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Boicottaggi e referendum

Giugno 11
13:45 2011

La Nestlé non mi è mai piaciuta, come altre società multinazionali che mettono in primo piano il guadagno a discapito della dignità della persona umana e a livello personale boicotto da sempre una serie di prodotti che sono fabbricati in maniera non etica. Quindi ben vengano i boicottaggi a livello internazionale, che hanno una risonanza molto più ampia della singola iniziativa, ed un effetto economico passivo “sensibile” per la multinazionale.
I prodotti della Nestlé sono sotto boicottaggio internazionale da una trentina d’anni. Nel 1994 si è costituita la Rete Italiana Boicottaggio Nestlé (RIBN) allo scopo di difendere l’allattamento al seno nei paesi a basso reddito, in collaborazione con reti ed associazioni di altri paesi.
Cosa pensano di questa notizia che sto per dare, i consumatori del Nescafè o Nesquik? Sveglieranno la loro coscienza o faranno finta ancora di nulla?
Fonte Reuters: Ginevra 10 maggio c.a. – Peter Brabeck, presidente della Nestlé, dichiara la necessità di “Istituire una Borsa dell’Acqua così come per altre materie prime”, perché questo “contribuirebbe a regolare il problema della carenza di questo bene prezioso”; Brabeck vuole così “risolvere” il problema della concorrenza, nella regione canadese di Alberta, tra gli agricoltori che necessitano d’acqua per i raccolti e le compagnie petrolifere che utilizzano ingenti quantità d’acqua per estrarre il petrolio dalle sabbie bituminose; “Quando la domanda aumenta, il mercato reagisce e la gente comincia a usare la risorsa in maniera più efficiente”. La “proposta” di Nestlé ha già trovato consenso nel governo di Alberta che come primo passo, ha “inventato” la distinzione tra diritti alla terra e diritti all’acqua, in modo che il possesso della terra non dia automaticamente diritto all’acqua che vi scorre.
Altro che acqua bene comune! Ha ben commentato questa proposta Riccardo Petrella presidente dell’I.E.R.P.E (Istituto Europeo di Ricerca sulle Politiche dell’Acqua): “Affidare l’acqua alla borsa significa confiscare ai popoli della Terra un bene comune pubblico insostituibile per la vita, consegnando il futuro della vita di milioni di persone al potere di arricchimento di pochi grandi speculatori finanziari”. “I propagandisti dell’acqua rara (oro blu) sono gli stessi che hanno prodotto la penuria della risorsa idrica imponendo politiche economiche predatrici ed usi insostenibili e inquinanti. Non possiamo permettere a questi gruppi la possibilità e il potere di imporre la loro irresponsabilità! Sarebbe indecente.”
Sulla questione è intervenuto anche Rosario Lembo, presidente del Comitato italiano per il contratto mondiale sull’acqua: “L’acqua non è una merce e pertanto è assurdo creare una Borsa mondiale dell’acqua! La proposta di consolidare un approccio già dominate che punta a classificare l’acqua come una merce a valenza economica, costituisce una provocazione che lascia chiaramente trasparire gli interessi dei principali gruppi economici e finanziari mondiali, e come intendono gestire e governare il bene comune acqua nel corso dei prossimi anni. Questa proposta va rigettata con forza attraverso azioni di contrasto da parte dei cittadini di ogni parte del mondo”.
“È assurdo pensare – aggiunge Lembo – che l’accesso all’acqua potabile, che l’Onu ha di recente riconosciuto come un diritto umano, possa essere regolato attraverso una Borsa mondiale, analogamente a quanto è purtroppo avvenuto per i semi, e il grano. Non è attraverso lo strumento del prezzo che si può pensare di contrastare la competitività crescente tra gli usi produttivi delle risorse idriche e quindi fra agricoltura ed idroelettrico o di ridurre gli sprechi, affidando all’aumento del prezzo la riduzione dei consumi per superare i trend crescenti di depauperamento e scarsità delle risorse idriche”.
E conclude : “Anche in chiave italiana, questa proposta costituisce un campanello di allarme che deve fortemente stimolare gli italiani a recarsi il 12 e 13 giugno a votare il referendum sull’acqua. Per dire forte che l’acqua non è una merce e non appartiene ai mercati e alle Borse, ma ai cittadini che devono farsi carico, in maniera responsabile e solidale, rispetto agli usi ed alle modalità con cui garantirne l’accesso alle future generazioni”.
A proposito di Onu, è notizia di questi giorni che 139 organizzazioni non governative hanno consegnato una lettera alle Nazioni Unite per denunciare le pressioni esercitate ai livelli più alti dalle multinazionali che vogliono assoggettare le risorse idriche alle logiche del profitto. L’obiettivo del documento è impedire che la Federazione internazionale degli operatori privati dei servizi idrici (Aquafed) ottenga lo status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, un organismo che per sua natura dovrebbe escludere enti a fini di lucro. “Lo status consultivo deve essere riservato ai movimenti sociali e alla società civile mondiale – si sottolinea nella lettera – e non essere uno strumento nelle mani delle imprese che cercano di influenzare le politiche globali dell’acqua”. Aquafed riunisce alcuni dei colossi del settore, da Veolia a Suez, da Saur ad Agbar. Nonostante le risoluzioni approvate l’anno scorso dall’Assemblea generale dell’Onu e dal Consiglio per i diritti umani, gli Stati nazionali non hanno favorito progressi concreti sul piano legislativo.

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