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Appunti di un insegnante – 2

Gennaio 18
23:10 2010

Minimizzare: questo siamo soliti fare quando i ragazzi a scuola non sono attenti o, dopo ore di spiegazione, li vedi alzare una mano e chiedere di poter andare al bagno. Cavoli! pensi, ma possibile che non hanno nulla nella testa? ti chiedi. Certo bisogna essere proprio sordi, quando a tutti costi pur parlando di avanguardie, di tecnologie avanzate e quant’altro, ci teniamo a credere o a volere che i nostri uditori, gli studenti, siano sempre uguali. Non siamo uguali neanche noi docenti, a volte incompresi, a volte sfiduciati a volte corridori su strade non asfaltate verso il posto fisso e perdiamo, non volendo e per fragile umanità, il senso della nostra professione. Siamo sordi, quando non ascoltiamo quella sensazione che ci ha portati fino a lì, in quella scuola, in quella classe e miseri arranchiamo affannati verso lidi che politiche diverse cambiano, smontato e rimontano come un grande set ogni anno, ogni legislazione. Siamo sordi, quando non sentiamo il brusio di giovani che dietro ai banchi forse vecchi, non puliti o, se fortunati, nuovi e con un personal computer acceso, con gli occhi, parlano. Dicono e raccontano del loro disagio che a volte è anche il nostro, delle opportunità negate da uno Stato – lo stesso che studiano a diritto e a storia e dove magari hanno preso anche la sufficienza – delle speranze che noi docenti, proprio noi, spesso gli neghiamo. Chi ci ascolta? Lo diciamo entrambi, studenti e docenti, che si guardano e che stanno uno di fronte all’altro o di fianco, ma la risposta? Non c’è o non ci piace o meglio ancora non sappiamo darla. Le difficoltà del precariato sociale, familiare e affettivo ci sfiancano e così rimaniamo sordi a noi e a loro.
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, quando noi, anche noi docenti, che dovremmo consegnare e trasmettere ai ragazzi degli strumenti per una capacità critica di valutare non sono il libro su cui studiano, ma la vita stessa, gli neghiamo l’opportunità di lottare, di andare avanti, di progettare il loro futuro o almeno di sognare e sperare di poterlo costruire. Siamo sordi, ma ascoltiamo ipnotizzati e anestetizzati i richiami flebili di chi vuole toglierci anche le energie, facendoci distrarre con nuove attacchi alla scuola, agli studenti, ai docenti, all’insegnamento: il precariato, questa grande parole troppo di moda non deve essere una giustificazione, ma una forza per fare meglio insieme.
Non perdiamo di vista assolutamente il nostro mestiere, la nostra professione, i nostri ragazzi: siamo i sacerdoti dell’amore per la conoscenza.
Sembrano frasi da libro cuore? E perché per questo mestiere il cuore non ce lo vuoi mettere? Cosa ha messo Kant per scrivere la Critica della Ragion Pura e Dante per la Divina Commedia e Boole nei suoi studi sull’algebra e Leonardo Da Vinci e Galilei e Cavour e ancora , e ancora… non ci hanno messo forse il cuore, la passione, la curiosità, la progettualità? e non hanno dato a noi l’opportunità di andare avanti, l’opportunità di essere?
Coraggio, fra una mano alzata e l’altra di chi vuole andare al bagno, c’è anche chi al suonar della campanella ti dice: “Grazie professore adesso ho capito tante cose che mi serviranno per la vita, adesso ho capito perché a volte non riesco a farmi comprendere dagli altri o ad accettare me stesso e le diversità degli altri: adesso ho capito”. E per questo “adesso ho capito”, dovremmo far salti mortali, dovremmo stappare le orecchie. A chi lo fa tutti i giorni con coraggio e senza compromessi dico di continuare insieme così, a chi non lo fa, dico che forse non ha capito l’importanza e il valore dell’insegnamento; ha bisogno di pulirsi le orecchie dai compromessi, dalle bassezze, dall’omertà, dall’ipocrisia, dall’aridità di un guadagno anche misero, dall’ignavia di usare menti giovani per diffondere il virus del “tanto non serve a nulla studiare”, che c’è purtroppo in tutti i campi, anche in questo.
Il sordo sarà così in grado di ascoltare e di non selezionare minimizzando, giudicando e indagando a modo proprio il mondo variopinto della scuola.
Almeno “…non avremmo vissuto invano…”, diceva Pablo Neruda, e continuo con una frase di Winston Churchill: ” Never quiet “; non mollare!
Sì, non mollate! La nostra manifestazione è in classe, il nostro sciopero è fra i banchi di scuola, allora nelle piazze avrà un senso, perché parleremo tutti la stessa lingua. Una lingua che non ha colori, razze, classi, età, sesso, pensiero politico, religione. La conoscenza è di tutti: questo è un linguaggio a cui nessuno è sordo, perché parla la solidarietà, grida la comprensione, diffonde la disciplina e la dignità di ogni singolo, che è rispetto ed onestà per sé e per gli altri.

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