Tv di
svago o Tv spazzatura?
(Mariacristina Faraglia) - La televisione italiana pullula
di programmi spazzatura: da fiction demenziali, a real tv, a
programmi strappalacrime. Eppure, benché sia un dato di fatto, tale
affermazione genera tra gli spettatori risentimento verso le critiche
severe degli intellettuali. E, a difesa della propria libertà di scelta,
il pubblico televisivo oppone un altro incontestabile dato di fatto: la
maggioranza dei lavoratori italiani esce di casa al mattino presto e, dopo
la fatica quotidiana nella lotta contro il traffico, giunge ad occupare la
propria sedia in ufficio, per liberarla verso sera e conquistare stanca
morta quella di casa. La televisione accompagna le ultime ore della
giornata, o comunque quelle di relax, quando in famiglia si cerca di
consumare un pasto in tranquillità e riposo. Non fatecene una colpa,
dicono allora molti spettatori, se al film impegnato, per altro raro in
tv, preferiamo la fiction di Rai Uno Un medico in famiglia o
la prima serata di Maria De Filippi. A questo punto il vero intellettuale,
che si interroga umilmente per comprendere i fenomeni della nostra
società, incade in qualche lecito dubbio. È giusto biasimare chi nella
televisione cerca solo svago e non cultura? O si dovrebbe invece diventare
più malleabili, meno polemici, e magari sorridere di fronte alle scelte
non condivise dei telespettatori? La conclusione sembra seducente e
potrebbe davvero ingannare. Uso il termine ingannare, e con esso rivelo
il vero scopo di questo articolo. Sono d’accordo col fatto che
l’atteggiamento di critica severa del mondo culturale verso il pubblico
medio (che guida la direzione del mercato televisivo) sia eccessivo, e che
sia lecito cercare nella tv solo un po’ di distrazione. Ma bisogna
distinguere. Voglio dire che esiste una netta differenza tra tv di svago e
tv spazzatura. Osserviamo il fenomeno televisivo del Medico in famiglia.
La fiction, giunta alla quarta edizione, nonostante la perdita di
numerosi attori, non solo non ha perso spettatori, ma ne ha acquisiti di
nuovi. Non appassiona solo adolescenti, ma intere famiglie che sorridono
divertite e si commuovono di fronte alle avventure casalinghe della
famiglia Martini. Che cosa ama il pubblico di questa riuscita serie
televisiva? È ovvio che ne apprezza la semplicità, la possibilità di
riconoscersi in un mondo un po’ idilliaco, ma molto vicino alla sua realtà
quotidiana. Amore, amicizia, solitudine, rimpianto, solidarietà e
competizione. Tutte le emozioni che caratterizzano la vita della gente
sono presenti nel piccolo schermo in una sola puntata. E non c’è nulla di
criptico, da leggere dietro le righe, da spogliare della sua veste
simbolica. Ma è proprio questo aspetto dell’evidenza, punto forte della
fiction, a costituire dal punto di vista di una persona, diciamo così,
“culturalmente più esigente”, motivo di critica. Le vicende di casa
Martini appaiono banali, scontate, e, paradossalmente, false. Qual è
infatti una delle principali distinzioni tra un film d’autore e un
qualsiasi film per la televisione? (Mi riferisco agli aspetti formali e
non ai contenuti) È proprio la possibilità per lo spettatore di decifrare
un codice espressivo che appare, nella sua maggiore complessità di
immagini evocative e simboliche, stimolante della facoltà immaginativa. Un
approccio che scandaglia profondamente le emozioni e gli aspetti della
vita. È innegabile che tutto ciò non può essere presente nelle vicende di
casa Martini. Bisogna però ammettere un punto fondamentale: una fiction
come Un medico in famiglia offre, pur nei suoi moduli diretti e
banali di comunicazione, dei valori basilari: l’importanza della famiglia,
l’amore, il rispetto, l’altruismo. Pertanto definirei la fiction un
programma di intrattenimento, ma non un programma spazzatura, termine che
invece si adatta certamente al famoso Uomini e donne di Maria de
Filippi e a quanti altri programmi dello stesso genere. In questo caso,
infatti, non si tratta più di divulgare valori in forme scontate e un po’
idilliache. Qui si tratta di demistificare, di ingannare, di restituire ad
un pubblico non molto critico un’immagine falsa e demenziale della realtà.
Il programma mostra personaggi (si tratta infatti di personaggi costruiti
e non persone reali) che giudicano il mondo circostante in base a
parametri superficiali, dove ciò che conta è innanzitutto l’aspetto
esteriore e il denaro. Uomini e donne messi in ridicolo, che perdono
rispettivamente femminilità e virilità tra frasi insulse, civetterie e
situazioni da copione. Il dramma è che uno spettatore con scarsa capacità
critica, (mi riferisco per lo più agli adolescenti) è portato a credere
che quella sia l’immagine corretta della realtà. Non bisogna dimenticare
che la televisione conserva un forte potere demagogico, per il solo fatto
che chi ci guarda da dentro quella scatola è considerato un privilegiato.
E allora non è difficile credere che l’attenzione al look debba essere
l’occupazione principale delle nostre giornate, che le donne da imitare
siano quelle belle e che la sensualità sia l’unica arma di conquista del
mondo. Sia chiaro che ciò che critico non sono gli argomenti trattati, ma
la tendenza a coglierne gli aspetti più bassi. La moda diviene, a livello
sociale, fondamento dell’identità e della relazione con l’altro e, a
livello professionale, competizione basata su insulti e denigrazioni
dell’avversario. L’amore è una farsa fra due sconosciuti che recitano agli
innamorati sedotti o ai Don Giovanni del ventunesimo secolo. La
trasmissione si costruisce sul nulla. Ore a dibattere di questioni
insulse, per di più con l’inciviltà di un’atmosfera caotica in cui ognuno
offende l’altro. Contenuti volgari (e non mi riferisco all’accezione
sessuale del termine), toni di voce da mercato. C’è chi ha definito
Uomini e Donne un programma innovatore per la funzione partecipativa
conferita al pubblico. Ma se il pubblico deve essere un tale esempio di
incapacità comunicativa, se non sa dibattere in modo civile, confondendo
lo scambio di idee con la sopraffazione verbale e l’offesa, è meglio che
taccia.
È chiaro che questi moduli aggressivi di comunicazione non hanno che il
fine di sedurre lo spettatore e portarlo l’indomani a sintonizzarsi sullo
stesso canale. Allora è tutto un gioco, di cui non preoccuparsi? Direi di
no, perché la televisione crea miti subdoli, spesso attraverso la semplice
affezione a personaggi che ogni giorno possiamo ritrovare nel mezzo di
comunicazione più diffuso, che sta a noi trasformare in strumento positivo
o negativo di informazione e formazione dell’individuo. |