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Sommario anno XIV numero 1 - gennaio 2005

 SCIENZA E CULTURA

Bruno de Finetti: così è, se vi pare - 6
“.....ma davvero esiste la probabilità? e cosa mai sarebbe? Io risponderei di no, che non esiste.”
(di Luca Nicotra)
Quale matematica?
Bruno de Finetti era un grande ammiratore di Luigi Pirandello. Nel 1937, sulla rivista “Quadrivio”,  e successivamente anche sul giornale di Trento “Il Brennero”, pubblicò un articolo intitolato Luigi Pirandello maestro di logica. Inoltre, di chiara ispirazione ai pirandelliani Sei personaggi in cerca d’autore è il suo articolo Tre personaggi della Matematica: i numeri e, i,
p, apparso su “Le Scienze” trad. italiana di Scientific American” n°39 , nov. 1971. La risposta che diede a chi gli chiedeva conferma di tali origini del titolo del suo articolo rivela, in maniera molto elegante e sottilmente polemica, la critica ch’egli oppose durante tutta la vita, con irriducibile passione, alla “contraffazione involontariamente umoristica, scostante, repellente” della matematica negli ambienti scolastici e nella società: “E certamente - ammisi - c’è una reminiscenza della magia pirandelliana di evocare i suoi personaggi, essenziali, veri, reali, ma troppo veri per non essere considerati da spettatori grossolani come fantocci, simboli, fantasmi. Ed è forse per lo stesso motivo che molti non comprendono e non apprezzano la matematica , e che molti non riescono a farla comprendere e farla apprezzare. Forse non per inettitudine o cattiva volontà, ma per la preoccupazione di farla apparire come una cosa più che seria, seriosa, arcigna, superba (il che non è un gradino più alto della serietà, ma la sua contraffazione involontariamente umoristica, scostante, repellente)”1.
Bruno de Finetti pur essendo fortemente innovativo, spesso ben oltre la comune capacità di accettazione dell’innovazione, era piuttosto scettico nei riguardi di certe “mode” scientifiche, retaggio dell’ondata di formalismo dei primi anni del secolo XX. Non è che volesse ignorare l’importanza di quella scuola di pensiero; il fatto è che in lui si fondevano, in maniera equilibrata, sane antiche concezioni della matematica (Archimede, Galileo) con i potenti e fertili metodi della matematica moderna e, dovremmo dire, addirittura post-moderna da lui stesso caldeggiati, limitatamente però ad alcuni punti di vista. Era decisamente contro la matematica pura, intesa come regno dell’astratto, avulso da qualunque riferimento alla realtà: “...le esemplificazioni pratiche più semplici (ridotte magari a cenni) devono precedere ogni teorizzazione per creare anzitutto una motivazione, atta a predisporre all’accettazione di astrazioni che appaiono giustificate, ed evitare così la reazione di rigetto che la via opposta (dall’astratto al concreto, n. dell’A.) spesso produce.”2 Il suo era un punto di vista tipicamente archimedeo3, caratterizzato da una sempre invocata “interdisciplinarietà” di cui esaltava la natura “spuria”, in aperta polemica con il “purismo” sventolato dai matematici puri come emblema di una pretesa quanto artificiosa nobiltà di pensiero. Soltanto con il riferimento incrociato a concetti e risultati di altre discipline, tipico dell’interdisciplinarietà o del “fusionismo”, si può pensare in maniera veramente creativa e costruttiva. “Nel senso più specifico, in cui fu introdotto da Felix Klein, il fusionismo consiste nella fusione di geometria da una parte e di aritmetica, analisi ecc, dall’altra; più in generale, si tratta di fondere in modo unitario tutto ciò che si studia (anche interdisciplinarmente, tra matematica e altre scienze...)” (cfr. nota 1). Ancora a proposito del fusionismo, assai poco applicato nelle scuole superiori e invece generalmente utilizzato in quelle elementari, così si esprimeva: “Nelle scuole elementari e nella scuola media c’è fortunatamente una tendenza meno ottusa, intesa a rendere spontaneo l’uso appropriato di tutti gli strumenti conosciuti per esaminare qualunque tipo di questioni...”. E ancora: “Per chiarirsi le idee su un problema qualunque, occorrerebbe cercar di vedere quante più interpretazioni alternative di problemi in altri campi rientrino nel medesimo schema.” (cfr. nota 1).
La concezione della matematica in de Finetti era quella di tutti i grandi matematici del passato: non fine a se stessa, bensì finalizzata all’interpretazione e alla comprensione dei fenomeni naturali, allargando questi anche alla sfera dell’attività mentale dell’uomo. In tale ottica egli ribalta la posizione dei “puristi” del pensiero matematico, ricollocando in primo piano il momento creativo della scoperta matematica, che è caratterizzato dall’intuizione e dall’attività del sub-conscio, e ponendo in secondo piano la formalizzazione, come utile strumento di sistemazione e contemplazione dell’opera matematica già compiuta4: “La formalizzazione è indubbiamente di grande e spesso indispensabile ausilio per un’opera di ricostruzione, panoramica ma anche e soprattutto critica... È naturale che chi ne ha fatto uso traendone tanti frutti la apprezzi... Si tratta però di deformazione professionale e di sopravvalutazione se pretende che la prospettiva di chi ammira l’opera compiuta e se ne serve debba essere la stessa dell’artigiano che l’ha costruita e di coloro che vorranno e dovranno curarne la manutenzione o il completamento. Per l’insegnamento occorre tener ben presente che la prospettiva dei destinatari è quella di potenziali consumatori di matematica, che dovremmo persuadere della possibilità e convenienza di farne uso nei loro problemi quotidiani anziché ignorarla e ragionare coi piedi.”5
In tale visione del pensiero matematico, analogo ribaltamento spetta al “dimostrare” e al “congetturare”:
“...rivalutare gli aspetti più attivi, più creativi (ma anche, e proprio per ciò, più avventurosi, fantasiosi, soggettivi) del nostro modo di pensare. Il rigido e impeccabile ragionamento deduttivo non può condurre a nessuna conclusione nuova, cioè non già implicitamente contenuta nelle premesse.” E poi ancora: “E in genere, infatti, il processo è opposto: si parte da delle congetture, ossia da affermazioni che a qualcuno (o a molti) sembra debbano risultare vere come conseguenza delle premesse accettate. Purtroppo, un falso pudore vieta di menzionare la parte del processo della scoperta che si svolge più o meno nella sfera dell’inconscio, o del subconscio, per esibire soltanto la dimostrazione fossilizzata nella sua forma scheletrica di logica freddamente deduttiva e formalistica.” (cfr. nota 1). Al congetturare, che è dunque il vero momento creativo del matematico, si ricollega la probabilità, che, mai come in tal caso, non può essere che soggettiva! Il matematico intuisce una verità, di cui “poi” cerca con la dimostrazione e il formalismo matematico una conferma, in maniera da trasformare il suo punto di vista inizialmente soggettivo in oggettivo, nel senso di renderlo coerente con le premesse, in modo che quella “sua verità” possa diventare la “verità di tutti”.
Chi ha della matematica appresa nei banchi di scuola un pessimo ricordo, troverà sollievo, forse, apprendendo che cosa de Finetti (e con lui, in genere, i matematici) pensava del più inviso dei mali della matematica: il rigore. “Il rigore è indubbiamente necessario, ma la mania del rigore è spesso controproducente. Una dimostrazione ineccepibilmente logica, valida sotto condizioni estremamente generali, è in genere complicata e priva di prospettiva, nascondendo il concetto intuitivo essenziale nella foresta di minuzie occorrenti solo per includere o casi marginali o estensioni smisurate.” (cfr. nota 1).
La didattica.
L’impegno di Bruno de Finetti nella didattica fu notevole. Fu il più coraggioso e autorevole delatore delle inadeguatezze dei metodi e contenuti dell’insegnamento scolastico della matematica. Le sue denunce contro la situazione di tale insegnamento nel nostro Paese, peraltro non sterili e fini a se stesse, ma sempre supportate da rimedi esposti in sue proposte chiare e concrete6, furono veramente numerose, incisive e incalzanti. Fra queste, certamente la più eclatante, sia per le conseguenze positive che ebbe sia per la forma volutamente acerba e provocatoria, quasi scandalistica, ma anche esilarante, fu quella vera e propria crociata che nel 1965 de Finetti condusse in prima persona, attraverso la stampa, contro il pluridecennale perpetuarsi di un uso discutibile ed esasperato di un metodo di soluzione dei problemi di matematica nei licei scientifici, noto come “metodo di Tartinville”:
“...la prova scritta di matematica per il Liceo scientifico costituisce un caso a sé sotto due punti di vista: primo, perché si tratta di un esempio insuperabilmente patologico di aberrazione intesa a favorire l’incretinimento sistematico e totale dei giovani; ...Da tempo immemorabile (almeno da decenni) avviene precisamente che questa famigerata prova scritta ripeta con qualche variante sempre lo stesso problema stereotipato (equazione di 2° grado, o trinomia, con un parametro: da ciò il termine di <trinomite> per indicare l’eccessiva insistenza su questo solo particolare argomento): problema che ha soprattutto la disgrazia di poter essere ridotto a uno schema macchinale, formale, pedestre, che va sotto il nome di un certo Tartinville. Per mio conto appresi purtroppo in ritardo a conoscere e detestare Trinomite e Tartinvillite: non avevo preso sul serio le informazioni negative ma espressemi in forma generica da qualche collega circa la matematica del Liceo scientifico al momento della scelta per mia figlia: pensavo fossero dettate dai soliti pregiudizi in favore degli studi classici. Ma dopo qualche anno, sempre più allarmato e sbalordito dal pedestre livello di scimunitaggini cui venivano degradati i begli argomenti di cui nel programma figuravano i nomi, chiesi a un mio assistente se sapeva spiegarmi tale fenomeno. Ne ebbi le stesse sopra riferite notizie della relazione Manara. La cosa era pressoché notoria; io solo ero stato tanto ingenuo da non immaginare neppure che la Scuola, in gara coi sofisticatori di olio d’oliva, potesse ammannirci, gabellandolo per genuino nutrimento matematico, l’asino Tartinville nella bottiglia!”7                       (Fine della 6° puntata)

Note:
1 B. de Finetti, Contro la matematica per deficienti. In “Periodico di matematiche”, n°1-2 maggio 1965, Zanichelli, Bologna
2 B. de Finetti, Interventi al Convegno della C.I.I.M., Viareggio 24-25 ottobre 1974.
3 Pur essendo un grande teorico, Archimede sapeva magistralmente coniugare teoria ed esperienza. Può essere considerato come un grande precursore della moderna interdisciplinarietà, poiché affrontava e risolveva i problemi matematici ponendosi in punti di vista diversi, non matematici; in particolare, per le sue scoperte matematiche, si serviva di concetti e metodi meccanici e fisici, come egli stesso dichiara a Eratostene nella sua opera Il Metodo: “Son persuaso, del resto, che questo metodo sarà non meno utile anche per la dimostrazione degli stessi teoremi. Infatti, anche a me alcune cose si manifestarono prima per via meccanica, e poi le dimostrai geometricamente.”
4 La distinzione fra i due “momenti” della ricerca scientifica in generale, e matematica in particolare, cioè quello dell’intuizione, creativo e fluido, e quello della dimostrazione, cristallizzazione logica del primo, si trova molto chiaramente espressa nell’opera di Attilio Frajese, Galileo Matematico, Editrice Studium, Roma, 1964, cap. I.
5 B. de Finetti, Lettere alla Direzione in “Periodico di Matematiche”, n° 4 ottobre 1965, Zanichelli editore Bologna.
6 B. de Finetti, Programmi e criteri per l’insegnamento della matematica alla luce delle diverse esigenze, in “Periodico di matematiche”, aprile 1965, Zanichelli, Bologna; e poi ancora Le proposte per la matematica nei nuovi licei: informazioni, commenti critici, suggerimenti, in “Periodico di matematiche”, aprile1967, Zanichelli, Bologna
7 B. de Finetti, Come liberare l’Italia dal morbo della trinomite?, in “Periodico di Matematiche”, n° 4 ottobre 1965, Zanichelli, Bologna.

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Sommario anno XIV numero 1 - gennaio 2005