Dura cervice
(Vincenzo Andraous) - È singolare come sulla guerra gli
estremisti di ogni sponda ammettono l’uso della forza, ci sono quelli che
accettano l’uso di una violenza che sana altra violenza, con la pretesa di
non esagerare troppo, e ci sono quegli altri che ancora non conoscono il
colore del sangue, e non stanno da nessuna parte, se non con l’utopia
della creazione di un mondo perfetto. In questa ottica c’è la nascita di
un nuovo stradario, più modesto dello scudo spaziale, ma certamente più
consono alla realizzazione di un rispettabile inferno, salvo poi chiederci
chi riuscirà a controllare i lucifero in maschera e i cherubini in armi.
C’è davvero un grande spreco di sfide agli intendimenti, agli inganni;
quando invece i morti sono morti, la guerra è guerra, i soldi sono soldi,
il potere è potere…Occorre chiamare le cose e le persone con il loro nome,
avere il coraggio di indicare, sì, la strada maestra, ma dopo avere
percorso per intero le vie laterali, quelle che hanno prodotto il
presente. Indipendentemente dalla ragione o dalla compassione, c’è
dispendio di immagini e di proclami, ma il cratere è in attesa di anime
vaganti, un cratere che s’allarga e vomita tolleranze che non sono
vissute, tanto meno convissute.
È paura che procede spedita sotto i cingoli di quelli che non ammettono
cedimenti pur di lasciare comunque un segno del proprio passaggio, perché
“c’ero anch’io”, poco importa se a Bagdad o ad Assisi.
È novena dei defunti, di ieri, di oggi, di domani.
Nuovamente ci rifugiamo nella giustizia che corre con occhi bendati
sull’analfabetismo emotivo che ci coglie ogni qualvolta siamo chiamati a
porvi rimedio.
Ci stiamo abituando alla guerra vera, ai morti sul selciato, a quelli che
ancora respirano ma sono ruderi ambulanti.
Ma nonostante questo palcoscenico mondiale, che non è affatto un proscenio
virtuale, persiste la caduta di stile in cui inciampiamo, che non è
patologia della dislessia. È qualcosa di peggio, è corruzione del
linguaggio, è autoipnosi della parola attraverso una reazione che non ha
mediazione, perché l’angoscia e l’inquietudine albergano tra i nostri
possedimenti, non certamente nella disperazione e nel dolore di quanti a
brandelli cadono giù dal settantesimo piano di un grattacielo, o di quanti
saltano per aria a causa di qualche uomobomba.
Di fronte a tutto ciò, è il caso di smetterla con i convincimenti che
esistono divinità e civiltà contrapposte, persino un Dio con più cognomi
altisonanti. Forse è il caso di ridimensionare l’uso di una etimologia di
tendenza, e affermare che guerra santa e guerra vera, entrambe possiedono
l’abito mentale dell’assassino.
Forse è il caso di curarci delle parole che pesano e contano per davvero,
per indurci infine a curarci di più delle persone… anche quelle che
solamente… tolleriamo. |