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‘Boccione’ e il fulmine

Aprile 18
10:08 2014

Il dato che più risaltava, su quel tizio, era che fosse portatore sano di jella. Vale a dire che, seppur seminando a destra e a manca tra i suoi simili quegli strani incidenti che potevano spaziare da un’unghia incarnita a un frontale su un’autostrada deserta, lui ne era esentato. Anzi, per dirla tutta, le disavventure su di lui non attecchivano proprio. Vestiva abitualmente di nero, un nero bacherozzo da soffitta trascurata. Suonava la fisarmonica a orecchio e amava la grappa. La faceva distillare in damigiane da cinque litri a un suo cugino di secondo grado e si sbizzarriva negli esperimenti più sfiziosi: dalla grappa alla genziana (che prelevava di nascosto, in quanto pianta protetta, nel bosco del santuario di Vallepietra) a quella alla ruta, dolcissima e di un verde assenzio, che l’alcool sottraeva al malcapitato ramoscello di turno rendendolo di un bianco cadaverico. Qualcuno lo soprannominò ‘Boccione’ sia per la sua predilezione per il contenitore sontuoso dell’amata grappa che per la forma del suo cranio, molto simile ad un tappo di sughero di botte.
I suoi poteri ‘sfigàtici’ si attivavano acusticamente. Fu sufficiente un “va piano con quella moto, che è pericoloso!” a Marco S. per garantirgli, di lì a qualche ora, un incidente sull’Aurelia a causa di un guidatore geniale che aveva tentato un’ardita inversione a u nella corsia di sorpasso. I danni fisici furono limitati, per fortuna, ad una spalla rotta e ad un paio di mesi d’ingessatura.
Insomma, ipotizzando quel tizio come un Mosè alla guida dei suoi compatrioti nel Mar Rosso, poco dopo il suo passaggio s’attivava un parossistico ricorso agli scongiuri che faceva pensare al richiudersi delle acque. Un ‘si salvi chi può’ che veniva gestito in modo differenziato dal singolo come meglio credeva, nell’ovvio rispetto delle varietà morfologiche delle zone da grattare dei maschi e delle femmine.
Eppure, un giorno ci fu un segno. Mentre ‘Boccione’ bighellonava in un appartamentino in affitto, un fulmine entrò nel monolocale e, dopo aver rovistato come gli capitava, disintegrò lo scaldabagno.
La paura fu tanta, ma il tizio vestito nero bacherozzo ne uscì indenne.
Tutti ricordano il commento epigrafico di Carlo A.: “È Gesù Cristo che sta aggiustando il tiro!”.

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