Notizie in Controluce

 Ultime Notizie

Della Virtù e della Fortuna

Della Virtù e della Fortuna
Dicembre 01
02:00 2007

Nel decennale della morte della principessa Diana, sentendo dell’apertura dell’ennesima inchiesta, ci viene spontanea qualche mesta divagazione. Non tanto sulla donna, ché non potremmo, non avendola conosciuta. Né tanto meno sul ‘prodotto’ mediatico (come vorrebbe liquidarla adesso chi invece ai tempi ha lucrato su un personaggio di per sé carismatico). Bensì su di un tema tanto trito quanto sempre indecifrabile, e fonte di rovello per l’uomo (ad essi sottoposto ed evidentemente privo di strumenti conoscitivi adeguati ad affrontarli): i capricci della fortuna. Fortuna nell’accezione latina di “sorte”, buona o cattiva che sia, accezione con la quale è usato nell’italiano antico, in quei secoli in cui la questione viene dibattuta con maggiore accanimento. E in particolare in età umanistico-rinascimentale, quando l’uomo, sdoganatosi dal fideistico abbandono ai disegni della Provvidenza (che nel Medioevo gli aveva peraltro resa sopportabile una realtà fatta di miseria, freddo, violenza) diviene homo faber, andandosi così a scontrare con l’imponderabile del caso. Contro i capricci della fortuna, appunto, avverso i quali molto spesso la virtù poco o nulla può giovare. Anche per la parola ‘virtù’ dovremo pensare qui all’originaria accezione latina, presente ancora nell’italiano antico, prima che un restringimento di campo semantico ne esaltasse soltanto la connotazione morale; virtù quindi, denominale da vir, ad indicare la qualità dell’essere vir, “uomo”, nella pienezza di tutte le sue qualità. Il tema della contrapposizione tra Fortuna e Virtù, declinato in tutte le sue sfumature, percorre tutta quell’età, almeno da Boccaccio a Machiavelli (per citare solo i momenti più alti di quella riflessione), tingendosi sempre più di pessimismo nel passaggio dall’uno all’altro di questi due autori. Man mano cioè che dalla libera e appassionata età comunale si procede verso la formalizzazione politica e sociale delle Signorie. Prima, nello spazio geografico e politico del Comune, l’uomo, transfuga dalla miseria e soggezione delle campagne, aveva trovato nel mercatare e nelle altre attività connesse con una libera economia urbana la possibilità di sviluppare ed esprimere la propria ‘virtù’, quel giusto dosaggio cioè di iniziativa e capacità, coraggio e spregiudicatezza, utile a procurargli indipendenza e benessere. In quella stagione, si allentavano i rigorosi vincoli di un’età feudale ormai prossima ad esaurirsi anche nel resto d’Europa, di un sistema politico-economico costruito in forme fortemente gerarchizzate, sul principio della fedeltà e lealtà personali ai vertici, e della soggezione totale delle componenti subalterne. E insieme alla ‘struttura’, andava sfumando anche il sistema di valori ad essa connesso, e su cui il rapporto feudale si fondava. Mentre anche le due grandi istituzioni, l’Impero e il Papato, vacillavano, corrose da dinamiche interne oltre che dal reciproco scontro, il signore feudale e anche quello celeste (che la Weltanschaung medioevale assimilava perfino nei rituali di omaggio) si allontanavano sullo sfondo di una devozione ridotta a pura forma. Un nuovo sistema di valori si andava dunque affermando, fatto di astuzia e amore per il rischio, abilità nel rapportarsi con gli altri e sfruttarne le debolezze, autonomia di pensiero e spregiudicatezza nella sfera etico-religiosa. Sono i valori di una società ‘mercantesca’ appunto, dei quali il Decameron fornisce quasi un prontuario. La grande quantità di manoscritti che ce ne sono stati tramandati, spesso annotati a margine dai proprietari, testimonia la diffusione dell’opera nell’ambito di un pubblico di mercanti che ne coglie e gusta l’attualità e l’aderenza alla propria sensibilità. Nel Decameron, paradigmatica in relazione al rapporto virtù-fortuna, cui tutta la seconda giornata è dedicata, è la novella di Landolfo Rufolo, mercante di Ravello che, volendo moltiplicare le sue ricchezze, rischia di perdere tutto, finché sarà proprio la Fortuna ad offrirgli durante un naufragio una cassa colma di tesori cui aggrapparsi. Così Landolfo si troverà a ‘cavalcare’ letteralmente e metaforicamente la Fortuna, ma la sua Virtù consisterà alla fine nell’abbandonare la sfida e ritirarsi a godere quanto già ottenuto. Diversamente si configura in Machiavelli la dialettica Virtù-Fortuna, sia per le mutate condizioni che per la diversa coscienza storica che impronta quest’ultimo. Sopravvive certamente anche nel Machiavelli la convinzione che la virtù consista nel saper cogliere l”occasione” offerta dalla fortuna, che lascia ancora all’uomo dei margini di azione “perché il nostro libero arbitrio non sia spento”. Però Machiavelli, nel capitolo XXV del “Principe”(Quantum fortuna in rebus humanis possit, et quomodo illi sit occurrendum: Quanto possa la fortuna nella cose umane e come si debba farle fronte) mostra di cogliere chiaramente quel rapporto mutato in riferimento alla “gravità dei tempi”, a quel primo Cinquecento denso di sconvolgimenti, e che vede messa in forse l’autonomia e l’esistenza stessa degli stati italiani. Pensato per Cesare Borgia ma dedicato a Lorenzo de’ Medici, il “piccolo volume”, “piccolo dono” anche se “opera indegna” della “Magnificentia” di quello, rappresenta anch’esso una sorta di manuale: intessuto di exempla derivatigli da “una lunga esperienza delle cose moderne e una continua lezione delle antique”, frutto dunque di lunga riflessione su come gestire il rapporto virtù-fortuna al fine di acquistare e mantenere gli stati. Nella dedica a Lorenzo, Machiavelli, cresciuto nel culto della ‘florentina libertas’, e della repubblica ex segretario, ricorda, quasi come patetica captatio benevolentiae, “quanto io indegnamente sopporti una grande e continua malignità di fortuna”. Lui che evidentemente non aveva saputo “riscontrare” il proprio agire politico con le necessità dei tempi.
Tornando alla sfortunata principessa Diana, bisognerebbe domandarsi se ella abbia saputo “riscontrare” il suo agire alla qualità dei tempi. La Fortuna le aveva offerto una straordinaria “occasione”, ma i tempi erano ambigui e difficile leggerne l’evoluzione. Il tempo in cui la sua favola ha inizio è la Belle Epòque del Novecento, gli smaglianti anni Ottanta, quelli dell’edonismo reaganiano, fatti di immagine, apparenza, a volte anche un po’ pacchiana, come la moda dell’epoca, di denaro facile che come sempre, si sa, non olet, ma qualche volta può avere un leggero sentore di petrolio. Nelle nostre città europee, interi edifici ospitavano sedi della “Jihad islamica”, ma nessuno sembrava farci caso. La grande industria e la grande finanza si mescolavano disinvoltamente col demi-monde, personaggi dello spettacolo, signorine allegre e sottobosco della politica. Avanti, c’è posto per tutti. Difficile rinunciare alla tentazione del protagonismo. Possiamo immaginare (senza per questo farne l’icona di un femminismo post-litteram) una giovane donna che dall’interno osserva l’ingranaggio, cerca la propria parte nel meccanismo e la persegue con gli strumenti di cui dispone, la giovinezza e l’amore. Costruisce sulla sabbia, la giovinezza che passa e non sempre basta, l’amore che è un dono, non una conquista. E quando si rende conto di non aver saputo usare Virtù per capitalizzare l”occasione” che la Fortuna le ha offerto, tenta di ingaggiare con essa una sfida. Non sa che a volte è meglio “lasciarla fare”, “non le dare briga”. Ignorando l’arte del “simulare” e “dissimulare”, spiattella sentimenti e panni sporchi, illudendosi che nel mostrare le debolezze stia la vera forza. Non sa che questa regola vale sempre e solo per chi forte lo è già. Da questo momento in poi, la sua condanna non la scrivono nelle stanze segrete del potere, ma l’ha già decretata la Fortuna stessa, e la porta a compimento nel modo più plateale. Addirittura secondo il disegno che la vittima stessa aveva prefigurato, l’incidente d’auto. E quale momento migliore di quello scelto, a suggello di un’estate, di vacanze felici, prima di tornare ad una routine che non le appartiene più, ad un ruolo che le sta stretto. Diana non ha “riscontrato” che nel 1997 i tempi sono mutati, il mondo arabo da interessante partner con cui flirtare si sta trasformando in pericolo incombente per l’Occidente, non ha annusato il prossimo incendio delle torri gemelle, non ha neppure colto le svolte della propria storia familiare. Continua ad offrirsi sorridente e civettuola ai flash nel candore della sua ingenuità e dei suoi abiti. Come nella foto che la ritrae il 18 giugno 1997 a New York, a pochi mesi dalla morte, accanto a Madre Teresa di Calcutta, morta anche lei dopo pochi giorni, quasi due vittime sacrificali, avvolte nelle chiare bende. Quello scatto, al di là del modesto valore storico, contiene una ben più alta cifra simbolica. Disegnate in modo assolutamente speculare, recto e verso della medaglia, proiettate verso il prossimo compimento del loro destino, le due donne si danno la mano: la principessa che non sarà mai regina, la missionaria che per la sua fede travagliata non potrà essere santa. L’una fluttuante nell’onda dei suoi capelli biondi, confusa sulla traccia dei tanti amori inseguiti e deludenti, effimera e fragile come la Fortuna; l’altra un frutto zuccherino nella scorza rugosa, ferma in un unico amore, quello da dare, salda e concreta come la Virtù. Che curiosamente, nel suo “Inno alla vita”, celebrava con la stessa saggezza degli antichi: “La vita è un’opportunità, coglila…La vita è felicità, meritala. La vita è vita, difendila”.

Articoli Simili

0 Commenti

Non ci sono commenti

Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?

Scrivi un commento

Scrivi un commento

MONOLITE e “Frammenti di visioni”

Categorie

Calendario – Articoli pubblicati nel giorno…

Marzo 2024
L M M G V S D
 123
45678910
11121314151617
18192021222324
25262728293031

Presentazione del libro “Noi nel tempo”

Gocce di emozioni. Parole, musica e immagini

Edizioni Controluce

I libri delle “Edizioni Controluce”