quindi, pur sbagliando, il risultato ottenuto era corretto. Analizzando la questione, il musicista arriverà a concludere: “tutte le cose che sono state disegnate con una logica stringente hanno una sola contraddizione: non c’è un solo modo di farle.”
Le note del suo primo disco Something Else!!!! (1958) approfondiscono: “Penso che un giorno la musica sarà molto più libera. Allora, lo schema armonico di un brano sarà dimenticato e il brano stesso sarà il proprio schema, e non saremo costretti a forme convenzionali.” Uno strumentista e compositore come Charles Mingus osserva: “è come una disorganizzazione organizzata, o come suonare male suonando nel modo giusto…” Invece l’approccio istintivo ostentato con la tromba e il violino avranno modo di indignare un Miles Davis, che pur considerandolo inizialmente “matto” dimostrerà poi interesse per la sua musica e le sue idee. Intanto, nel 1966 Denardo Coleman ha dieci anni, e inizia ufficialmente a suonare con il padre Ornette; successivamente, dischi come Science Fiction (1971) e In All Languages (1987) portano Coleman verso contaminazioni etniche ed elettriche, mentre in Skies of America (1972), per orchestra sinfonica, la frammentazione dei linguaggi è condotta ad una sintesi che mantiene la diversità dei suoi singoli momenti. La composizione si muove con largo uso delle quinte e delle ottave parallele, proibite dall’armonia classica, e si sviluppa prevalentemente su sonorità acute che suggeriscono l’idea di un mondo visto dall’alto, cercando dichiaratamente di “descrivere qualcosa che non avesse confini”.

 MUSICA

Sommario anno XIII numero 12 - dicembre 2004