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Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005

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Sulla corruzione
(Claudio Comandini)
- L’articolo di Pietro Ciaravolo L’amministratore allo specchio (cfr. Controluce 2/XIV) sembra corrispondere a quell’”opinabilità” direttamente rivendicata dal suo stesso autore, e si presta ad un’articolata serie di discussioni. In questo scritto si arriva a legittimare in nome di un “realismo esistenziale”, e nel rispetto di una “psicologia dell’amministratore”, quella che viene comunemente chiamata ‘tangente’. Infatti Ciaravolo afferma “tollerabile l’accettazione di tangenti a condizione che non portino danno alla cittadinanza.” Questa conclusione parte dal “presupposto che l’amministratore è un politico e non un missionario né un volontario e che per farsi eleggere ha dovuto sborsare, a volte indebitandosi, somme rilevanti.” Mentre tiene lontano dalla “deontologia dell’amministratore” l’ “ascetica virtù di una onestà amministrativa”, che sarebbe appannaggio dei cosiddetti “santi”, la “colpa” di un “comportamento insincero” viene attribuita ad un “complesso meccanismo amministrativo”. A ben vedere, questo “ordigno amministrativo” ormai obbliga il politico ad una incessante propaganda in ogni fase della sua attività, con costi enormi, che superano abbondantemente la “giusta remunerazione” da riconoscere “per un lavoro a servizio della collettività.”
Per motivare la capacità di mediazione fra “personale interesse” e “rappresentatività democratica” nell’esercizio di un lavoro amministrativo sarebbe opportuno fare ricorso al concetto di responsabilità, che comporta la costante acquisizione della capacità di rispondere adeguatamente alle situazioni, e quindi anche di trasformarle. Ma l’esempio di una politica responsabile non sembra prevalere, e dobbiamo quindi concretamente fare i conti con la dilagante “magia dell’immaginario”, capace perlopiù di fare leva sul “semplicismo popolare”. Rispetto alla “strategia di tanti politici che mirano a promettere senza nulla dare” viene offerta ampia e particolareggiata casistica già ne L’arte della menzogna politica (1733) dello scrittore irlandese Jonathan Swift, che in modo provocatorio tratta i modi “leciti” con cui in politica si mente, si calunnia o si minimizza. Ma sembrano al di fuori della satira le conseguenze a cui conducono le premesse poste da Ciaravolo, che purtroppo non forniscono neanche un’utile demistificazione degli inganni della politica. Inoltre, non sembra adeguatamente considerato quanto già affermato da Habermas sullo “svuotamento” della partecipazione politica nelle società contemporanee, plasmate da interessi che sfuggono al controllo pubblico, e nelle quali con il voto i cittadini arrivano sostanzialmente a confermare scelte già fatte. Come conseguenza delle evidenti clientele innescate dalle tangenti molte scelte politiche, innegabilmente non sempre limpide e condivisibili, possono risultare ancora più torbide e obbligate. E gli effetti di un appalto truccato si estendono indistintamente a tutti, come dimostra a livello ambientale in maniera lampante già Antonio Cederna nel libro la Distruzione della natura in Italia (1975), deplorando, fra le altre cose l’ “incultura diffusa a tutti i livelli (a cominciare dai cosiddetti uomini di cultura)”.
Ora, nell’articolo di Ciaravolo ci sono delle ambiguità di argomentazione che possono considerarsi come paralogismi, cioè falsi ragionamenti. Occorre quindi esplicitare un riferimento che può permetterci anche di precisare il discorso: se per Nietzsche (Verità e menzogna in senso extramorale, 1870-3) una intuizione si “irrigidisce” in concetto proprio nel tentativo di “tradurre” cose diverse in una “uguaglianza fittizia”, in alti termini la “verità” si riduce a menzogna proprio nel pretendere che un contenuto parziale diventi assoluto, si può osservare che in questo scritto un’opinione piuttosto convenzionale si irrigidisce e diventa una specie di narcotico, distogliendo dalla considerazione degli effettivi interessi in gioco: il comportamento è, letteralmente, proprio quello di uno “spacciatore di verità”. Infatti la similitudine chiave sembra essere dove si assimila la corruzione politica al doping sportivo, che da parte sua, e principalmente in nome dei profitti finanziari delle società, falsa i criteri agonistici, lo stesso spirito dello sport, e ammazza gli sportivi che ne fanno volontario e redditizio abuso. Ciaravolo, purtroppo, non approfondisce adeguatamente, e mentre la similitudine diventa metafora, la metafora diventa concetto, arriva a definirsi “ciclista”, e in questa sua “sosta provvisoria” non va in salita in discesa, e resta su un declivio che rende l’una impossibile, l’altra simile ad una caduta, lasciandolo troppo vicino sia alla “desolazione” che alla “sfiducia” tanto esecrate.
Ciaravolo, da un generico garantismo per cui “la legalità non è tout court appannaggio della giustizia”, arriva in definitiva a sancire la legittimità della corruzione politica, che si trova ad essere “sdoganata” dall’ambito dell’illegalità. Mentre si “tende a diluire tutto nella normalità del buonsenso”, viene giustificato sostanzialmente l’arbitrio di un potere fine a se stesso, in linea con le tendenze neoconservatrici espresse da Bush come da Berlusconi, le quali peraltro rendono superflua ogni forma di ragionamento filosofico, anche se semplicistico.
Ora, estremizzando invece alcune implicazioni, possiamo concludere che l’amministratore, che appunto non è un “santo” in quanto indulge in “comportamenti insinceri”, può venire senza sforzo assimilato alla figura del baro, dove con la sua azione viene sostanzialmente a prevalere il barare sul gioco: ma se barare può anche far parte del gioco, un baro che dice di essere un baro non è per questo un giocatore, e quando viene scoperto non può dire di essere stato comunque bravo a barare, e il gioco dovrebbe “andare a monte”. E invece, è evidente che si può continuare a giocare, anzi, si guadagnano pure punti, ma le regole diventano non-regole del tutto arbitrarie: e a che gioco si gioca, non lo sa più nessuno. E quindi non a caso Balzac diceva che la corruzione è l’arma dei mediocri, nel momento in cui porta a prevalere chi non lo merita: il problema è che i mediocri quando trionfano diventano ancora più spietati nell’uso delle loro armi. Inoltre, la corruzione, oltre alla mediocrità, all’arbitrio, alla depravazione, alla malafede, all’istigazione a delinquere e al causare danni psicologici e morali ai minori, suggerisce, lo dice la parola, un’assenza strutturale di coesione, e quindi un disfacimento analogo a quello che subiscono i cadaveri. Fermiamoci a questa “tappa provvisoria”.
Per iniziare ad affrontare adeguatamente una situazione complessiva dove la corruzione si estende portando ad una forte stallo delle possibilità di fare cultura e politica, bisognerebbe cominciare a mettere in discussione il senso di anestesia e di appiattimento ampiamente diffuso a livello sociale dalla comunicazione mediatica, la quale può anche concepirsi come “corruzione” di una cultura a criteri pubblicitari e propagandistici: la “comunicazione” pretende di risolvere ogni messaggio dissolvendo tutti i contenuti possibili e, come dice Mario Perniola, “trasforma l’inconcludenza, la ritrattazione e la confusione da fattori di debolezza in prove di forza.” (Contro la comunicazione, 2004). Ciaravolo però non si pone problemi di questo tipo, e si preoccupa principalmente di “pirotecnie giudiziarie”, salvando la legittimità della tangente in quanto “fonte di lavoro per tanti” e “sorta di salvagente per sanare la passività del bilancio di spesa”, non si capisce bene per difendere cosa o chi.
Se la definizione dei ruoli della difesa e dell’accusa e di fenomeni come la corruzione e la concussione sono di pertinenza del diritto e della filosofia del diritto, una filosofia che volesse occuparsi di politica dovrebbe riconsiderare legittimità, limiti e relazioni dei poteri, smascherandone i giochi piuttosto che lanciare fumogeni”. Rispetto alla storia recente d’Italia, va adeguatamente riconosciuto il ruolo dei poteri internazionali nella vicenda di Tangentopoli, i quali dopo il crollo della “cortina di ferro” mirarono a definire elites politiche più malleabili a piani di privatizzazione ritagliati sugli interessi del capitale finanziario e del Nuovo Ordine Mondiale. La caduta della “partitocrazia” attraversò entusiasmi e manipolazioni, suicidi veri o presunti, linciaggi morali e condanne sociali, e dopo una breve ed equivoca speranza basata su un poco edificante conflitto fra magistratura e politica, condusse il paese a ulteriori degenerazioni. Su questo argomento, che non necessariamente comporta la tardiva ri-beatificazione di Bettino Craxi, al tempo di “Mani Pulite” ritenuto il principale responsabile della politica delle “mazzette”, un contributo è fornito da Biagio Marzo (Fatti e misfatti delle privatizzazioni, 2004).
Comunque vada, un contesto “corrotto” inevitabilmente deprime il lavoro dei tanti che tentano la decenza umana e professionale che gli è possibile, indipendentemente dagli scarsi compensi che possono ricevere, quando li ricevono. Ciaravolo, sembra quasi accorgersene, dove la situazione (ma il passaggio non è molto chiaro) porterebbe “gli onesti e i capaci a defilarsi, a mettersi da parte”. In realtà questo può essere osservato proprio nello specifico del fenomeno ‘tangente’, e possiamo concludere che “la procedura d’assegnazione di un appalto” non può affatto “strutturalmente ritenersi regolare” se realizzata attraverso un illecito amministrativo: la tangente non è una “mancia”, ma un ricatto a cui non tutti possono permettersi di corrispondere, una forma di estorsione che introduce discriminazioni puramente venali che non c’entrano niente né con l‘uguaglianza di opportunità né con il riconoscimento del merito, criteri che Giovanni Sartori (Elementi di teoria politica, 1987) individua come elementi decisivi dello sviluppo orizzontale e verticale delle nostre democrazie moderne. Le quali più che un dato di fatto, un dogma o un prodotto da esportare, dovrebbero rappresentare un compito, per la cui realizzazione non si può prescindere da condizioni che lo rendono possibile, permettendo di esercitare, come ricordato anche da Popper, un “controllo” sui poteri.
La pratica di accettare e chiedere tangenti delegittima ampiamente i cosiddetti sistemi democratici, privandoli di molti elementi di garanzia. La questione non si può certo risolvere con le parole, ma un’adeguata cultura può favorirne la comprensione. Lo stesso Ciaravolo, nel suo ruolo di presidente del Centro per la Filosofia Italiana (da circa due anni insediato a Montecompatri), potrebbe promuovere un argomentato e documentato dibattito sulle implicazioni di questo tema, venendo peraltro incontro alla forte “domanda” di filosofia che accompagna il nostro contemporaneo smarrimento.

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