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Sommario anno XIV numero 2 - febbraio 2005

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“Comunicare” è vivere?
(Claudio Comandini) - Il recente manifesto della Telecom Italia Comunicare è vivere ritrae un enorme massa di gente raccolta a vedere Gandhi parlare da uno schermo gigante. Non molto tempo dopo sui muri di Roma sono apparsi piccoli manifesti che rispetto a questa medesima scena al posto di Gandhi mettevano Mussolini. Senza alcuna intenzione satirica, identica era anche la didascalia: “Se avesse potuto comunicare così, che mondo sarebbe oggi?” L’aspetto inquietante di questa esaltazione fascista è che sostanzialmente sembra più adatta alle condizioni del “mondo della comunicazione” dell’immagine di Gandhi, dal canto suo maggiormente associabile a concrete pratiche di vita che includono concetti quali quelli di meditazione, consapevolezza e non violenza attiva, di certo non implicati nel semplice atto di vedere la televisione con una massa di gente in adunata. Piuttosto, la circostanza descritta dai manifesti indubbiamente favorisce forme di adesione fanatica, dove inoltre a ben vedere l’assenza di interattività tipica della ricezione televisiva vanifica in maniera sottile ma determinante le stesse condizioni per cui può riuscire a formularsi una partecipazione responsabile. L’informazione ci investe di opinioni precondizionate, decise in maniera inappellabile da qualcuno che non conosciamo: non c’è scelta possibile di fronte allo schermo televisivo, nemmeno - come nel fuorviante suggerimento di Maurizio Costanzo - con un telecomando in mano. Ora, il mondo di cui abbiamo esperienza oggi sembra suggerirci in maniera sempre più insistente che dietro l’apparente democrazia dei mezzi di comunicazione di massa, oltre alle evidenti componenti totalitaristiche, ci sia anche una forte dose di condizionamento psicologico, che determina mentalità e abitudini docili rispetto ai giochi del potere. Ciò accade in realtà in maniera molto diretta quando alcune idee di Sigmund Freud vengono adattate dall’ambito terapeutico a quello “comunicativo” e di marketing da un suo nipote, Edward L. Bernays, la cui ampia attività permette di comprendere come già da tempi non sospetti nel mondo dell’informazione gli interessi economici e finanziari svolgano un decisivo ruolo politico.
Il primo incarico Bernays lo riceve dal Consiglio per la Informazione al Pubblico del governo degli Stati Uniti d’America, per vendere la Prima Guerra Mondiale con l’idea di: “Fare il Mondo Sicuro per la Democrazia”; poi acquista enorme influenza nel 1925 organizzando la Marcia Pasquale di New York per i diritti delle donne fumatrici. Nei decenni successivi elabora il concetto che generalmente le masse sono influenzabili dai messaggi ripetuti di continuo. Fra i  suoi clienti ci sono Philip Morris, Goodyear, Ciba Geigy, DuPont, General Motors, Shell Oil, Standard Oil. Ai prodotti viene conferita credibilità attraverso una profusione di studi scientifici e comunicati stampa sfornati da agenzie di ricerca apparentemente indipendenti come Temperature Research Foundation, International Food Information Council, Consumer Alert, The Advancement of Sound Science Coalition, Air Hygiene Foundation, Industrial Health Federation, International Food Information Council, Center for Produce Qualità, Tobacco Institute Research, Manhattan Institute, Cato Institute, American Council on Science and Health, Global Climate Coalition, Alliance for Better Foods. Nel mondo della comunicazione le teorie psicologiche più delicate sono rese funzionali alla logica del profitto con efficaci e sconcertanti applicazioni: ad esempio il meccanismo di “scissione dell’io” (ich-spaltung) indagato da Freud rispetto alla schizofrenia viene utilizzato in pubblicità per dare ad un oggetto un significato che crei un’immagine da desiderare, in cui il consumatore si identifichi trovando conferma del livello di accettazione di se stesso che è stato indotto a tollerare. Ciò ovviamente scaturisce non dalla volontà di aiutare le persone, ma da quello di manipolarle. Infatti lo stesso Bernays descrive nel suo trattato Propaganda le “masse” che costituiscono l’opinione pubblica, destinatarie della comunicazione e suddite della politica, come “un gregge che ha bisogno di venire guidato”: la “gente” deve essere resa “ben disposta verso la classe dirigente”, che a sua volta raggiunge la massima efficacia quando “controlla le masse senza che esse lo sappiano”.
Mentre il Ministro della Propaganda nazista Goebbels legge con interesse i suoi studi, nascono dozzine di società di “Public Relations” per soddisfare la crescente domanda.
Fra esse: Burson-Marsteller, Edelman, Hill & Knowlton, Kamer-Singer, Ketchum, Mongovin, Biscoe and Duchin, BSMG Buder-Finn. Famose a livello mondiale nell’industria, le migliori agiscono in incognito, influenzando per decenni la formazione delle opinioni prevalenti, esprimendosi su ogni questione con il più remoto valore commerciale: prodotti farmaceutici, vaccini, professione medica, medicina alternativa, introduzione del fluoro nell’acqua pubblica, cloro, prodotti casalinghi per pulizia, tabacco, diossina, additivi al piombo nella benzina, ricerca e trattamento del cancro, aumento della temperatura del globo terrestre, inquinamento degli oceani, taglio delle foreste, lavorazione e additivi dei cibi, cibi geneticamente modificati, aspartame, amalgama dentale, monitoraggio di disastri e crisi, immagini di personaggi celebri.
In Trust Us We’re Experts, Stauber e Rampton descrivono il fondamento logico di Bernays: “la manipolazione scientifica dell’opinione pubblica è necessaria per superare il caos e il conflitto in una società democratica”. Questa l’opinione di Bernays, che scuote fortemente i fondamenti e l’affidabilità di forme di governo usualmente definite “democratiche”: “Quelli che manipolano il meccanismo nascosto della società costituiscono un governo invisibile che è il vero potere che controlla. Noi siamo governati, le nostre menti vengono plasmate, i nostri gusti vengono formati, le nostre idee sono quasi totalmente influenzate da uomini di cui non abbiamo mai nemmeno sentito parlare. Questo è il logico risultato del modo in cui la nostra società democratica è organizzata.”
Comunicare è vivere”.  Ma cos’è comunicare, e cos’è vivere?

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Sommario anno XIV numero 2 - febbraio 2005