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Al Bambino Gesù di Roma un progetto pilota:karate per controllare ansie e dolori

Aprile 10
13:09 2012

Roma.  E’ ormai noto il fatto che  l’avvicinamento alle arti marziali da parte degli adulti così come dei ragazzi e addirittura dei bambini  sia stato un grande vantaggio da un punto di vista fisico certo,

se si pensa alla flessibilità  e all’atleticità che molti degli esercizi richiedono, ma soprattutto da quello psicologico, in quanto ciascuna mossa  nasce  e si concretizza  solo dopo essere passata  per la porta della mente,  superando la prova  più importante, quella di aver saputo ottimizzare gli attimi a disposizione esclusivamente a vantaggio della concentrazione.  Le arti marziali possono essere un valido aiuto ai bambini che si ammalano di cancro e che devono affrontare un  triste, difficile e quasi mai non doloroso percorso di cura. Colpi di karate contro il dolore, la nausea, la paura dei dottori e della malattia. Ma anche per ritrovare un po’ di serenità e fiducia ancor prima che negli altri, in sé stessi. Parte da questi presupposti Kids Kicking Cancer, attivo da oltre un decennio negli Usa, nato su iniziativa di Rabbi Elimelech Goldberg, professore di pediatria alla Wayne  State  University  School of Medicine e che ora sbarca per la prima volta in Europa, all’ospedale pediatrico Bambino Gesù  di Roma,  dove è già stato avviato il progetto pilota, punto di partenza, per la neonata Kids Kicking Cancer Italia Onlus, per una diffusione più ampia sul territorio nazionale ( per saperne di più si può consultare il sito www.kidskickingcancer.it).  Negli Stati Uniti, il progetto Kids Kicking Cancer ha dimostrato che, nei piccoli coinvolti nello speciale programma sportivo, il dolore si riduce notevolmente  dell’88%. Ma l’obiettivo non è solo contenere gli effetti collaterali delle cure, quanto  tenere in considerazione e affrontare  a viso aperto gli aspetti psicologici, emozionali e sociali del piccolo paziente.  I bimbi che partecipano al progetto nella struttura romana  una volta alla settimana seguono la lezione di karate basata su tre parole: Power,  forza per riuscire ad affrontare qualsiasi situazione estrema; Peace, pace nel senso  di diventare consapevoli  della propria forza e quindi più vicini alla tranquillità interiore; Purpose, obiettivo finale, per fa sì che i bambini diventino, a loro volta, insegnanti della tecnica che hanno appreso, per far sviluppare anche agli altri la forza interiore che rende in grado di affrontare e controllare  rabbia, dolore, ansia, paura, stress. L’iniziativa, avviata tra i pazienti oncologici nella capitale, si sta via via allargando anche ai bambini affetti da fibrosi cistica e da altre patologie croniche. “Curare in oncologia pediatrica -spiega Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di onco-ematologia pediatrica del Bambino Gesù – vuol dire prendersi cura a tutto tondo del benessere psico-fisico dei pazienti e della loro famiglia e iniziative come queste contribuiscono a migliorare la qualità di vita dei piccoli, il loro contatto con le attività ludico-sportive e a canalizzare positivamente le tensioni legate al percorso di diagnosi e cura”. “Power, Peace, Purpose – spiega Rabbi Elimelech Goldberg fondatore e Direttore di Kids Kicking Cancer-  è la sintesi della nostra missione: attraverso esercizi di respirazione, rilassamento e meditazione, i bambini che partecipano ai nostri programmi imparano a gestire meglio il dolore e ad affrontare con maggiore determinazione, coraggio, ma anche serenità interiore la malattia e le terapie a cui devono sottoporsi. Ogni bambino diventa così, a sua volta, testimone e ambasciatore di questa filosofia, insegnando agli altri (fratelli, sorelle, genitori, nonni) le tecniche che ha appreso”. Il lavoro fatto con i bambini  “è soprattutto sull’emotività e sul loro atteggiamento mentale rispetto alla malattia, ma non solo- spiega Mark Palermo, neuropsichiatra, cintura nera di karate e direttore e coordinatore atletico di Kids Kicking Cancer Italia Onlus- insieme ai bambini del reparto di onco-ematologia che hanno iniziato a frequentare settimanalmente le nostre lezioni, stiamo creando una bellissima squadra e ci auguriamo di poterla al più presto ampliare, accogliendo tanti altri giovani pazienti in cura presso l’ospedale per altre patologie croniche gravi”.  Ci sono malattie che per la loro gravità, diventano  eventi, ma  eventi devastanti, che rendono le persone  vittime,  succubi di qualcosa a cui  non si è mai preparati veramente e per questo ci si convince che non esista alcuna via d’uscita o comunque alcuno spiraglio  che ci lasci sperare, dandoci  la giusta forza per non farsi vincere dall’idea della fine.   La  sofferenza quasi sempre oscura  gli altri stati d’animo e tanto più è perfida la malattia tanto più essa  diventa insopportabile e autoritaria. Ma come in tutte le difficoltà  bisogna riuscire a trovare quel barlume di luce (e se non c’è bisogna crearselo da soli ) che seppur  apparentemente debole,  possa  aiutare a vedere, considerare, affrontare  con la vera coscienza il problema e magari uscirne vincitori.  Sì proprio così, perché anche se ci sono volte in cui  alla morte non si può chiedere una seconda chance, comunque l’aver vissuto in prima persona e con le persone più vicine certe sensazioni, certi momenti, cambia, ma cambia talmente nel profondo che la forza scoperta e guadagnata, proprio per l’alto prezzo che è costata, resterà per sempre. Ed è per questo che l’obiettivo della Associazione  può essere visto come una grande occasione di svago, di  apparente  fuga dalla realtà, da certi giorni appena vissuti, da altri che verranno, ma allo stesso tempo offre  un  altro possibile esempio di assistenza. Eseguire esercizi fisici, studiare la mossa giusta,  valutare la reazione di fronte, scambiarsi  o trasmettersi pensieri  è un intenso momento di riflessione  sugli altri e su se stessi per continuare ad avere fiducia e sperare. Conoscendo, ma forse sarebbe più giusto dire riconoscendo sé stessi, si può conoscere il mondo e capire che tutti in fondo, abbiamo qualcosa che ci accomuna. Un po’ come in orchestra,  dove  tanti soggetti suonano il loro strumento, con il loro talento, ma nello stesso tempo e nello stesso spazio.

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