Il passaparola del
lettore
(Federico Gentili) - Il passaparola del lettore è un atto
sospeso, un tamtam che si consuma in assenza di forza gravitazionale, a
metà strada tra il confidenziale e il comunitario, tra un consiglio
sussurrato, adagiato con l’apparente noncuranza del bookcrossing, e una
solenne dichiarazione d’appartenenza. Un atto spontaneo che in pochi
secondi regala una strana intimità a persone che si conoscono appena. Una
specie di scambio tra soci dello stesso club. Il buon consiglio di un
amico oltrepassa le recensioni, a volte vuote e narcisistiche, che
distribuiscono quella visibilità, tanto inseguita dagli uffici stampa
delle case editrici. Il buon consiglio spazza via con un sol colpo il
feticcio della fascetta sul libro, viatico del lettore indeciso,
attestante la vittoria di prestigiosi premi e il raggiungimento di
formidabili tirature. Anni fa qualcuno inventò uno slogan per invitare le
persone alla lettura: “Se apri un libro, il libro aprirà te”. Tommaso d’Aquino
si guardava bene dall’uomo di un solo libro. In effetti è poco ospitale
una casa senza libri, ci si sente spaesati. Dal momento che anche a me
capita spesso di suggerire o ricevere titoli di qualche interesse, non mi
farò sfuggire questa occasione per consigliarvi un paio di libri che ho
acquistato dietro la premurosa segnalazione di altrettanti amici. Il
primo testo, La crisi dell’antifascismo (Einaudi, 7 euro), è scritto da
Sergio Luzzatto, docente di Storia moderna a Torino e nipote di uno di
quei dodici professori universitari (su ca. 1200!) che, non prestando
giuramento al fascismo, furono costretti ad abbandonare l’insegnamento.
L’antifascismo è divenuto davvero così inutile, come molti intellettuali
in Italia vogliono far credere? L’autore ripercorre gli ultimi sessant’anni
di storia italiana, rivolgendosi alle nuove generazioni, affinchè sappiano
distinguere fatti e comportamenti. Perchè «non c’è disegno del futuro che
non prenda forma sulle tracce di un passato, secondo quanto si decida di
conservare oppure di cancellare» (p.10). Un volumetto che dovrebbe essere
imparato a memoria da tutti quei giornalisti, cosiddetti “terzisti”, che
stanno cercando di riscrivere la storia del nostro Paese, sull’asse
dell’equidistanza tra fascismo e antifascismo, tra fascismo e Resistenza.
«Presto o tardi, dopo essere costati all’umanità un prezzo più o meno
salato, i Bonaparte e i Mussolini passano, travolti dalle rovine dei mondi
che hanno dapprima costruito e poi distrutto; mentre i Fouché e i
Malaparte restano, per quanto feriti o screditati, galleggiando
sull’oceano delle storie». In un modo o nell’altro, anche Berlusconi
passerà, mentre «la maschera strapaesana di Ferrara continuerà a muoversi
sulla nostra scena pubblica secondo le regole arcitaliane della commedia
dell’arte» (p.80). Perdersi a Roma (Edizioni Interculturali, 12 euro) è un
collage di racconti, memorie e interviste, attraverso le quali l’autore,
Roberto Carvelli, fa parlare alcune delle voci più significative della
capitale. Molto più di una guida e molto più di uno stradario ricco di
curiosità e aneddoti, il volumetto si rivolge al lettore-turista che non
limita il suo raggio d’interesse a quanto prescrittogli da un baedeker. Il
punto di vista di Carvelli ricorda molto da vicino quello del Pasolini di
Storie della città di Dio (Einaudi, 1995), in cui si leggeva che «per lo
straniero e il visitatore Roma è la città contenuta entro le vecchie mura
rinascimentali: il resto è vaga e anonima periferia, che non vale la pena
di vedere. [...] La Roma ignota al turista, ignorata dal benpensante,
inesistente sulle piante, è una città immensa». Roberto Carvelli invita a
perdersi nella città per riscoprirne il senso, a diventare nomadi d’élite
e vagabondi, a mettere in atto strategie di perlustrazione rallentata del
territorio, non necessariamente regolata dai ritmi del sistema produttivo
o consumistico. |