“Comunicare” è vivere?
(Claudio Comandini) -
Il recente manifesto della Telecom Italia
Comunicare è vivere
ritrae un enorme massa di gente raccolta a
vedere
Gandhi parlare da uno schermo gigante. Non molto tempo dopo sui muri di
Roma sono apparsi piccoli manifesti che rispetto a questa medesima scena
al posto di Gandhi mettevano Mussolini. Senza alcuna intenzione satirica,
identica era anche la didascalia: “Se avesse potuto comunicare così,
che mondo sarebbe oggi?” L’aspetto inquietante di questa esaltazione
fascista è che sostanzialmente sembra più adatta alle condizioni del
“mondo della comunicazione” dell’immagine di Gandhi, dal canto suo
maggiormente associabile a concrete pratiche di vita che includono
concetti quali quelli di meditazione, consapevolezza e non violenza
attiva, di certo non implicati nel semplice atto di vedere la televisione
con una massa di gente in adunata. Piuttosto, la circostanza descritta dai
manifesti indubbiamente favorisce forme di adesione fanatica, dove inoltre
a ben vedere l’assenza di interattività tipica della ricezione televisiva
vanifica in maniera sottile ma determinante le stesse condizioni per cui
può riuscire a formularsi una partecipazione responsabile. L’informazione
ci investe di opinioni precondizionate, decise in maniera inappellabile da
qualcuno che non conosciamo: non c’è scelta possibile di fronte allo
schermo televisivo, nemmeno - come nel fuorviante suggerimento di Maurizio
Costanzo - con un telecomando in mano. Ora, il mondo di cui abbiamo
esperienza oggi sembra suggerirci in maniera sempre più insistente che
dietro l’apparente democrazia dei mezzi di comunicazione di massa,
oltre alle evidenti componenti totalitaristiche, ci sia anche una
forte dose di condizionamento psicologico, che determina mentalità
e abitudini docili rispetto ai giochi del potere. Ciò accade in realtà in
maniera molto diretta quando alcune idee di Sigmund Freud vengono adattate
dall’ambito terapeutico a quello “comunicativo” e di marketing da
un suo nipote, Edward L. Bernays, la cui ampia attività permette di
comprendere come già da tempi non sospetti nel mondo dell’informazione gli
interessi economici e finanziari svolgano un decisivo ruolo politico.
Il primo incarico Bernays lo riceve dal Consiglio per la Informazione al
Pubblico del governo degli Stati Uniti d’America, per vendere la Prima
Guerra Mondiale con l’idea di: “Fare il Mondo Sicuro per la Democrazia”;
poi acquista enorme influenza nel 1925 organizzando la Marcia Pasquale di
New York per i diritti delle donne fumatrici. Nei decenni successivi
elabora il concetto che generalmente le masse sono influenzabili dai
messaggi ripetuti di continuo. Fra i suoi clienti ci sono Philip
Morris, Goodyear, Ciba Geigy, DuPont, General Motors, Shell Oil, Standard
Oil. Ai prodotti viene conferita credibilità attraverso una profusione
di studi scientifici e comunicati stampa sfornati da agenzie di ricerca
apparentemente indipendenti come Temperature Research Foundation,
International Food Information Council, Consumer Alert, The Advancement of
Sound Science Coalition, Air Hygiene Foundation, Industrial Health
Federation, International Food Information Council, Center for Produce
Qualità, Tobacco Institute Research, Manhattan Institute, Cato Institute,
American Council on Science and Health, Global Climate Coalition, Alliance
for Better Foods. Nel mondo della comunicazione le teorie psicologiche
più delicate sono rese funzionali alla logica del profitto con efficaci e
sconcertanti applicazioni: ad esempio il meccanismo di “scissione dell’io”
(ich-spaltung) indagato da Freud rispetto alla schizofrenia viene
utilizzato in pubblicità per dare ad un oggetto un significato che crei
un’immagine da desiderare, in cui il consumatore si identifichi trovando
conferma del livello di accettazione di se stesso che è stato indotto a
tollerare. Ciò ovviamente scaturisce non dalla volontà di aiutare le
persone, ma da quello di manipolarle. Infatti lo stesso Bernays
descrive nel suo trattato Propaganda le “masse” che costituiscono
l’opinione pubblica, destinatarie della comunicazione e suddite della
politica, come “un gregge che ha bisogno di venire guidato”: la
“gente” deve essere resa “ben disposta verso la classe dirigente”,
che a sua volta raggiunge la massima efficacia quando “controlla le
masse senza che esse lo sappiano”.
Mentre il Ministro della Propaganda nazista Goebbels legge con interesse i
suoi studi, nascono dozzine di società di “Public Relations” per
soddisfare la crescente domanda.
Fra esse:
Burson-Marsteller, Edelman, Hill & Knowlton, Kamer-Singer, Ketchum,
Mongovin, Biscoe and Duchin, BSMG Buder-Finn.
Famose a livello
mondiale nell’industria, le migliori agiscono in incognito, influenzando
per decenni la formazione delle opinioni prevalenti, esprimendosi su ogni
questione con il più remoto valore commerciale: prodotti farmaceutici,
vaccini, professione medica, medicina alternativa, introduzione del fluoro
nell’acqua pubblica, cloro, prodotti casalinghi per pulizia, tabacco,
diossina, additivi al piombo nella benzina, ricerca e trattamento del
cancro, aumento della temperatura del globo terrestre, inquinamento degli
oceani, taglio delle foreste, lavorazione e additivi dei cibi, cibi
geneticamente modificati, aspartame, amalgama dentale, monitoraggio di
disastri e crisi, immagini di personaggi celebri.
In Trust Us We’re Experts, Stauber e Rampton descrivono il
fondamento logico di Bernays: “la manipolazione scientifica
dell’opinione pubblica è necessaria per superare il caos e il conflitto in
una società democratica”. Questa l’opinione di Bernays, che scuote
fortemente i fondamenti e l’affidabilità di forme di governo usualmente
definite “democratiche”: “Quelli che manipolano il meccanismo nascosto
della società costituiscono un governo invisibile che è il vero potere che
controlla. Noi siamo governati, le nostre menti vengono plasmate, i nostri
gusti vengono formati, le nostre idee sono quasi totalmente influenzate da
uomini di cui non abbiamo mai nemmeno sentito parlare. Questo è il logico
risultato del modo in cui la nostra società democratica è organizzata.”
“Comunicare è vivere”. Ma cos’è comunicare, e cos’è vivere? |