Il treppiedi e il
Capodanno. Un’analisi filosofica
(Claudio Comandini) - A Roma, piazza Navona, nel pomeriggio
del 31 dicembre, quindi in pieno clima dei festeggiamenti di Capodanno, Berlusconi viene colpito da un “treppiedi” per apparecchi fotografici
mentre è circondato dalla sua scorta e si accinge ad uno dei suoi
proverbiali bagni di folla. La notizia non ha potuto non scatenare una
serie di reazioni molto differenziate fra loro, dallo “sdegno”
istituzionalmente obbligato (a volte anche ridicolo nei toni, come nel
paventare il “colpo di stato”) all’ironia ridanciana che su internet o in
via sms ha dato numerosi esempi (sinceramente divertenti, con poesie ed
inni di stampo “risorgimentalista” e proposte di raccolte di fondi per
riparare il treppiedi).
Ora, al di là sia delle strumentalizzazioni che della satira, inevitabili
in fatti di questo tipo, occorre sottolineare come il gesto
dell’incensurato Roberto Dal Bosco (28 anni, muratore, di Marmirolo,
Mantova, dopo la vacanza a Roma, il Capodanno a Regina Coeli e
l’interrogatorio del Gip è tornato a casa) sfugga a ogni previsione e
controllo ed anche ad ogni ipotesi “terroristica”, e sia scaturito da una
semplice occasione, suscitato dalla visione di un personaggio pubblico
dichiaratamente “odiato”: odio che Berlusconi può aver attirato in diverse
maniere, per l’innegabile sovresposizione di cui gode. È il dolore di un
tifoso del Milan perché lui non è più Presidente? Oppure trattasi
semplicemente di un telespettatore infuriato per qualche programma non
troppo riuscito? Gli dà fastidio quando gli illeciti penali non vengono
adeguatamente perseguiti e puniti? Si tratta di una persona che ha
qualcosa a cui ridire dei risultati del “buon governo”? Conosce pensionati
in difficoltà e soffre per loro? Non gli piace la nuova finanziaria? È un
matto? È un invidioso? Aveva bevuto?
Dove politici e giornalisti sembrano perlopiù scampare ai loro doveri, non
riuscendo a leggere nell’accaduto se non il prologo ad una susseguiosa
serie di ordinarie condanne e auguri, questo evento si rivela a ben vedere
come incredibilmente puntuale rispetto alla scadenza festiva: già nel
capodanno babilonese, l’akitu, si mettevano in discussione le autorità e
gli ordinamenti, proprio per il “rinnovamento” messo in gioco dalla festa
del nuovo anno: e già Ernesto De Martino (su Furore, simbolo, valore,
1962) segnalava come fenomeni come atti vandalici giovanili (il suo
esempio era il Capodanno di Stoccolma) esprimevano in fondo questa
“esigenza” di distruggere il passato per aprire adeguatamente un nuovo
corso. Ora, per contestualizzare nell’attualità tale dinamica, arcaica ma
profondamente radicata nella psicologia collettiva, sembra proprio che
questo evento, così semplice ma così dirompente, venga ad infrangere
definitivamente l’immagine pubblica di un Berlusconi potentissimo quanto
simpatico e in fondo “umano”, e sia inoltre rivelativo di un disagio
sociale vastissimo e radicato, che sicuramente trova nelle scelte
politiche e economiche del premier se non una ragione, un facile
bersaglio. Ed è per questo che, mettendo fra parentesi le dichiarazioni
ufficiali e le ipotesi legali, il gesto va compreso e interpretato
politicamente. Perché il treppiedi che ha preso fra capo e collo il berlusca, provocandogli un ematoma
retroauricolare, rappresenta
l’espressione tangibile di un diffuso senso di impotenza e il suo
obiettivo sono una serie di questioni che non possono più venire
sottovalutate: difficoltà su diritti come casa e lavoro fuori da ogni
controllo (la riforma sul lavoro chiude le opportunità e frammenta
pratiche e percorsi, il mercato immobiliare sembra fatto su misura dello
stipendio di un parlamentare), dimezzamento del valore del denaro e
aumento del costo della vita (le cose costano il doppio e il soldi valgono
la metà, quindi siamo ricchi poco più di un quarto rispetto a prima),
squalifica e delegittimazione di ogni ambito informativo, culturale,
artistico e di ricerca (in giro non soltanto prevalgono idiozie, ma sono
anche troppe), ristrutturazione istituzionale ampia quanto incerta
(cambiamenti fatti con colpi d’accetta, su misura della finanza
internazionale), smarrimento sociale e relazionale (perdita dei rapporti
sul lavoro e nei contesti cittadini, chiusura consumistica individuale,
sorveglianza totale).
Di certo, a portare a questa situazione hanno contribuito anche
“rivoluzioni inculturali” come quelle annunciate dalle minacciose,
minimali e criptiche “tre i” (inglese, internet e impresa), in base alle
quali berluskaiser affermava di voleva forgiare il suo popolo di “telespettatori-dipendenti-elettori-consumatori”:
chi non se ne accorse allora, prego se ne accorga adesso, e rifletta: nel
migliore dei casi, per mettere a posto tutto il dissesto, ci vorranno
vent’anni, se cominciamo adesso. Ci rassicura comunque il Berlusconi
incerottato, che dice: “Va tutto bene, tutto bene”. |