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Campionato del Mondo: chi sono i barbari

Luglio 29
16:21 2010

“Lo specchio rotto dei senatori sgangherati” sarebbe stato, a caldo, il titolo di una riflessione sull’eliminazione dell’Italia nel campionato mondiale di calcio. Dopo la disfatta della squadra, giornalisti sportivi, opinionisti ed editorialisti di grande nome hanno avuto modo di analizzarne le cause, gli effetti, i risvolti e collegamenti, più o meno centrati, con la società civile e la sua rappresentanza politica. La domanda ricorrente era se la Nazionale fosse o no lo specchio del Paese. Naturalmente la tesi affermativa, tra l’altro più facile e d’effetto, ha prevalso; qualcuno però, sulla stampa nazionale, argomentava in senso negativo andando a scoprire la ricerca di ‘notti magiche’, di ‘Forze Italie’ ecc… per piegare strumentalmente le sorti dei ‘pedatori’ alle ‘esigenze’ della politica o, più semplicemente, a quelle psicologiche del popolo da contentare con panem et iocantes; ma la Nazione, si diceva, ha altri riscontri e prospettive. Chi scrive pensa che la situazione sia ancora diversa, più complessa e preoccupante. Sì, la Nazionale è lo specchio dell’Italia, ma lo specchio è rotto, l’immagine è distorta e, paurosamente, trasmette segnali di sconcerto e sconforto. Lo specchio è rotto perché ci sono state gravi fratture operate dal ‘Comandante’ e dai suoi ‘Senatori’; perché gli stessi, avviluppati da una sorta di delirio, tutto personale e razionalmente improbabile, di vittoria, hanno perso di vista la realtà, precipitando in un cupio dissolvi finale quasi ‘senza accorgersene’. Lippi ha trasmesso al gruppo, composto in maggioranza da veterani usciti da un campionato disastroso col solo pregio e fregio della ‘campagna di Berlino’, solo prosopopea e spocchia (a proposito, dopo aver perso ‘l’autobus’ provi umilmente l’autostop). Un toscano, sia pure di riviera, ha voluto snaturarsi in una copia del “ghe pensi mì”, esponendo i ‘soldati’, una volta lasciato il bunker per il campo di battaglia, agli archibugi di crucchi, aborigeni e sudamericani, poco chiacchieroni, faticatori e rispettosi dell’altrui consistenza. Ecco dunque la seconda frattura. Mentre noi ci trastulliamo, si fa per dire, con Padania sì, Padania no, con la cricca e le case pagate ‘all’insaputa’, coi ministri di ‘giornata’ genuini come una mozzarella ‘puffa’, col “io faccio un favore a te e tu ne fai uno a me” (con i soldi di tutti), gli altri vanno avanti, pure con le difficoltà degli umani, con impegno, serietà e, soprattutto, senza la convinzione, ormai ‘esportata’ dalla nostra politica al comparto civile, che le vittorie possono, anzi devono, arrivare per volontà ‘divina’, per scorciatoie, per ‘meriti acquistati’ (no, non è una svista, ed infatti la soluzione vincente e avvilente l’aveva suggerita Bossi, scarpini grossi ma cervello fino!). Terza frattura dolorosa. La Germania è uscita dal nazismo, ha da poco abbattuto il muro per riunificare due stati agli antipodi per ideologia, struttura e politica, ma in pochi anni ha raggiunto una coscienza profonda dell’identità nazionale. Questo ha consentito di svolgere, senza paure e con lungimiranza, politiche di accoglienza e integrazione che hanno stabilizzato e accresciuto il potenziale umano della nazione. Risultato: la nazionale di calcio tedesca, una delle migliori, è composta, per oltre la metà, da giocatori dal cognome di origine africana, turca, polacca ecc …, ormai divenuti cittadini tedeschi per effetto, appunto, di una legislazione che ha saputo cogliere i cambiamenti epocali. In Italia, che pure è la patria del diritto per merito degli avi romani, le nuove ‘forze’ sono ancora soltanto sfruttate e, spesso, ghettizzate; ogni volta che si tenta di avviare un progetto legislativo di integrazione, anche solo parziale (leggi voto amministrativo), insorgono i capetti degli interessi particolari, i campanili e le provincie (leggi provincialismo). Ma le campane suonano solo a morto, la natalità diminuisce e i calciatori diventano ‘mollaccioni’ e finiscono, in una allegoria grottesca, per dribblarsi da soli. Insomma ben vengano i ‘barbari’ perché, come dice il poeta, «Dopotutto, quei barbari erano una soluzione» (K. Kavafis 1904). La sorpresa è che i ‘barbari’ siamo noi. Per contrasto. Chiusi nelle nostre torri bianche (d’avorio è troppo) non siamo più capaci di interpretare e capire gli ‘altri’ che ci possono (re)insegnare qualità dimenticate, semplici ma vincenti, come il rispetto dell’altro a prescindere da ogni considerazione, l’impegno strenuo e la collaborazione in umiltà per ottenere i risultati facendo realmente gioco di squadra, mentre siamo abituati a sentirne solo cianciare ad ogni piè sospinto per intendere accordi di bottega politica se non addirittura di ‘cricca’. Così le Nazioni ‘emergenti’ ci hanno offerto un calcio di sostanza, piacevole e pulito, mandando a casa le ‘Notabili’ Francia, Inghilterra e Italia, venute a zappare l’orto in doppiopetto, confidando nella tecnica e nella ‘terra soffice’; hanno scoperto troppo tardi che la terra è sempre ‘dura e bassa’ e la zappa pesante. Speriamo di aver appreso, per merito di questa bella manifestazione, che il termine ‘globale’ non necessariamente ha un accento negativo, ma può significare conoscenze, umanità e comportamenti positivi, dal punto di vista pratico e spirituale. Potrà succedere allora, come dice un poeta contemporaneo, che noi ‘barbari di ritorno’ non saremo più affascinati dai “saltimbanchi fasulli / che vendono le stesse perline / riscaldate ogni giorno in tv”. Rimane un dubbio non da poco sullo specchio: se sono le tante crepe che ci fanno vedere immagini così brutte, o se sono gli ‘specchianti’ che causano cosi tante crepe. La realtà è che non è lo specchio rotto che porta male, ma il male è nella frattura stessa, causata da insipienza, arroganza, malversazione; è un po’ come la storia del sogno premonitore che diventa (si ricorda come) tale quando il disastro è già avvenuto. Gran rompicapo da brividi, ma una soluzione la troveremo: assolderemo un imbonitore per distrarci, siamo italiani alla fine!

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