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Sommario anno XIV numero 1 - gennaio 2005

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Il treppiedi e il Capodanno. Un’analisi filosofica
(Claudio Comandini) - A Roma, piazza Navona, nel pomeriggio del 31 dicembre, quindi in pieno clima dei festeggiamenti di Capodanno, Berlusconi viene colpito da un “treppiedi” per apparecchi fotografici mentre è circondato dalla sua scorta e si accinge ad uno dei suoi proverbiali bagni di folla. La notizia non ha potuto non scatenare una serie di reazioni molto differenziate fra loro, dallo “sdegno” istituzionalmente obbligato (a volte anche ridicolo nei toni, come nel paventare il “colpo di stato”) all’ironia ridanciana che su internet o in via sms ha dato numerosi esempi (sinceramente divertenti, con poesie ed inni di stampo “risorgimentalista” e proposte di raccolte di fondi per riparare il treppiedi).
Ora, al di là sia delle strumentalizzazioni che della satira, inevitabili in fatti di questo tipo, occorre sottolineare come il gesto dell’incensurato Roberto Dal Bosco (28 anni, muratore, di Marmirolo, Mantova, dopo la vacanza a Roma, il Capodanno a Regina Coeli e l’interrogatorio del Gip è tornato a casa) sfugga a ogni previsione e controllo ed anche ad ogni ipotesi “terroristica”, e sia scaturito da una semplice occasione, suscitato dalla visione di un personaggio pubblico dichiaratamente “odiato”: odio che Berlusconi può aver attirato in diverse maniere, per l’innegabile sovresposizione di cui gode. È il dolore di un tifoso del Milan perché lui non è più Presidente? Oppure trattasi semplicemente di un telespettatore infuriato per qualche programma non troppo riuscito? Gli dà fastidio quando gli illeciti penali non vengono adeguatamente perseguiti e puniti? Si tratta di una persona che ha qualcosa a cui ridire dei risultati del “buon governo”? Conosce pensionati in difficoltà e soffre per loro? Non gli piace la nuova finanziaria? È un matto? È un invidioso? Aveva bevuto?
Dove politici e giornalisti sembrano perlopiù scampare ai loro doveri, non riuscendo a leggere nell’accaduto se non il prologo ad una susseguiosa serie di ordinarie condanne e auguri, questo evento si rivela a ben vedere come incredibilmente puntuale rispetto alla scadenza festiva: già nel capodanno babilonese, l’akitu, si mettevano in discussione le autorità e gli ordinamenti, proprio per il “rinnovamento” messo in gioco dalla festa del nuovo anno: e già Ernesto De Martino (su Furore, simbolo, valore, 1962) segnalava come fenomeni come atti vandalici giovanili (il suo esempio era il Capodanno di Stoccolma) esprimevano in fondo questa “esigenza” di distruggere il passato per aprire adeguatamente un nuovo corso. Ora, per contestualizzare nell’attualità tale dinamica, arcaica ma profondamente radicata nella psicologia collettiva, sembra proprio che questo evento, così semplice ma così dirompente, venga ad infrangere definitivamente l’immagine pubblica di un Berlusconi potentissimo quanto simpatico e in fondo “umano”, e sia inoltre rivelativo di un disagio sociale vastissimo e radicato, che sicuramente trova nelle scelte politiche e economiche del premier se non una ragione, un facile bersaglio. Ed è per questo che, mettendo fra parentesi le dichiarazioni ufficiali e le ipotesi legali, il gesto va compreso e interpretato politicamente. Perché il treppiedi che ha preso fra capo e collo il berlusca, provocandogli un ematoma retroauricolare, rappresenta l’espressione tangibile di un diffuso senso di impotenza e il suo obiettivo sono una serie di questioni che non possono più venire sottovalutate: difficoltà su diritti come casa e lavoro fuori da ogni controllo (la riforma sul lavoro chiude le opportunità e frammenta pratiche e percorsi, il mercato immobiliare sembra fatto su misura dello stipendio di un parlamentare), dimezzamento del valore del denaro e aumento del costo della vita (le cose costano il doppio e il soldi valgono la metà, quindi siamo ricchi poco più di un quarto rispetto a prima), squalifica e delegittimazione di ogni ambito informativo, culturale, artistico e di ricerca (in giro non soltanto prevalgono idiozie, ma sono anche troppe), ristrutturazione istituzionale ampia quanto incerta (cambiamenti fatti con colpi d’accetta, su misura della finanza internazionale), smarrimento sociale e relazionale (perdita dei rapporti sul lavoro e nei contesti cittadini, chiusura consumistica individuale, sorveglianza totale).
Di certo, a portare a questa situazione hanno contribuito anche “rivoluzioni inculturali” come quelle annunciate dalle minacciose, minimali e criptiche “tre i” (inglese, internet e impresa), in base alle quali berluskaiser affermava di voleva forgiare il suo popolo di “telespettatori-dipendenti-elettori-consumatori”: chi non se ne accorse allora, prego se ne accorga adesso, e rifletta: nel migliore dei casi, per mettere a posto tutto il dissesto, ci vorranno vent’anni, se cominciamo adesso. Ci rassicura comunque il Berlusconi incerottato, che dice: “Va tutto bene, tutto bene”.

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Sommario anno XIV numero 1 - gennaio 2005