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Africa: tra diamanti e lacrime…quale avvenire, per loro e per noi?

Africa: tra diamanti e lacrime…quale avvenire, per loro e per noi?
Marzo 01
02:00 2007

fameQualche settimana fa, assieme alla mia ragazza, sono andato a visionare un film: Blood Diamond, interpretato da Leonardo Di Caprio, Jennifer Connelly, Djimon Hounsou, Michael Sheen, Arnold Vosloo e con la regia di Stephen Zwick.
Gli avvenimenti raccontati da quell’occasionale pellicola, mi hanno fatto molto riflettere. E, facendomi meditare, mi hanno ugualmente invogliato a riassumere quel mio stato d’animo in un testo che, spero, possa fungere, a sua volta, da semplice sprone, per una più ampia ed articolata riflessione collettiva. Cominciamo con ordine. Parliamo brevemente del film in questione.
La pellicola a cui mi sto riferendo, racconta la storia di due uomini, ambedue africani e molto diversi fra di loro: il primo, è un pescatore della Sierra Leone (che non chiede altro che di vivere in pace, pur sognando, per suo figlio, un futuro migliore); il secondo, è un ex militare dei ‘reparti speciali’ dell’Africa del Sud, un personaggio che – dopo la fine della guerra fredda – si è riciclato nel ‘mestiere’ di mercenario/contrabbandiere, mettendosi al servizio di una grossa multinazionale britannica.
Sappiamo che la Sierra Leone è una “terra fertile”, per questo genere di traffici.
Il Paese è dilaniato da una sanguinosa Guerra civile che vede ufficialmente fronteggiarsi, da un lato, il Governo in carica (una compagine di persone corrotte e corruttrici che non riesce a garantire un minimo di stabilità alla popolazione che pretende governare) e, dall’altro, i Guerriglieri del ‘Revolutionary United Front’ (RUF), un gruppo di pseudo-rivoltosi che – per la loro mentalità tribale (“chi vince, piglia tutto”!) – non solo non tengono in nessun conto l’avvenire della loro Nazione ma, nel corso delle loro usuali e cruente scorrerie, si comportano addirittura come dei veri e propri ‘despoti’. In altri termini, fanno indiscriminatamente prigionieri, tra i civili, esclusivamente per farli lavorare, come loro “schiavi”, nelle miniere di diamanti che, di tanto in tanto, riescono ad occupare militarmente. E chi non accetta di svolgere quel compito, è semplicemente massacrato e, nel migliore dei casi, cinicamente mutilato degli arti. Questo, senza contare gli stupri e le violenze che hanno l’abitudine di infliggere alle donne catturate, e l’arruolamento forzato che impongono ai bambini ed agli adolescenti di quelle regioni.
Nel corso della trama del film, c’è una scena impressionante, in cui appaiono dei ragazzini che vanno all’attacco di un villaggio, imbracciando dei Kalashnikov che, a confronto con le loro minute e gracili corporature, appaiono davvero enormi e sproporzionati. Ed un’altra, in cui uno di loro porta dietro alla schiena uno zainetto, come quelli che sono utilizzati dai nostri bambini, per andare a scuola. La cosa assurda (ed, in un certo senso, senz’altro pietosa…), è che qualcuno degli spettatori, davanti a quelle scene, si è messo addirittura a ridere! Il film prosegue con la scena di un gruppo di guerriglieri che attacca un villaggio di pescatori. Vengono fatti dei prigionieri. Tra questi, un pescatore, padre di famiglia, che viene obbligato a setacciare la sabbia del fiume per cercare diamanti, e suo figlio più grande che viene forzatamente arruolato, come soldato. Miglior destino, in quel frangente, per sua moglie e due dei suoi figli più piccoli che riescono a fuggire ed a raggiungere la vicina Guinea, dove saranno internati in un campo profughi. Il pescatore di cui sopra, mentre sta setacciando le acque del fiume – sotto l’occhio vigile dei guerriglieri che lo hanno catturato – trova un bellissimo diamante grezzo. E, credendo di non essere stato notato da nessuno, decide di tenerselo per sé, trafugandolo.
In una scena successiva, il medesimo pescatore, assieme ad altri prigionieri, viene trasferito in un carcere di Freetown. Una volta rinchiuso in cella, fa conoscenza con l’altro protagonista del film: l’ex militare dei ‘reparti speciali’ dell’Africa del Sud, diventato, nel frattempo, mercenario/contrabbandiere, di cui ho già accennato. Quest’ultimo, infatti, si era fortuitamente ritrovato nella medesima prigione, in quanto era stato arrestato, per contrabbando di diamanti, mentre tentava furtivamente di varcare la frontiera, per raggiungere la Liberia.
Tutto ad un tratto, all’interno di quel reclusorio, il mercenario/contrabbandiere si trova involontariamente ad origliare un’interessante conversazione: quella intavolata dal suddetto pescatore che – credendo di non essere stato notato da nessuno – si era impossessato del diamante, ed uno dei guerriglieri che, invece – non solo lo aveva immediatamente riconosciuto, ma – si era perfettamente accorto, sul fiume, dell’appropriazione indebita di quella pietra preziosa da parte sua. Il film prosegue con la scarcerazione dei due protagonisti. Ed una volta all’ “aria libera”, il mercenario/contrabbandiere (che era interessato al diamante nascosto dal pescatore) – in un contesto di cruente battaglie di strada e di spaventosi massacri all’interno della città di Freetown – convince il suo interlocutore ad accettare il suo aiuto. In altre parole, il mercenario/contrabbandiere aiuterà il pescatore a ritrovare la sua famiglia ed, in cambio, il pescatore svelerà a quest’ultimo il nascondiglio della pietra preziosa.
Non mi dilungherò a raccontare le altre scene del film, in quanto – a mio giudizio – quest’ultimo vale davvero la pena di essere visionato. Soprattutto, per rendersi conto e comprendere l’attuale dramma dell’Africa.
Già, l’Africa… Questo meraviglioso continente che invece di sfruttare o depredare dovremmo piuttosto tentare di amare e di preservare, proprio come si dovrebbe fare con un “fratello più piccolo” che muove i primi passi.
Inutile, in questo contesto, ripercorrere, nei dettagli, la Storia dell’Africa. Conosciamo benissimo le diverse fasi storiche che ha attraversato quel Continente, negli ultimi 300 anni: la colonizzazione europea; la decolonizzazione; il neo-colonialismo, camuffato da indipendenza; le indirette implicazioni nella “guerra fredda”; le dittature autoctone, sia al servizio dell’Occidente che dell’URSS; il ritorno al tribalismo; le infinite guerre civili; l’attuale emigrazione di massa, ecc.
Che fare, dunque? Lasciamo tutto così com’è? E continuiamo a vendere loro armi, rifilare loro (sotto banco..) i nostri rifiuti tossici, corrompere le loro élite, sottrarre loro le ricchezze, organizzare la loro emigrazione (per meglio sottomettere e sfruttare i loro Paesi)? Oppure, pensiamo che sia giunta l’ora di dire basta a questa maniera immorale di relazionare con le popolazioni di quel Continente? E qualora si decidesse di mettere un termine ai nostri subdoli e sfrontati egoismi, che tipo di “politica” potremmo proporre a quelle genti? Vogliamo continuare a concedere “prestiti” ai Governi dei Paesi dell’Africa che – oltre ad “ingrassare” esclusivamente i loro politicanti corrotti e ad aumentare il loro “debito estero” (che non sarà, da loro, mai restituito!) – contribuiscono ad impoverire ancora di più le masse di quelle Nazioni ed a favorire una loro maggiore emigrazione? Oppure, con gli stessi soldi, vogliamo tentare di sponsorizzare le nostre imprese nazionali, con cospicui sgravi fiscali, affinché siano incoraggiate ad investire in quel Continente (e sottolineo, ‘investire’… non andare là per sfruttare!), per organizzare e finanziare, ad esempio, in quei Paesi, programmi di sviluppo, corsi di formazione, borse di studio per i ragazzi, costruzioni di scuole, ospedali, biblioteche e ludoteche che permettano la creazione di una futura classe dirigente, competente, responsabile ed autosufficiente.
A me non sembra che ci siano altre soluzioni alternative. La guerra in Irak, ci ha insegnato che la democrazia non si può esportare con i cannoni, né tanto meno con le utopie sbandierate dai diversi gruppi pseudo-pacifisti che hanno l’abitudine, per affermare le loro “idee”, di contribuire a devastare le città che ospitano i vari Summit internazionali.
Certo: un “altro mondo” è possibile. Ma invece di continuare, come al solito, a “guardare dietro”… incominciamo, per una volta, a guardare davanti. Non è soltanto l’avvenire delle popolazioni dell’Africa che è in gioco, ma anche quello delle nostre.
Bibliografia
1) Davide Rondoni, quattro giorni, quaranta anni con padre Bepi in Sierra Leone, Bur Milano, 2006. 168 pp., Euro 8.60. È la testimonianza del missionario saveriano Giuseppe Berton in Sierra Leone durante la guerra civile e la sua opera per sottrarre i bambini soldato alla guerriglia.
2) Renato Kizito Sesana, Shikò. Una bambina di strada, Sperling & Kupfer Editori, Milano 2006, 236 pp., euro 16. È la drammatica storia di una delle tante bambine di strada di Nairobi in Kenya, una piccola storia che non è soltanto la storia di una bambina ma rappresenta anche la storia di un continente che subisce abusi, violenze e guerre di ogni genere. Qualche settimana fa, assieme alla mia ragazza, sono andato a visionare un film: Blood Diamond, interpretato da Leonardo Di Caprio, Jennifer Connelly, Djimon Hounsou, Michael Sheen, Arnold Vosloo e con la regia di Stephen Zwick.
Gli avvenimenti raccontati da quell’occasionale pellicola, mi hanno fatto molto riflettere. E, facendomi meditare, mi hanno ugualmente invogliato a riassumere quel mio stato d’animo in un testo che, spero, possa fungere, a sua volta, da semplice sprone, per una più ampia ed articolata riflessione collettiva.
Cominciamo con ordine. Parliamo brevemente del film in questione.
La pellicola a cui mi sto riferendo, racconta la storia di due uomini, ambedue africani e molto diversi fra di loro: il primo, è un pescatore della Sierra Leone (che non chiede altro che di vivere in pace, pur sognando, per suo figlio, un futuro migliore); il secondo, è un ex militare dei ‘reparti speciali’ dell’Africa del Sud, un personaggio che – dopo la fine della guerra fredda – si è riciclato nel ‘mestiere’ di mercenario/contrabbandiere, mettendosi al servizio di una grossa multinazionale britannica.
Sappiamo che la Sierra Leone è una “terra fertile”, per questo genere di traffici.
Il Paese è dilaniato da una sanguinosa Guerra civile che vede ufficialmente fronteggiarsi, da un lato, il Governo in carica (una compagine di persone corrotte e corruttrici che non riesce a garantire un minimo di stabilità alla popolazione che pretende governare) e, dall’altro, i Guerriglieri del ‘Revolutionary United Front’ (RUF), un gruppo di pseudo-rivoltosi che – per la loro mentalità tribale (“chi vince, piglia tutto”!) – non solo non tengono in nessun conto l’avvenire della loro Nazione ma, nel corso delle loro usuali e cruente scorrerie, si comportano addirittura come dei veri e propri ‘despoti’. In altri termini, fanno indiscriminatamente prigionieri, tra i civili, esclusivamente per farli lavorare, come loro “schiavi”, nelle miniere di diamanti che, di tanto in tanto, riescono ad occupare militarmente. E chi non accetta di svolgere quel compito, è semplicemente massacrato e, nel migliore dei casi, cinicamente mutilato degli arti. Questo, senza contare gli stupri e le violenze che hanno l’abitudine di infliggere alle donne catturate, e l’arruolamento forzato che impongono ai bambini ed agli adolescenti di quelle regioni.
Nel corso della trama del film, c’è una scena impressionante, in cui appaiono dei ragazzini che vanno all’attacco di un villaggio, imbracciando dei Kalashnikov che, a confronto con le loro minute e gracili corporature, appaiono davvero enormi e sproporzionati. Ed un’altra, in cui uno di loro porta dietro alla schiena uno zainetto, come quelli che sono utilizzati dai nostri bambini, per andare a scuola. La cosa assurda (ed, in un certo senso, senz’altro pietosa…), è che qualcuno degli spettatori, davanti a quelle scene, si è messo addirittura a ridere! Il film prosegue con la scena di un gruppo di guerriglieri che attacca un villaggio di pescatori. Vengono fatti dei prigionieri. Tra questi, un pescatore, padre di famiglia, che viene obbligato a setacciare la sabbia del fiume per cercare diamanti, e suo figlio più grande che viene forzatamente arruolato, come soldato. Miglior destino, in quel frangente, per sua moglie e due dei suoi figli più piccoli che riescono a fuggire ed a raggiungere la vicina Guinea, dove saranno internati in un campo profughi. Il pescatore di cui sopra, mentre sta setacciando le acque del fiume – sotto l’occhio vigile dei guerriglieri che lo hanno catturato – trova un bellissimo diamante grezzo. E, credendo di non essere stato notato da nessuno, decide di tenerselo per sé, trafugandolo.
In una scena successiva, il medesimo pescatore, assieme ad altri prigionieri, viene trasferito in un carcere di Freetown. Una volta rinchiuso in cella, fa conoscenza con l’altro protagonista del film: l’ex militare dei ‘reparti speciali’ dell’Africa del Sud, diventato, nel frattempo, mercenario/contrabbandiere, di cui ho già accennato. Quest’ultimo, infatti, si era fortuitamente ritrovato nella medesima prigione, in quanto era stato arrestato, per contrabbando di diamanti, mentre tentava furtivamente di varcare la frontiera, per raggiungere la Liberia.
Tutto ad un tratto, all’interno di quel reclusorio, il mercenario/contrabbandiere si trova involontariamente ad origliare un’interessante conversazione: quella intavolata dal suddetto pescatore che – credendo di non essere stato notato da nessuno – si era impossessato del diamante, ed uno dei guerriglieri che, invece – non solo lo aveva immediatamente riconosciuto, ma – si era perfettamente accorto, sul fiume, dell’appropriazione indebita di quella pietra preziosa da parte sua. Il film prosegue con la scarcerazione dei due protagonisti. Ed una volta all’ “aria libera”, il mercenario/contrabbandiere (che era interessato al diamante nascosto dal pescatore) – in un contesto di cruente battaglie di strada e di spaventosi massacri all’interno della città di Freetown – convince il suo interlocutore ad accettare il suo aiuto. In altre parole, il mercenario/contrabbandiere aiuterà il pescatore a ritrovare la sua famiglia ed, in cambio, il pescatore svelerà a quest’ultimo il nascondiglio della pietra preziosa.
Non mi dilungherò a raccontare le altre scene del film, in quanto – a mio giudizio – quest’ultimo vale davvero la pena di essere visionato. Soprattutto, per rendersi conto e comprendere l’attuale dramma dell’Africa.
Già, l’Africa… Questo meraviglioso continente che invece di sfruttare o depredare dovremmo piuttosto tentare di amare e di preservare, proprio come si dovrebbe fare con un “fratello più piccolo” che muove i primi passi.
Inutile, in questo contesto, ripercorrere, nei dettagli, la Storia dell’Africa. Conosciamo benissimo le diverse fasi storiche che ha attraversato quel Continente, negli ultimi 300 anni: la colonizzazione europea; la decolonizzazione; il neo-colonialismo, camuffato da indipendenza; le indirette implicazioni nella “guerra fredda”; le dittature autoctone, sia al servizio dell’Occidente che dell’URSS; il ritorno al tribalismo; le infinite guerre civili; l’attuale emigrazione di massa, ecc.
Che fare, dunque? Lasciamo tutto così com’è? E continuiamo a vendere loro armi, rifilare loro (sotto banco..) i nostri rifiuti tossici, corrompere le loro élite, sottrarre loro le ricchezze, organizzare la loro emigrazione (per meglio sottomettere e sfruttare i loro Paesi)? Oppure, pensiamo che sia giunta l’ora di dire basta a questa maniera immorale di relazionare con le popolazioni di quel Continente? E qualora si decidesse di mettere un termine ai nostri subdoli e sfrontati egoismi, che tipo di “politica” potremmo proporre a quelle genti? Vogliamo continuare a concedere “prestiti” ai Governi dei Paesi dell’Africa che – oltre ad “ingrassare” esclusivamente i loro politicanti corrotti e ad aumentare il loro “debito estero” (che non sarà, da loro, mai restituito!) – contribuiscono ad impoverire ancora di più le masse di quelle Nazioni ed a favorire una loro maggiore emigrazione? Oppure, con gli stessi soldi, vogliamo tentare di sponsorizzare le nostre imprese nazionali, con cospicui sgravi fiscali, affinché siano incoraggiate ad investire in quel Continente (e sottolineo, ‘investire’… non andare là per sfruttare!), per organizzare e finanziare, ad esempio, in quei Paesi, programmi di sviluppo, corsi di formazione, borse di studio per i ragazzi, costruzioni di scuole, ospedali, biblioteche e ludoteche che permettano la creazione di una futura classe dirigente, competente, responsabile ed autosufficiente.
A me non sembra che ci siano altre soluzioni alternative. La guerra in Irak, ci ha insegnato che la democrazia non si può esportare con i cannoni, né tanto meno con le utopie sbandierate dai diversi gruppi pseudo-pacifisti che hanno l’abitudine, per affermare le loro “idee”, di contribuire a devastare le città che ospitano i vari Summit internazionali.
Certo: un “altro mondo” è possibile. Ma invece di continuare, come al solito, a “guardare dietro”… incominciamo, per una volta, a guardare davanti. Non è soltanto l’avvenire delle popolazioni dell’Africa che è in gioco, ma anche quello delle nostre.
Bibliografia
1) Davide Rondoni, quattro giorni, quaranta anni con padre Bepi in Sierra Leone, Bur Milano, 2006. 168 pp., Euro 8.60. È la testimonianza del missionario saveriano Giuseppe Berton in Sierra Leone durante la guerra civile e la sua opera per sottrarre i bambini soldato alla guerriglia.
2) Renato Kizito Sesana, Shikò. Una bambina di strada, Sperling & Kupfer Editori, Milano 2006, 236 pp., euro 16. È la drammatica storia di una delle tante bambine di strada di Nairobi in Kenya, una piccola storia che non è soltanto la storia di una bambina ma rappresenta anche la storia di un continente che subisce abusi, violenze e guerre di ogni genere.

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