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Aria nuova al cantinone

Settembre 17
21:29 2013

«I venerdì al “Cantinone” servono a rilassarsi, a riposare il corpo e la mente dopo una settimana di lavoro.» Così esordisce Armando Guidoni aprendo la serata e continuando poi con la lettura di una missiva di Aldo Onorati che per motivi non dipendenti dalla sua volontà non è potuto essere presente. Dice Onorati: «In questo libro convive serenità e fratellanza come in ogni famiglia, come nella propria casa: c’è la sensibilità connessa al ritmo interiore e, come filo conduttore, passione e memoria.» E conclude con un saluto alle donne: «Da un “femminista” appassionato …»
Guidoni parla dell’importanza della poesia e dice: «Non è un caso se sul nostro mensile “Controluce” la pagina più letta è proprio quella della poesia, perché la poesia è autenticità, unicità e singolarità di chi la scrive.» Poi con una breve lettura della bibliografia dell’autrice conclude l’intervento e lascia spazio alla scrittrice Maria Lanciotti, che esordisce con una serie di considerazioni attorno al titolo del libro, che si presta a diverse interpretazioni. Poi prosegue con la sua “lettura” del testo, che coglie i diversi aspetti della poetica di Rita, umanissima e socialmente impegnata. La parola poi passa all’autrice, nel silenzio rispettoso del pubblico. «Per me scrivere è liberare la mia parte più intima, il mio io interiore: lo scrivere in lingua è come dipingere, ed è come raccontare, con le parole e i versi che vengono direttamente dal cuore, quel fatto che ha stimolato i miei sentimenti. Scrivere in dialetto, invece, è come liberare un bisogno di gioia, di gaiezza, è tirare fuori il mio lato ironico, il mio ‘folletto malizioso’ e, che sia l’uno o l’altro il modo di scrivere, io riesco a fissare in questo modo le emozioni e i ricordi di una vita passata o di quella recente appena vissuta.» E continua: «Il libro è illustrato da alcuni disegni fatti per me da diversi pittori castellani, a ognuno dei quali ho consegnato un ‘compito’, ovvero il titolo di una poesia, e da lì è nata l’illustrazione che, come pensavo sarebbe stato, è in perfetta sintonia con i versi: ogni poesia con la giusta immagine! Sia io che il pittore abbiamo interpretato lo stesso sentimento e le stesse emozioni; c’è stata dunque una perfetta circolarità tra scrittore, pittore e lettore.» La serata al fresco del ‘cantinone’ continua poi fra applausi ed intense emozioni e con le letture delle poesie per voce del bravissimo Alfredo Piacentini: “Angelo”, “Vladimiro”, “Vincitori e vinti”, “Vita”, “Silenzio”. Queste fra le altre, le poesie lette, senza dimenticare quelle in vernacolo: “Pane e igiene”, “E scarpe nove”, “Confronti”. Torna spesso nei versi della Gatta la figura del padre: il padre come uomo d’avventure, uomo di mare, uomo di carattere ma anche sorridente e affettuoso. «Mi ha trasmesso l’amore per il mare e per quei luoghi dove ho vissuto da bambina che non potrò mai dimenticare.» Dice la poetessa con un moto di nostalgica commozione. «Quando pensi a un verso, lo fai in lingua o in dialetto?» la incalza la Lanciotti. Risponde l’autrice: «Io penso e parlo in italiano, non parlo il dialetto, anche se qualche inflessione ogni tanto mi tradisce; la mia lingua è l’italiano, è d’obbligo anche per il mio lavoro, io sono un’insegnante, e come tale, non posso permettermi sbavature, però, quando il ‘folletto dell’ironia’ torna a punzecchiarmi, ecco che il dialetto prende il sopravvento. “Rita me tiè da crede, a casa niciuno parla ‘u dialetto!” mi disse la mamma di un bambino, mio alunno negli anni passati, che aveva qualche problema di scrittura, alla quale mi raccomandavo di parlare in italiano anche in casa.» Grandi risate e un forte scrosciare di applausi dalla sala. «Per capire un popolo, devi conoscere la sua lingua, “se vuoi conoscere il mondo, prima conosci il tuo villaggio”» conclude Armando Guidoni. Infine l’intervento dello scrittore Alberto Pucciarelli chiude la serata: «Farò il “grillo parlante”, il “controcanto”, vorrei macchiarmi di ‘lesa maestà’ andando contro la critica più consolidata e dando di Rita una immagine diversa, una scrittrice che non cambia fra una pubblicazione e l’altra, cambia soltanto lo stile, il modo di cantare gli stessi sentimenti, le identiche emozioni: il dialetto del primo lavoro non è da meno della lingua del secondo. “Svringuli svranguli” non è un’opera minore, anzi, forse come potenza emotiva supera “Fruscii del silenzio”. Cambia il vestito, la forma, la musicalità, ma la forza descrittiva è la stessa: c’è lo stesso amore, stessi sentimenti, e serenità anche nell’evocare il dramma. Siamo dinanzi ad una autrice di grande poesia, pur interpretata in tono volutamente minimalista, che sviscera e fotografa la vita e le sue forme per lasciarle poi come lirica testimonianza.»
Che altro dire? Che pensare? Mi sono chiesta dal primo posto nella sala, e dietro di me tante persone con le mani accaldate dal tanto applaudire e con gli animi più leggeri dopo aver ascoltato tanta passione, tanta autentica poesia scritta con la penna e con il cuore.

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