Anche la Kefiah in mano cinese
La Kefiah, copricapo tradizionale della cultura araba, divenuta simbolo della lotta palestinese contro l’occupazione israeliana da quando Yaser Arafat
cominciò ad indossarla alla maniera tradizionale (avvolta attorno alla testa e legata da un egal), non viene prodotta più da artigiani o industrie palestinesi. Prima del 2000 esistevano nei Territori palestinesi 120 fabbriche di questo tipo. Oggi ne sono rimaste 10 che lavorano a ritmo ridotto come nella piccola impresa della famiglia Hirbawi: quattro macchine e solo per due ore al giorno. “La vendita è crollata, e non riusciamo a stare al passo con i prezzi sempre più competitivi della Cina e di altri paesi che producono tessuti di bassa qualità” ha raccontato all’agenzia di stampa palestinese Maan uno dei figli del proprietario. Loro ancora producono kefiah palestinesi originali al 100%, nei colori tradizionali, bianco e nero o rosso e nero, di seta, quelle più preziose, oppure di cotone o lana. La famiglia Hirbawi vive ad Hebron ed è dal 1961 che produce e vende il “simbolo” che più identifica la Palestina. La loro attività è anche una lotta contro l’occupazione israeliana e contro la globalizzazione. Negli anni ’80, quelli della prima Intifada, la produzione di kefiah in Cisgiordania era salita a 1000 pezzi al giorno, ma oggi, se ne tessono appena 60 e a giorni alterni. Quelli importate dai cinesi sono di qualità scadente, colorate chissà con quali sostanze, ma costano solo due dollari e mezzo. Come dice il figlio di Hirbawi: “Oggi tutti sembrano aver dimenticato le lotte degli anni ’80 e ’90, durante i quali la kefiah veniva indossata dai giovani europei che manifestavano il loro sostegno alla causa palestinese. L’apatia è commerciale ma anche politica. La kefiah sostiene un ideale, un’identità e la nostra storia. Non è una moda”. Già “non è una moda”. Chissà se i nostri giovani che indossano oggi kefiah di mille colori conoscono la sua storia. (fonte misna)
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