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Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005

 I NOSTRI PAESI - pagina 14 - storia

Il Castello di Porto
(Tania Simonetti-Marco Cacciotti ) - Ubicato in località Porto, sul lato sinistro della via Portuense, procedendo da Roma verso il litorale, l’episcopio di Porto, più noto come Castello di Porto, è l’unico complesso edilizio che, grazie ai numerosi interventi di restauro e di ristrutturazione che si sono succeduti nel corso dei secoli, è possibile ammirare nella sua imponente magnificenza. Si offre agli occhi dei visitatori nel suo caratteristico aspetto di borgo di origine medievale, con una cinta muraria ancora integra ed il portale di accesso ben conservato (dove è possibile distinguere le insegne di papa Sisto IV), il quale apre sulla corte, dove sorge la chiesa dei Santi Ippolito e Lucia. Nessuna testimonianza riguardante la dignità di sede episcopale di questo incantevole borgo medioevale, si riscontra prima del XV secolo. Il Castello medioevale fu fatto costruire dall’imperatore Claudio ed ampliato da Traiano. Ricordato per la prima volta in un documento di donazione dell’anno 983 con il nome di rocca, l’attuale episcopio ebbe inizialmente funzione di castrum, cioè di insediamento fortificato, cinto da mura difensive e dotato di rocca, alcune citazioni confermano che si trattasse di un castello, come risulta dalla bolla emessa da papa Benedetto VIII nel 1018 allo scopo di confermare alla Chiesa il possesso di alcuni beni nel territorio di Porto: nel testo si ricorda un Castello nella parte antica della città, e un episcopio con vigne e orti al di fuori della città stessa, presso Sant’ Ippolito, dove evidentemente rimanevano ancora le strutture dell’antica sede vescovile, che lì era rimasta fino al suo spostamento all’Isola Tiberina nel IX secolo. La rocca medioevale costitituisce probabilmente il nucleo dell’odierno complesso e attorno ad essa si raccolse nel corso del XII secolo l’esigua popolazione rimasta nella zona. L’aspetto dell’insediamento, però cambiò ben presto con il sopravvento della famiglia romana degli Stefaneschi, che diede il via alla costruzione di un complesso residenziale, non modificando tuttavia la funzione di roccaforte, che allora diventò un vero e proprio castello fortificato. Solo intorno alla metà del XV secolo, terminato il dominio dell’antica famiglia patrizia, la proprietà tornerà alla Chiesa e nel 1463 papa Pio II Piccolomini verrà ricevuto dal Vescovo di Porto, il Cardinal Juan de Carvajal, proprio nel Castello ormai in abbandono: dalle descrizioni della visita pontificia, si apprende infatti che il cardinale, non potendo ospitare il papa nel palazzo, approntò dei ripari temporanei tra le rovine. La situazione dovette però in breve tempo migliorare e pochi anni dopo papa Sisto IV sarà invece sontuosamente accolto a Porto dal nuovo vescovo Rodrigo Borgia, il futuro Alessandro VI, i cui stemmi posti sulle mura e sulle porte del cosiddetto episcopio testimoniano i suoi interventi di ripristino al complesso che, dotato probabilmente proprio in questo periodo anche della chiesa di Santa Lucia (che dal 1990 ha ufficialmente la doppia intitolazione a Santa Lucia e Sant’ Ippolito), divenne una sede episcopale fortificata. La chiesa ha infatti rivestito, a partire da un momento imprecisabile e fino al 1960, il ruolo di cattedrale di Porto, ma il palazzo, destinato ad essere sede di una diocesi la cui titolarità apparteneva ad un cardinale (vescovo importante della Curia Romana) impegnato e quindi lontano dal territorio di sua competenza, era in genere abitato dai suoi vicari. Il complesso ricorda ben poco la sua origine medioevale, la chiesetta, con le sue proporzioni rinascimentali, è frutto del rifacimento tardo cinquecentesco voluto dal cardinale Fulvio Corneo. Nella sua posizione appartata, circondata da ampi spiazzi all’interno della cinta muraria di origine medioevale quasi completamente rifatta, immersa in un silenzio accompagnato dal discreto fluire del fiume, è la cornice ideale di molti matrimoni. Il Castello di Porto dal 1932 è sede parrocchiale, e dal 1933 ospita la Congregazione dei Figli di Maria.
Bibliografia: (Istituto Italiano Castelli Lazio- www.castit.it- Rendina –Bonechi- Bonaventura )


Precisazioni sui possedimenti tuscolani
(Claudio Comandini) - Se la Roma medievale è un “fantasma inafferrabile” (Mario Sanfilippo), Tuscolo ne è l’anima, tanto viva ai suoi tempi quanto dimenticata oggi: metterne in luce ruoli e vicende può quindi in qualche modo dare voce al “fantasma”, fantasma dal quale peraltro si formano istituzioni e concetti che ancora caratterizzano il nostro stesso mondo. Inoltre la storia dei luoghi, al di là di ogni retorico “localismo”, può offrire dettagli che nella loro concretezza sono ampiamente chiarificatori dei processi collettivi: soprattutto rispetto alla struttura feudale, “trionfo della dispersione locale dei poteri” (Jacques le Goff). Ora, quello che ci rimane di Tuscolo è pressappoco questo: siti cancellati, resti dispersi, dati carenti e fonti manipolate. Se l’accanimento distruttivo è stato notevole e anche protratto nel tempo in modo costante (il saccheggio arriva fino ad oggi), sostanzialmente insignificante sembra la tutela che si è espressa nel tempo (nonostante alcuni recenti e decisivi impegni, come un’ancora irrisorio per quanto elegante Museo Tuscolano a Frascati, e gli scavi archeologici nell’area, curati dall’Accademia Spagnola e quindi in qualche modo espressione di interessi “deterritorializzati”). Inoltre si può tranquillamente affermare che i cronisti dell’epoca (ad esempio Pier Damiani e Rodolfo il Glabro, e prima ancora Liutprando da Cemona) non erano lontani dal gossip giornalistico odierno, tanto vincolanti erano gli interessi da cui dipendevano e tanto esagerati, e spesso grotteschi, i toni che usavano per raccontare le loro storie. Quello che ancora oggi riusciamo a vedere del paesaggio perduto di Tuscolo è quindi strappato alla polvere: non sono tanto i resti a portarci testimonianze, quanto ciò che è andato distrutto. Riguardo i possedimenti tuscolani nei secoli XI e XII, periodo in cui alla potenza dei Conti di Tuscolo segue il loro declino e la definitiva distruzione della città, i riferimenti già forniti (Controluce 9/XII) necessitano, per quanto possibile, approfondimenti e precisazioni. Sulla collina al centro della Valle Latina, la rocca e la città dell’antica Tusculum sono ben difese dalla cinta muraria. Le ville patrizie prevalgono sul versante nord-ovest (Frascati) e la suburra si sviluppa verso sud (Grottaferrata), mentre verso est l’Algido (Rocca Priora) è popolato dalle chiese e dai monasteri di s. Aurea, s. Nicola, s. Biagio, (proprietà dell’Abbazia dei monaci Basiliani di s. Nilo), con anche la chiesa di s. Michele Arcangelo, e l’antico convento di s. Agata fondato da Giovanni di Cappadocia (poi castello della Molara, e oggi Castellaccio). I Conti di Tuscolo hanno inoltre feudi e castelli nei territori degli attuali comuni di Frascati, Grottaferrata, Monteporzio, Montecompatri, Colonna, Rocca Priora, Rocca di Papa (che compongono ancora oggi la diocesi tuscolana, già di Labico Quintanense), con propaggini che coinvolgono le zone di Marino, Castel Gandolfo, Albano (civitas Albaniensis, che ha un suo episcopato), Ariccia, Genzano, Nemi, Lanuvio, Artena, Lariano, Velletri (Velitris, che ha un suo episcopato), Zagarolo e Gallicano. Il territorio, costituito dai residui del vulcano laziale, ha una sua naturale continuità geografica, e si muove fra dolci colline e piccoli laghi, su cui spicca con i suoi boschi la mole del mons Albanum o Cabuum (monte Cavo). I suoi prolungamenti seguono la via Labicana (grossomodo parallela all’attuale Casilina, e importante direttrice delle basiliche cristiane), la via Tuscolana (che rappresenta una strada minore), la via Latina (parzialmente l’attuale Anagnina, strada decisiva nei traffici verso il sud), e la via Appia antica (la via sacra dei Romani antichi); le strade sono difese da diverse torri, attualmente in rovina.
Andando verso Roma, sulla via Labicana possono esser attribuite ai Conti di Tuscolo le fortificazione di Torre Gaia (antica stazione ad duos lauros, presso Grotte Celoni), le Due Torri di Caminetti (presso colle Carcariola, dopo lo snodo verso Tuscolo), Torre Maura (antica chiesa di s. Maura all’incrocio dello svincolo che ricongiunge con la Via Latina), e forse Tor Vergata (ora scomparsa) e la Torre di Centocelle (già Torre di s. Giovanni, sulla via Palmiro Togliatti), mentre Torrenova apparteneva (con diverso nome) ai rivali Crescenzi (sarà poi dei Cenci e poi degli Aldobrandini); dalla parte opposta, Torre Jacova (dei Colonna, presso Colonna) non esisteva ancora. Invece, sulla via Tuscolana, che si congiunge alla via Latina (all’altezza del Raccordo Anulare), i Conti possiedono il monastero fortificato detto di Hierusalem (ora Torrione Micara, presunto sepolcro di Lucullo) e altre fortificazioni presso la Torre dei ss. Quattro e Tor di Mezza Via (con costruzioni più antiche delle attuali). Sulla via Latina hanno il Torraccio della Marrana (ora lungo la ferrovia di Frascati), il castello di Borghetto (Castel Savelli) e la valle Marciana. La via Appia (antica) è controllata dalla fortificata villa dei Quintili, dal “castello” di Cecilia Metella, e si congiunge alla via Latina con la valle della Caffarella.
A Roma, di cui i Conti di Tuscolo si definiscono Consoli e Senatori, e dove hanno controllato strettamente l’istituzione del papato e le cariche cittadine, sono attestate (seppur non tutte nello stesso periodo) proprietà come il palazzo di via Lata (ss. Apostoli, già casa di famiglia degli Anici, poi abitazione di Teofilatto, poi palazzo Colonna), il palazzo sull’Aventino (s. Maria del Priorato, già casa di Marozia e Alberico, donato ai Benedettini cluniacensi, passerà poi ai Templari), e zone come il circo di Massenzio e la tomba di Romolo, ed anche Silva Candida (via Aurelia) e Porto (Fiumicino), mentre è ipotizzabile che venisse già utilizzato anche il sito della Torre dei Conti (già occupato dal Templum Telluris), edificata inizialmente verso il 867 da Niccolo I (probabilmente della gens Anicia, e forse antenato dei Conti di Tuscolo, comunque vicino alla loro estrazione) e poi completata da Innocenzo III (dei Conti di Segni, nato a Gavignano, già dal 1153 feudo di Giordano dei Conti di Tuscolo, e quindi loro discendente diretto).
La potente casa baronale ha nel periodo del suo acme la proprietà anche di zone costiere (Gregorio I è prefecto navalis) come Nettuno, Torre Astura e Terracina (questa sulla via Latina), inoltre fra i monti Lepini e la palude Pontina possiede Ninfa e Norma (l’una al mezzo e l’altra alla fine delle loro vicende), la sua influenza si estende a zone della Tuscia come Galeria (via Clodia) Mazzano (valle del Treja), Celleno (sotto Viterbo, presso il lago di Bolsena) e Vico (presso il lago omonimo, successivamente distrutta dal papato), nella Sabina ha come alleata la filoimperiale abbazia di Farfa, e al sud ha rapporti di parentela con il duca di origine longobarda Gaumario di Salerno. I Conti di Tuscolo hanno come congiunti e discendenti più diretti i Conti di Galeria, i Conti di Segni, i Prefetti di Vico, i Monticelli da Tivoli, i Colonna, gli Annibaldi e i Frangipane, e hanno inoltre intrecci dinastici con discendenti dei carolingi (il papa Giovanni XIIl è figlio di Alberico II e di Alda, figlia di Ugo di Provenza), poi con la casa di Franconia (il conte Tolomeo II sposa una figlia naturale dell’imperatore Enrico V), e relazioni politiche con gli Ottoni (gli stretti e controversi rapporti fra Ottone I e Giovanni XII, e fra Ottone III e Gregorio I). Negli anni intorno al 1000 i Conti hanno anche amministrato, poi sostituiti dai loro rivali Crescenzi (che dal canto loro controllano Palestrina, Praeneste), l’ampio territorio di Tivoli (Tibur), sede vescovile e ducato autonomo, che spoliata di beni a favore dei Benedettini di Subiaco, arriva a diventare filoimperiale per difendersi contro Roma.
Le vicende di Tivoli rappresentano un parallelo piuttosto interessante a quelle di Tuscolo, ed un altro elemento di decodifica della storia “nascosta” di Roma, che riguarda non tanto i “monumenti” del centro storico e la straordinaria capacità di assimilazione e di ospitalità che l’Urbe testimonia nel carattere composito dell’epoca dei Re e dell’Impero, quanto la spietata pretesa di dominazione e la rigida impostazione militare e fiscale, a cui si collega la sistematica distruzione delle città ribelli, già dal Gregorovius messa in evidenza come azione tipica sia della fase dell’antica Repubblica romana che del Comune medioevale. E infatti della Tuscolo un tempo potente oggi non ne resta più traccia.

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Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005