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Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005

 SCIENZA E AMBIENTE

Poco ambiente nell’Italia di oggi
(Simone Proietti) - È questa la conclusione che si può trarre dalle valutazioni inserite in uno studio redatto da un gruppo di esperti ricercatori delle più prestigiose università americane. L’indagine era volta a definire su scala mondiale l’impegno dei diversi governi a sostenere attivamente gli ideali di sviluppo sostenibile e di miglioramento della qualità della vita nel rispetto delle risorse ambientali. Per far ciò sono stati considerati numerosi indici di monitoraggio, tra i quali le emissioni dei gas serra, gli investimenti in nuove tecnologie sostenibili, la vivibilità nelle città, la qualità dei trasporti, il consumo delle risorse ambientali.
Dall’indagine è emerso un punteggio complessivo per ciascuna delle oltre 140 nazioni considerate, che rispecchia fedelmente il grado di attenzione che ciascun governo dedica all’ambiente ed alla conservazione delle risorse naturali. Sul podio sono ovviamente finite le nazioni scandinave quali Finlandia e Norvegia, paesi per tradizione molto rispettosi del loro patrimonio naturale, e con un occhio all’impiego di nuove tecnologie per ridurre l’impatto ambientale e per la produzione di energia rinnovabile. Scorrendo la particolare classifica si incontrano via via i paesi più ricchi, tra i quali Canada, i paesi dell’Unione Europea, il Giappone, l’Australia. Addirittura oltre il quarantesimo posto gli Stati Uniti, da un po’ di tempo poco avvezzi a piegare le loro leggi dell’economia alle tematiche ambientali, vedi ad esempio il diniego al Protocollo di Kyoto per la riduzione dei gas serra.  Ma ancora l’Italia non si trova, siamo alla posizione 69 quando finalmente spunta anche il nome della nosra vecchia cara penisola. Ma come? Proprio laggiù siamo finiti, non siamo tra i primi 8 paesi del pianeta? Evidentemente in termini di ambiente, qualità della vita, conservazione delle risorse ambientali non proprio, con quel concetto di sviluppo sostenibile spesso messo lì, a far bella mostra di sé nei decreti legislativi, ma mai realmente messo in pratica attivamente. Un esempio? L’inquinamento atmosferico nelle nostre città, che si vuole far credere si possa risolvere con una domenica al mese di blocco della circolazione, oppure con l’alternanza dei veicoli in circolazione, le cosiddette targhe alterne. I prodotti delle reazioni chimiche che avvengono nei motori delle nostre automobili sono tra i più vari, dal benzene (molecola che da tempo è una dei maggiori imputati per l’incremento delle mortalità provocate da tumori) al particolato fine (i tanto temuti PM10 o PM2,5, ovvero delle polveri finissime che sono in grado di arrivare sino in profondità nei nostri alveoli polmonari, con conseguenze facilmente immaginabili). Tali prodotti non si smaterializzano magicamente con una giornata di traffico ridotto, semplicemente scendono di concentrazione nell’aria quel poco che basta a rispettare i livelli di allarme imposti dall’Unione Europea, la cui infrazione porta a pagare le amministrazioni delle nostre città contravvenzioni salate. “Prevenire è meglio che curare” anche in questo caso, come nella medicina, è un motto che si dovrebbe tenere bene in considerazione. Come? Per esempio investendo di più nel trasporto pubblico, laddove spesso si è costretti ad assistere impotenti ai ritardi cronici, alla carenza di personale, con conseguente soppressione di corse, a viaggi al limite della sopravvivenza stipati come sardine in vagoni stracolmi. Un potenziamento del trasporto pubblico dovrebbe avere come obiettivo quello di riconquistare la fiducia di tutti quei cittadini che, negli ultimi anni, hanno desistito nell’usufruire di questo servizio. Ancora, si potrebbero ampliare le zone pedonali continuative nei centri urbani, incrementando la diffusione delle aree verdi con vegetazione autoctona ed il loro collegamento, mirando alla costituzione di una rete ecologica all’interno delle città, che possa mitigare gli effetti negativi legati all’inquinamento. Ultima cosa e non meno importante sarebbe di far comprendere ai nostri imprenditori l’importanza di quella strategia, che da diverso tempo i migliori nel mondo hanno cominciato a mettere in pratica, che va sotto il nome di telelavoro. La possibilità di lavorare da casa consentirebbe di ridurre enormemente il numero deli spostamenti in auto, migliorando sensibilmente la qualità ambientale abbattendo per di più i costi legati ai consumi del viaggio. Inoltre è stato verificato da diversi studi come in effetti il telelavoro aumenti la produttività dei dipendenti, oltre a migliorarne la qualità della vita ed aumentare il tempo libero a disposizione. Sapremo vincere la sfida di migliorare la nostra qualità della vita senza prevaricare sulle risorse naturali?

 SCIENZA E AMBIENTE

Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005