Preti scomodi (3)
(Federico Gentili) - Nell’Italia del dopoguerra tra le
conseguenze dell’esodo dalle campagne ci fu il declino dell’influenza
della Chiesa. Il crollo delle vocazioni sacerdotali aveva reso il clero
diocesano sempre più vecchio e incapace di capire i mutamenti che
attraversavano la società di quei tempi. I valori piccolo-borghesi
dell’Italia del miracolo economico venivano presi di mira dall’onda della
contestazione che metteva sotto accusa anche le due ortodossie, cattolica
e comunista, dominanti in Italia. Il fermento prodotto nella Chiesa dal
pontificato di Giovanni XXIII si incontrò con la necessità di una maggiore
giustizia sociale e con un ripensamento del ruolo dell’intellettuale e
della cosiddetta cultura di classe. Lontanissimi erano percepiti infatti
gli insegnamenti di una scuola ancora di stampo deamicisiano paludata e
completamente estranea alle reali esigenze del mondo contadino e popolare.
Fu in questo clima che nel 1967 don Lorenzo Milani (1923-1967), prete
cattolico del dissenso, diede alle stampe un libro straordinario che in
poco tempo divenne popolarissimo anche tra gli studenti del movimento.
“Lettera a una professoressa” non è soltanto la radicale messa sotto
accusa della tradizionale cultura scolastica, ma soprattutto un testo in
cui gli stessi allievi di una scuola, quella di Barbiana di Vicchio nel
Mugello, sperduto borgo rurale dove don Milani era stato esiliato dalle
superiori gerarchie, documentavano le storture del sistema educativo nella
moderna Italia e denunciavano il classismo della scuola, pensata per
soddisfare solo i bisogni dei ceti più agiati. A Barbiana figli di pastori
e di boscaioli impararono a leggere e a osservare criticamente le vicende
del mondo e le ingiustizie sociali. I testi principali, oltre ai vangeli,
erano i dialoghi socratici e Gandhi, e il motto programmatico, in antitesi
al “Me ne frego” fascista, era “I care” (M’importa), riesumato
recentemente per un congresso di partito. Don Milani morì prestissimo di
leucemia. Poco prima di andarsene fece però in tempo a ricevere una
denuncia e un processo per essersi apertamente schierato nel 1965 contro
la guerra a favore dell’obiezione di coscienza, in polemica con un ordine
del giorno dei cappellani militari. I suoi ultimi scritti vennero
pubblicati con un bel titolo, “L’obbedienza non è più una virtù”. |