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Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005

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Dura cervice
(Vincenzo Andraous) - È singolare come sulla guerra gli estremisti di ogni sponda ammettono l’uso della forza, ci sono quelli che accettano l’uso di una violenza che sana altra violenza, con la pretesa di non esagerare troppo, e ci sono quegli altri che ancora non conoscono il colore del sangue, e non stanno da nessuna parte, se non con l’utopia della creazione di un mondo perfetto. In questa ottica c’è la nascita di un nuovo stradario, più modesto dello scudo spaziale, ma certamente più consono alla realizzazione di un rispettabile inferno, salvo poi chiederci chi riuscirà a controllare i lucifero in maschera e i cherubini in armi.
C’è davvero un grande spreco di sfide agli intendimenti, agli inganni; quando invece i morti sono morti, la guerra è guerra, i soldi sono soldi, il potere è potere…Occorre chiamare le cose e le persone con il loro nome, avere il coraggio di indicare, sì, la strada maestra, ma dopo avere percorso per intero le vie laterali, quelle che hanno prodotto il presente. Indipendentemente dalla ragione o dalla compassione, c’è dispendio di immagini e di proclami, ma il cratere è in attesa di anime vaganti, un cratere che s’allarga e vomita tolleranze che non sono vissute, tanto meno convissute.
È paura che procede spedita sotto i cingoli di quelli che non ammettono cedimenti pur di lasciare comunque un segno del proprio passaggio, perché “c’ero anch’io”, poco importa se a Bagdad o ad Assisi.
È novena dei defunti, di ieri, di oggi, di domani.
Nuovamente ci rifugiamo nella giustizia che corre con occhi bendati sull’analfabetismo emotivo che ci coglie ogni qualvolta siamo chiamati a porvi rimedio.
Ci stiamo abituando alla guerra vera, ai morti sul selciato, a quelli che ancora respirano ma sono ruderi ambulanti.
Ma nonostante questo palcoscenico mondiale, che non è affatto un proscenio virtuale, persiste la caduta di stile in cui inciampiamo, che non è patologia della dislessia. È qualcosa di peggio, è corruzione del linguaggio, è autoipnosi della parola attraverso una reazione che non ha mediazione, perché l’angoscia e l’inquietudine albergano tra i nostri possedimenti, non certamente nella disperazione e nel dolore di quanti a brandelli cadono giù dal settantesimo piano di un grattacielo, o di quanti saltano per aria a causa di qualche uomobomba.
Di fronte a tutto ciò, è il caso di smetterla con i convincimenti che esistono divinità e civiltà contrapposte, persino un Dio con più cognomi altisonanti. Forse è il caso di ridimensionare l’uso di una etimologia di tendenza, e affermare che guerra santa e guerra vera, entrambe possiedono l’abito mentale dell’assassino.
Forse è il caso di curarci delle parole che pesano e contano per davvero, per indurci infine a curarci di più delle persone… anche quelle che solamente… tolleriamo.

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Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005