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Centrale Preneste: un teatro per le nuove generazioni

Marzo 05
13:04 2011

Centrale Preneste è un nome che, non a caso, va a costellare un quartiere come il Pigneto, ormai perno di fermenti per una movida capitolina dilatata tra quelli che, nel tempo, furono alcuni stabilimenti dismessi divenuti poi storici riferimenti, come la Pantanella, la Serono o la SNIA. Luoghi siti in prossimità di una delle più belle alchimie architettoniche forgiate nell’anarchismo edilizio dell’Urbe, tra Porta Maggiore e l’adiacente acquedotto Felice. Un suggestivo scenario, in parte ancora preservato, tra snodi ferroviari che si accavallano tra alcuni edifici d’epoca databili tra i primi del Novecento e interposti a improvvisate costruzioni di postume migrazioni, perlopiù dell’immediato dopoguerra. Spazi oggigiorno assurti ad oasi di lusso, dove è inevitabile vedere erigere anche qualche condominio ex novo tutto punto dotato, magari di fronte all’ennesima celebrazione vintage di qualche bar che, nel suo essere trendy, risulti pure altrettanto snaturato. Centrale Preneste è uno spazio polivalente, prima ancora che un teatro, così com’è stato ufficialmente presentato lo scorso 4 febbraio. Luogo di aggregazione e interscambio territoriale, multidisciplinare e, soprattutto, rivolto alle nuove generazioni. Uno spazio, quindi, per una circostante dimensione, dove tuttora sussistono ancora improvvisate osterie, di quelle che un tempo erano considerate “fuori porta”. Parte di più volenterose, potenzialmente dotate, “novissime” generazioni idealmente sensibili e che, attraverso siti alternativi, meglio incarnano canoni non scritti nel rispetto di una tradizione fagocitata dal lustro dei facili guadagni già finiti, a loro volta, impaludati nella crisi. Centrale Preneste, già attiva e con una variegata programmazione in comunicazione con scuole e altre realtà locali, vuole assumere anche ruolo e rilevanza di polo culturale preservando identità, in un quartiere già segnato a destini di una più omologante centralità. Se aprire un teatro è di per sé un atto di propositiva follia in questi tempi d’imbarbarimento culturale, così come ribadito più volte in sede di presentazione, farlo incontrando periodicamente anche la poesia è ancor più audace e, peraltro, connaturato gesto nella poeticità che, a tinte alterne, tutt’oggi contraddistingue questo territorio. Marco Palladini, attraverso una rassegna di reading poetici e musica dal vivo, è già fra i fautori di quello che, come lui stesso ha voluto precisare nell’intervento d’inaugurazione, è anche un “atto poetico”, non disgiunto dal politico ed erede di uno spontaneistico impegno civile. Una poesia, dunque, che resiste ancora, come in quei vecchi tram lungo la via Prenestina, sì memori di più gloriosi tempi rievocati in binari tronchi; ora non più soli su largo Argentina, poiché accompagnati anche da quelli di piazzale Flaminio. Poesia che resiste e ritorna pure sotto altra forma, in un’indeterminata quantità di biciclette, propositiva ricerca di riqualificazione dell’area nondimeno consone ad una specifica peculiarità, ma anche nell’esotica caratterizzazione di negozietti di un po’ di tutto nella globalizzazione di un ex cosiddetto terzo mondo. Emigranti della “prima ora”, forse più consapevoli e “serenamente inquieti” di quanto non lo siano ancora tanti “spensierati agitati” italiani per come, giorno dopo giorno, si sta rivoltando questo mondo. Una volontà di resistenza nella poesia che sento in prima persona, oltre una visuale ingurgitata dentro la pancia di un sotterraneo mostro. Segno metropolitano che, da tempo, trivella con meccaniche talpe giardini e ricordi vissuti sull’uscio di una scuola, col “nonnetto” spacciatore di liquirizie e dolciumi dietro un carretto, scudo di battaglie d’infanzia che sollevavano enormi polveroni lungo lo sterrato; scontri a colpi di “cartellate” che poi, di ritorno in casa, prevedevano ulteriore botte da parte dei genitori. Chiedo venia per le mie poetiche digressioni introducendo qui Gianmarco Palmieri, presidente del sesto municipio, che ha evidenziato la portata di un evento storico attraverso l’apertura del teatro, ponendo rilevanza sulla trasformazione socio-culturale di un’area periferica “a parte integrante e viva della città” durante il suo intervento in sede di presentazione. Si tratta di un percorso, così come precisato, “lungo e a tratti tortuoso”, portato avanti negli anni con la partnership di Ruotalibera. Centrale Preneste è anche un punto flessibile, a partire dalla sua struttura così com’è stata concepita. Un gradinata retraibile, insieme ad un palcoscenico modulare, contraddistinguono uno spazio modificabile che, per la stagione estiva, si avvale di un ampio giardino adiacente dove spostare la programmazione. Non ci resta, quindi, che goderne nei nostri ritagli di tempo libero e, per i più creativi e loquaci, tentare pure altri approcci, finalizzati ad avere voce nel quartiere, che mi auguro permanga sempre più libera e aperta, propositiva e senza perbenismi. Fare cultura è il primo atto indispensabile per colmare quanto, da troppo tempo, aleggia stentando senza più anime e bandiere.

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