Sulla
corruzione
(Claudio Comandini) - L’articolo di Pietro Ciaravolo L’amministratore
allo specchio (cfr. Controluce 2/XIV) sembra corrispondere a
quell’”opinabilità” direttamente rivendicata dal suo stesso
autore, e si presta ad un’articolata serie di discussioni. In questo
scritto si arriva a legittimare in nome di un “realismo esistenziale”,
e nel rispetto di una “psicologia dell’amministratore”,
quella che viene comunemente chiamata ‘tangente’. Infatti Ciaravolo
afferma “tollerabile l’accettazione di tangenti a condizione che
non portino danno alla cittadinanza.” Questa conclusione parte dal
“presupposto che l’amministratore è un politico e non un
missionario né un volontario e che per farsi eleggere ha dovuto sborsare,
a volte indebitandosi, somme rilevanti.” Mentre tiene lontano dalla
“deontologia dell’amministratore” l’ “ascetica virtù
di una onestà amministrativa”, che sarebbe appannaggio dei
cosiddetti “santi”, la “colpa” di un “comportamento
insincero” viene attribuita ad un “complesso meccanismo
amministrativo”. A ben vedere, questo “ordigno amministrativo”
ormai obbliga il politico ad una incessante propaganda in ogni fase della
sua attività, con costi enormi, che superano abbondantemente la “giusta
remunerazione” da riconoscere “per un lavoro a servizio della
collettività.”
Per motivare la capacità di mediazione fra “personale interesse”
e “rappresentatività democratica” nell’esercizio di un
lavoro amministrativo sarebbe opportuno fare ricorso al concetto di responsabilità,
che comporta la costante acquisizione della capacità di rispondere
adeguatamente alle situazioni, e quindi anche di trasformarle. Ma
l’esempio di una politica responsabile non sembra prevalere, e dobbiamo
quindi concretamente fare i conti con la dilagante “magia
dell’immaginario”, capace perlopiù di fare leva sul “semplicismo
popolare”. Rispetto alla “strategia di tanti politici che
mirano a promettere senza nulla dare” viene offerta ampia e
particolareggiata casistica già ne L’arte della menzogna politica
(1733) dello scrittore irlandese Jonathan Swift, che in modo provocatorio
tratta i modi “leciti” con cui in politica si mente, si calunnia o si
minimizza. Ma sembrano al di fuori della satira le conseguenze a cui
conducono le premesse poste da Ciaravolo, che purtroppo non forniscono
neanche un’utile demistificazione degli inganni della politica.
Inoltre, non sembra adeguatamente considerato quanto già affermato da
Habermas sullo “svuotamento” della partecipazione politica nelle
società contemporanee, plasmate da interessi che sfuggono al controllo
pubblico, e nelle quali con il voto i cittadini arrivano sostanzialmente a
confermare scelte già fatte. Come conseguenza delle evidenti clientele
innescate dalle tangenti molte scelte politiche, innegabilmente non sempre
limpide e condivisibili, possono risultare ancora più torbide e
obbligate. E gli effetti di un appalto truccato si estendono
indistintamente a tutti, come dimostra a livello ambientale in maniera
lampante già Antonio Cederna nel libro la Distruzione della natura in
Italia (1975), deplorando, fra le altre cose l’ “incultura diffusa
a tutti i livelli (a cominciare dai cosiddetti uomini di cultura)”.
Ora, nell’articolo di Ciaravolo ci sono delle ambiguità di
argomentazione che possono considerarsi come paralogismi, cioè
falsi ragionamenti. Occorre quindi esplicitare un riferimento che può
permetterci anche di precisare il discorso: se per Nietzsche (Verità e
menzogna in senso extramorale, 1870-3) una intuizione si “irrigidisce”
in concetto proprio nel tentativo di “tradurre” cose diverse in
una “uguaglianza fittizia”, in alti termini la “verità” si
riduce a menzogna proprio nel pretendere che un contenuto parziale diventi
assoluto, si può osservare che in questo scritto un’opinione
piuttosto convenzionale si irrigidisce e diventa una specie di narcotico,
distogliendo dalla considerazione degli effettivi interessi in gioco: il
comportamento è, letteralmente, proprio quello di uno “spacciatore
di verità”. Infatti la similitudine chiave sembra essere
dove si assimila la corruzione politica al doping sportivo,
che da parte sua, e principalmente in nome dei profitti finanziari delle
società, falsa i criteri agonistici, lo stesso spirito dello sport, e
ammazza gli sportivi che ne fanno volontario e redditizio abuso. Ciaravolo,
purtroppo, non approfondisce adeguatamente, e mentre la similitudine
diventa metafora, la metafora diventa concetto, arriva a
definirsi “ciclista”, e in questa sua “sosta provvisoria”
non va né in salita né in discesa, e resta su un declivio
che rende l’una impossibile, l’altra simile ad una caduta, lasciandolo
troppo vicino sia alla “desolazione” che alla “sfiducia”
tanto esecrate.
Ciaravolo, da un generico garantismo per cui “la legalità non è
tout court appannaggio della giustizia”, arriva in definitiva a
sancire la legittimità della corruzione politica, che si trova ad
essere “sdoganata” dall’ambito dell’illegalità. Mentre si “tende
a diluire tutto nella normalità del buonsenso”, viene
giustificato sostanzialmente l’arbitrio di un potere fine a se stesso,
in linea con le tendenze neoconservatrici espresse da Bush come da
Berlusconi, le quali peraltro rendono superflua ogni forma di
ragionamento filosofico, anche se semplicistico.
Ora, estremizzando invece alcune implicazioni, possiamo concludere che
l’amministratore, che appunto non è un “santo” in quanto
indulge in “comportamenti insinceri”, può venire senza sforzo
assimilato alla figura del baro, dove con la sua azione viene
sostanzialmente a prevalere il barare sul gioco: ma se barare può
anche far parte del gioco, un baro che dice di essere un baro non è
per questo un giocatore, e quando viene scoperto non può dire di essere
stato comunque bravo a barare, e il gioco dovrebbe “andare
a monte”. E invece, è evidente che si può continuare a giocare,
anzi, si guadagnano pure punti, ma le regole diventano non-regole del
tutto arbitrarie: e a che gioco si gioca, non lo sa più nessuno. E
quindi non a caso Balzac diceva che la corruzione è l’arma dei
mediocri, nel momento in cui porta a prevalere chi non lo merita: il
problema è che i mediocri quando trionfano diventano ancora più spietati
nell’uso delle loro armi. Inoltre, la corruzione, oltre
alla mediocrità, all’arbitrio, alla depravazione, alla malafede,
all’istigazione a delinquere e al causare danni psicologici e morali ai
minori, suggerisce, lo dice la parola, un’assenza strutturale di
coesione, e quindi un disfacimento analogo a quello che subiscono i
cadaveri. Fermiamoci a questa “tappa provvisoria”.
Per iniziare ad affrontare adeguatamente una situazione complessiva dove
la corruzione si estende portando ad una forte stallo delle
possibilità di fare cultura e politica, bisognerebbe cominciare a mettere
in discussione il senso di anestesia e di appiattimento
ampiamente diffuso a livello sociale dalla comunicazione mediatica, la
quale può anche concepirsi come “corruzione” di una cultura a criteri
pubblicitari e propagandistici: la “comunicazione”
pretende di risolvere ogni messaggio dissolvendo tutti i contenuti
possibili e, come dice Mario Perniola, “trasforma l’inconcludenza, la
ritrattazione e la confusione da fattori di debolezza in prove di
forza.” (Contro la comunicazione, 2004). Ciaravolo però non si
pone problemi di questo tipo, e si preoccupa principalmente di “pirotecnie
giudiziarie”, salvando la legittimità della tangente in quanto “fonte
di lavoro per tanti” e “sorta di salvagente per sanare la
passività del bilancio di spesa”, non si capisce bene per difendere
cosa o chi.
Se la definizione dei ruoli della difesa e dell’accusa e di fenomeni
come la corruzione e la concussione sono di pertinenza del diritto e della
filosofia del diritto, una filosofia che volesse occuparsi di politica
dovrebbe riconsiderare legittimità, limiti e relazioni dei poteri, smascherandone
i giochi piuttosto che “lanciare fumogeni”. Rispetto alla
storia recente d’Italia, va adeguatamente riconosciuto il ruolo dei
poteri internazionali nella vicenda di Tangentopoli, i quali dopo il
crollo della “cortina di ferro” mirarono a definire elites politiche
più malleabili a piani di privatizzazione ritagliati sugli interessi del
capitale finanziario e del Nuovo Ordine Mondiale. La caduta della
“partitocrazia” attraversò entusiasmi e manipolazioni, suicidi veri o
presunti, linciaggi morali e condanne sociali, e dopo una breve ed
equivoca speranza basata su un poco edificante conflitto fra magistratura
e politica, condusse il paese a ulteriori degenerazioni. Su questo
argomento, che non necessariamente comporta la tardiva ri-beatificazione
di Bettino Craxi, al tempo di “Mani Pulite” ritenuto il principale
responsabile della politica delle “mazzette”, un contributo è fornito
da Biagio Marzo (Fatti e misfatti delle privatizzazioni, 2004).
Comunque vada, un contesto “corrotto” inevitabilmente deprime il
lavoro dei tanti che tentano la decenza umana e professionale che
gli è possibile, indipendentemente dagli scarsi compensi che
possono ricevere, quando li ricevono. Ciaravolo, sembra quasi
accorgersene, dove la situazione (ma il passaggio non è molto chiaro)
porterebbe “gli onesti e i capaci a defilarsi, a mettersi da parte”.
In realtà questo può essere osservato proprio nello specifico del
fenomeno ‘tangente’, e possiamo concludere che “la procedura
d’assegnazione di un appalto” non può affatto “strutturalmente
ritenersi regolare” se realizzata attraverso un illecito
amministrativo: la tangente non è una “mancia”, ma un ricatto
a cui non tutti possono permettersi di corrispondere, una forma di estorsione
che introduce discriminazioni puramente venali che non c’entrano
niente né con l‘uguaglianza di opportunità né con il riconoscimento
del merito, criteri che Giovanni Sartori (Elementi di teoria
politica, 1987) individua come elementi decisivi dello sviluppo orizzontale
e verticale delle nostre democrazie moderne. Le quali più che un
dato di fatto, un dogma o un prodotto da esportare, dovrebbero
rappresentare un compito, per la cui realizzazione non si può
prescindere da condizioni che lo rendono possibile, permettendo di esercitare,
come ricordato anche da Popper, un “controllo” sui poteri.
La pratica di accettare e chiedere tangenti delegittima ampiamente i cosiddetti
sistemi democratici, privandoli di molti elementi di garanzia.
La questione non si può certo risolvere con le parole, ma un’adeguata
cultura può favorirne la comprensione. Lo stesso Ciaravolo, nel suo ruolo
di presidente del Centro per la Filosofia Italiana (da circa due
anni insediato a Montecompatri), potrebbe promuovere un argomentato e
documentato dibattito sulle implicazioni di questo tema, venendo peraltro
incontro alla forte “domanda” di filosofia che accompagna il nostro
contemporaneo smarrimento. |