Il dio di Roserio,
Teatro Cometa Off
(Cristina Stillitano) - È il giorno della tanto attesa
“Milanesi”. Dante Pessina, portacolori della “Vigor”, sa che se vince
questa gara, forse quelli della “Bianchi” lo prenderanno con loro per
trasformarlo in un ciclista professionista. Vola sulla sua dueruote ma non
tanto come vorrebbe, che il mal di pancia gli frena le gambe e gli
impedisce di tener dietro al suo gregario. Quel pazzo del Consonni sta
tirando come un mulo giù dritto verso il traguardo di Como e sembra che
corra per se stesso piuttosto che per lui. “Mola! Mola!” gli urla il
Pessina mentre raccoglie le forze e gli si fa sotto in una discesa. Poi
qualcosa succede, il Consonni è caduto, si è spaccato la testa, perderà
per sempre l’uso della ragione. Il Pessina pedala trionfante verso la
linea bianca della vittoria, aitante e solitario come un dio, e chi se ne
importa se è soltanto il dio di Roserio. Chi se ne importa della
coscienza, se in cambio si hanno braccia festanti all’arrivo, foto in
prima pagina sulla Gazzetta e l’adrenalina di aver stracciato tutti, di
vedere il Giro - quello dei Grandi - sempre più vicino e fattibile. Addio
dannato distributore di benzina che gli appesta gli abiti e i pensieri,
che lo incatena ad una vita grigia nella periferia milanese del
dopoguerra.
Dal romanzo di Giovanni Testori, “Il dio di Roserio”, in scena in questi
giorni al Teatro Cometa Off di Roma, è un violento spaccato dell’Italia
padana degli anni ’50, già protesa verso la corsa al benessere e al
successo, che impone - anche - la perdita di umanità. La riduzione
teatrale è del regista Valerio Binasco e dell’interprete Maurizio Donadoni,
in splendida forma e capace di trasformare un testo irto di difficoltà
dialettali in una performance di 55 minuti di ritmo serrato e di vigorosa,
amara poesia. |