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Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005

 SPETTACOLI

1799, La rivoluzione mancata
Commento al  film Il resto di niente di Antonietta De Lillo
(Antonino Musicò) - Sembrerebbe poco attraente parlare di rivoluzione all’inizio del terzo millennio, quando la rivoluzione, intesa come ribaltamento o nemesi dell’ordine costituito, è diventata anche nel lessico, un termine obsoleto se non inutile, e quanto rimane del suo afflato romantico lo scorgiamo in singolari primi piani di alcuni rivoluzionari che campeggiano come icone piatte su splendide t-shirt, nei mercati rionali o nelle vetrine dei negozi più trandy delle boteriane città occidentali, d’altronde le utopie e gli ideali che hanno informato i movimenti rivoluzionari della nostra storia si sono sciolti in una strana melassa di concetti e idee sulla comunità globale e sulla nuova democrazia mondiale da cui non si prescinde più, i concetti, non sempre chiari, di rete globale, democrazia partecipata e di impero e moltitudine hanno preso il posto di termini come massa, lotta di classe, abbattimento dello stato borghese e prima ancora, di Repubblica e indipendenza. In effetti il mutamento del linguaggio corrisponde a quello della storia e delle velleità dei popoli, il fine da perseguire è cambiato in funzione delle prospettiva teleologica dell’uomo. La rivoluzione come catarsi, rinnovamento, checché se ne dica, è confluita nell’alveo del cosiddetto riformismo mondiale. Quindi una discussione sulla rivoluzione, oggi, appare anacronistica ancorché inutile ma se rivolgiamo lo sguardo attentamente alle vicende umane più che a quelle storiche, ci accorgiamo che  il bisogno di sondare il nostro passato attraverso gli uomini e le donne che lo hanno segnato è assolutamente utile se non indispensabile, per avere qualche riferimento all’interno di una civiltà assai difficile da decifrare. Molto probabilmente il concetto di rivoluzione ha a che fare con quello di modernità mentre l’epoca post moderna non contiene più i codici che lo determinavano. Insomma, quella della rivoluzione è un’immagine senza corpo o comunque di un corpo senza vitalità che viene ridestato dalle rappresentazioni che di esso se ne fanno e che ancora agitano il nostro immaginario. Probabilmente vi sono degli episodi della nostra storia ancora non interamente metabolizzati o non compresi del tutto, che hanno la peculiare caratteristica di ridestare delle energie che sembravano sopite, insieme a  delle domande che non hanno ancora trovato risposta. È per questo che la regista Antonietta De Lillo, dopo cinque anni di peripezie produttive è riuscita caparbiamente a terminare il suo film sulla Rivoluzione napoletana del 1799. Il resto di niente, che è la storia di Eleonora Pimentel De Fonseca, tratto dal romanzo omonimo di Enzo Striano, che diversamente dal testo sintetizza, nelle due ore precedenti l’esecuzione della donna, la vicenda legata alla rivoluzione giacobina del 1799 a Napoli di cui “donna Eleonora” è stata eroica protagonista. Ma cosa è stata questa rivoluzione? Perché ancora aleggia come un fantasma su di noi e su un popolo che dopo più di due secoli la ricorda ancora come un’occasione mancata,  l’occasione che ha lasciato un marchio indelebile sul futuro della città e forse del sud Italia, un forte senso di castrazione che ne ha determinato successivamente le scelte, l’accontentarsi di quello che passa il convento; l’arrangiarsi con quello che si ha, agendo all’interno del cosiddetto familismo amorale di cui ancora tutto il meridione è marchiato. Una delle risposte, appunto, potrebbe trovare luce dall’analisi delle vicende legate alla rivoluzione del 1799 e nel personaggio simbolo - nella sua assoluta modernità e allo stesso tempo fragilità femminile - di Eleonora de Fonseca Pimentel, che in un particolare momento storico per l’Europa, decise di dare voce e sostanza all’esperienza giacobina in una Napoli lazzarona, sudicia, senza coscienza della propria condizione e insieme ad altri personaggi appartenenti alla borghesia e aristocrazia napoletana condusse una vera e propria rivoluzione borghese e illuminista. Però, come si sa, le rivoluzioni hanno successo quando sussiste anche una reale e consapevole adesione popolare e che se un popolo, come quello napoletano, non riuscì ad accogliere le istanze del 1799,  è perché non era preparato a scegliere il proprio sogno ma abituato a far parte di quello degli altri.
Il film, dopo cinque anni di traversie e difficoltà produttive varie, arriva nelle sale italiane, si spera con meno problemi nella distribuzione, la protagonista del film è Maria de Medeiros, un’attrice portoghese come Eleonora, che coniuga la delicatezza alla grande determinazione che il personaggio della Pimentel esige. Nel film, molti dei luoghi descritti nel romanzo mancano, non vi è traccia della breve esperienza romana di Eleonora, del viaggio e delle emozioni suscitate dalla città del golfo, tutto è concentrato nelle due ore prima della sua morte, ore in cui è l’afflato elegiaco a dominare, tra la prigione e la sua abitazione, dove compare un personaggio assente nel romanzo e in quello specifico contesto storico, il filosofo-giurista Gaetano Filangieri (morto nel 1788), interpretato da Enzo Moscato, cui Eleonora racconta con acutezza e intelligenza  cosa sia stata questa utopia cui molti giovani napoletani hanno dedicato la propria vita, cosa sia stata la sua di vita: un figlio morto, un marito impostole e brutale e l’amore per una strana città italiana, cui gli eventi l’hanno costretta a una rivoluzione, non ancora pronta per fare a meno di un padre e di un Re. Nel film della De Lillo non c’è spazio né per il melodramma (di Rivombrosa memoria) né per la descrizione storica minuziosa, c’è la forte consapevolezza del fallimento di un sogno in cui è imprigionata ancora un’anima bella, quella di donna Eleonora.

 SPETTACOLI

Sommario anno XIV numero 5 - maggio 2005