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Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005

 CULTURA E COSTUME

Quanti corpi in fondo al mare?
(Federico Gentili) - È di profughi che si parla, e non generalmente di immigrati, quando si parla di asilo politico. Le nazionalità dei migranti che attraversano sempre più spesso tratte interminabili di mare riconducono lo sguardo verso paesi in conflitto. Eppure in Italia, unico paese in Europa, manca ancora una legge organica sul diritto d’asilo. Come è possibile? Qualche anno fa venne allestita al teatro Valle di Roma una rilettura degli “Eraclidi” di Euripide, una tragedia che testimonia come già 2500 anni fa fosse ritenuto un dovere aiutare quanti volessero mettersi alle spalle difficili percorsi di vita. La vicenda della stirpe di Eracle, che trova rifugio sotto la protezione di Demofonte, era ambientata nella civilissima Atene. Il teatro greco, che non è la tv, parla di esseri umani che continuano a vivere anche dopo che si è cambiato canale. Perché questa gente scappa? Perché le madri decidono di imbarcarsi, mettendo a repentaglio la vita dei propri figli? Ci sono i somali che scappano da una situazione di anarchia totale. Ci sono i sudanesi. E della Liberia e della Sierra Leone? Situazioni in cancrena, in cui gli interessi in ballo sono tanti, dove i negoziati di pace non riescono a vedere la luce perché ha sempre la meglio chi rema contro. Queste sono situazioni che generano fuga. Come si fa a diminuire il numero di persone che cade in mano dei trafficanti e che poi muore? Per Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu, occorrono strategie ben precise: «Prima di tutto investendo maggiori risorse nei primi paesi di asilo, i paesi confinanti nella regione di crisi. Facciamo un esempio: i rifugiati della Sierra Leone che scappano in Guinea, dove la sopravvivenza è minima, dove si vive nella paura che i gruppi ribelli arrivino nei campi per terrorizzare la popolazione. Se si riuscisse a fornire un livello maggiore di assistenza, se si aiutasse la Guinea ad accogliere in modo migliore queste persone, investendo risorse che aiutino la comunità locale e vadano a vantaggio dell’intera popolazione; allora, forse, si riuscirebbe a fermare il viaggio dei profughi». Per ora i rifugiati “italiani” quando parlano con i loro parenti e amici sparsi nel resto d’Europa si accorgono che negli altri stati avrebbero avuto addirittura diritto a un sussidio. Nella sfortuna, non possono proprio dire di essere stati fortunati ad arrivare da noi.

 CULTURA E COSTUME

Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005